Cox’s Bazar ai tempi del Virus – Speciale Bangladesh

Dedichiamo la news di oggi al nostro consueto appuntamento mensile con le notizie che arrivano dal Bangladesh.

É importante in questa situazione di disagio e difficoltà non dimenticarsi delle tante persone che proprio come noi si trovano ad affrontare queste incredibile pandemia, ma in condizioni e difficoltà inimmaginabili per la maggior parte di noi.

É questa la situazione che, tra gli altri, stanno vivendo più di un milione di rifugiati Rohingya che vivono nel campo di Cox’s Bazar. Secondo un recente articolo di Associated Press, le autorità sono molto preoccupate per l’effettiva capacità di evitare il contagio diffuso tra le persone che si trovano confinate all’interno del campo profughi.

A Cox’s Bazar vivono stipate oltre 40mila le persone per km quadrato, in rifugi di fortuna fatti principalmente di plastica e stecche rimediate. La densità all’interno del campo supera di circa 40 volte la densità media del Bangladesh (già di per sè tra le prime dieci al mondo!). Nei piccoli ripari, che spesso non arrivano a 10 metri quadri, vivono fino a 12 persone contemporanemente.

Finora non sono stati riportati casi di contagio nel campo, ma rimane molta preoccupazione perché è evidente che se dovessero emergere sarebbe molto difficile rispettare il distanziamento sociale e contenerne la diffusione.

Per adesso in Bangladesh sono stati riportati un numero di casi piuttosto esiguo (218 casi e 20 decessi, secondo il portale della Johns Hopkins University dedicato al COVID-19), ma tutti gli operatori sono preoccupati di non riuscire gestire un’eventuale emergenza a Cox’s Bazar.

Il governo del Bangladesh ha ordinato, come da noi, il lockdown del paese fino all’11 aprile per i 160 milioni di abitanti del paese (più di 2 volte la popolazione dell’Italia). Anche Cox’s Bazar è stata chiaramente colpita dal provvedimento, rendendo necessario allontanare tutti gli stranieri presenti nel campo (che sono quasi totalmente operatori delle ONG che lavorano con i rifugiati), fatte salve situazioni di assoluta necessità. 

Le autorità hanno messo a disposizione una tenda isolata che può ospitare fino a 100 pazienti infetti, e una seconda da 200 posta è in arrivo dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Anche l’UNHCR, l’agenzia Onu per i rifugiati, si è mobilitata insieme all’Organizzazione Mondiale per i Migranti, UNICEF e Save The Children International, pianificando di creare ulteriori 1700 posti per eventuali futuri pazienti. Inoltre è stata distribuita acqua e prodotti per l’igiene, e sono stati formati migliaia di operatori – anche tra la popolazione del campo.

Oltre a questo è stato implementato un vasto programma di comunicazione e informazione per aggiornare e informare gli abitanti tramite la radio, video, poster e volantini in diverse lingue, per dare la possibilità a tutti di comprendere come si diffonde il virus, come le persone si possono proteggere, quali sono i sintomi e cosa si deve fare in caso di contagio.

Tra le altre, una delle limitazioni più gravi individuate dagli operatori è la mancanza di una connessione internet sufficiente a soddisfare i bisogni di tutti. Secondo un gruppo di attivisti che ha scritto una lettera aperta al governo per sistemare il problema, questa situazione minaccia la sicurezza e il benessere sia degli abitanti che degli operatori.

Insomma, chiusi nelle nostre case e presi dalle grandi difficoltà qui in Italia, è importante non dimenticarsi delle milioni di persone che vivono in condizioni disperate, per le quali non resta altro che sperare che il contagio non si diffonda in maniera incontrollata, perchè andrebbe a costituire una catastrofe senza precedenti.

Restiamo a casa..ma continuiamo a guardare il mondo con gli occhi di Agente0011!

Come avrete visto, la situazione sanitaria nel paese e le conseguenti ordinanze governative ci chiedono ancora di restare a casa per il bene comune e per tutelare la salute dei più fragili e permettere alla sanità di occuparsi di chi ha maggiore bisogno in questo momento.

Noi siamo sempre qui a cercare di darvi o raccogliere spunti, anche per coloro che non sono iscritti alla community di agente0011! 

Anche questa settimana, abbiamo pensato di condividere con voi alcune missioni già svolte dalla community o attività da sviluppare rigorosamente in casa come ci indicano le ordinanze, riadattate in modo da poter essere affrontate in modalità piccolo gruppo (adulti e bambino o bambina, adolescenti) o in modalità on-line per condivisione…è un modo anche nuovo e curioso per coinvolgere familiari o amici per telefono o via skype o zoom al fine di indagare insieme alcune tematiche o problematiche, riappropriandosi di quel tempo di condivisione che spesso nella vita frenetica abituale abbiamo perso! Approfittiamo quindi dei giorni di vacanza di Pasqua per dedicarci a qualche attività non direttamente legata alla didattica!

Potete trovare il materiale cliccando a questo link

Per mantenere un contatto, ti invitiamo a condividere con noi la foto, la presentazione o il video utilizzando l’hashtag #agente0011 e taggando @agente0011 seguirci sul profilo instagram di Agente0011! Se vuoi inviarci la tua missione o l’output dell’attività, scrivici a educazione.ita@actionaid.org e una volta terminato il periodo di quarantena, ti invieremo un simpatico gadget!

Se le hai perse, qui e qui trovate le indicazioni e spunti delle scorse settimane!

Ed ora ecco i link esterni in cui trovare ulteriori spunti di attività e approfondimenti!

Zimbabwe: una sfida da vincere

I cambiamenti climatici si manifestano in forme diverse provocando alluvioni, siccità, ondate di calore, aumento di tempeste, uragani e altri eventi estremi che oltre a mettere a rischio la vita delle persone provocano gravi danni economici e produttivi.

In Zimbabwe, anche a causa dei cambiamenti climatici, la siccità sta diventando un fenomeno quasi permanente, seguita spesso da piogge torrenziali che arrecano più danni che benefici. 

Solo negli ultimi 5 anni, lo Zimbabwe ha subito due tra le peggiori siccità dalla metà del 900. Dallinizio del secolo scorso, la stagione 2019-2020 si ritiene sia seconda, per mancanza di precipitazioni, solo alla grande siccità del 1992. 

Tutti i raccolti piantati in aree non irrigate sono stati persi e, anche per le comunità che hanno a disposizione impianti irrigui, la mancanza di energia elettrica dovuta in buona parte allassenza delle piogge che hanno impedito il pieno utilizzo della diga idroelettrica di Kariba ha compromesso la produttività

Gli eventi estremi vanno a peggiorare le conseguenza di una mancata gestione del territorio e portano oltre 6 milioni di Zimbabwani a dipendere dagli aiuti umanitari per sopravvivere.

Molte delle comunità in cui Cesvi lavora, hanno perso la maggior parte dei raccolti e con grande difficoltà faranno fronte agli investimenti necessari per affrontare la prossima stagione. Laranceto di Shashe, progetto virtuoso di sviluppo sostenibile promosso da Cesvi negli ultimi anni, sta subendo una crisi senza precedenti. A causa di una tromba daria è senza elettricità da novembre e a nulla sono serviti gli sforzi della comunità che ha visto i suoi preziosi alberi ingiallire e seccarsi in attesa delle prime gocce dacqua che sono arrivate, ma con oltre due mesi di ritardo. 

Simile è la situazione della maggior parte delle altre comunità, incapaci di far fronte a una crisi di portata globale.

Loris Palentini, capo missione per Cesvi in Zimbabwe, racconta: Grazie alla solarizzazione che Cesvi sta promuovendo, stiamo cercando di ovviare alla mancanza di energia per  poter pianificare i raccolti in maniera più sicura puntando ad aumentarne la qualità sul mercato. Attraverso lintroduzione di sistemi dirrigazione moderni e più efficienti riusciamo a contenere lutilizzo dacqua di oltre il 60%, riducendo inoltre il dilavamento dei fertilizzanti e garantendo una produzione più sana e meno costosa.

Le comunità rurali dello Zimbabwe sono un esempio di come sia indispensabile pensare globalmente ed agire localmente, perché ognuno di noi, può e deve fare la sua parte per contrastare i cambiamenti climatici e per conservare il proprio territorio, senza per questo dover rinunciare al progresso e allambizione di poter dare un futuro migliore ai propri figli.

 

Contenuto editoriale a cura di Cesvi, Ph. credits Giovanni Diffidenti

Emergenza Climatica in Somalia

La Somalia, uno Stato tra i più vulnerabili del mondo, è nuovamente balzato in testa alla cronaca per essere stata colpita dalla peggiore epidemia di locuste verificatasi negli ultimi 25 anni.

A favorire la diffusione delle locuste sono gli sbalzi meteorologici connessi al fenomeno del cambiamento climatico.

La popolazione di questi insetti è esplosa a causa di cicloni, piogge insolitamente abbondanti e, in generale, condizioni climatiche estreme. 

Il dato più drammatico è che uno sciame medio di locuste, che contiene fino a 150 milioni di insetti, può consumare l’equivalente di cibo per 35.000 persone al giorno, un dato estremamente allarmante se pensiamo che in Somalia milioni di persone vivono in uno stato di insicurezza alimentare acuta. 

Questa situazione va ad aggiungersi allo stato di emergenza causato dalle inondazioni che hanno colpito la città di Beletweyne, capoluogo della Regione dell’Hiraan, costringendo 273.000 persone ad abbandonare le proprie case. La devastazione delle inondazioni ha colpito tutto e tutti, 45.000 famiglie hanno perso ogni cosa, compresi i campi che rappresentavano l’unica fonte di sostentamento.

La Somalia è uno stato estremamente vulnerabile martoriato dai conflitti interni e particolarmente esposto alle conseguenze del cambiamento climatico, alternando periodi di siccità a piogge intense e devastanti inondazioni. Il risultato di tutto questo è un ambiente a forte rischio di carestie e insicurezza alimentare. Nel paese sono infatti oltre 4 milioni le persone che hanno bisogno di aiuto umanitario, di cui 2,7 non riescono a soddisfare le proprie esigenze alimentari quotidiane.

Cesvi opera in Somalia dal 2007 con progetti che mirano a proteggere la salute, garantire la nutrizione, la sicurezza alimentare e l’accesso all’acqua potabile e a migliorare la capacità della popolazione di reagire agli shock ricorrenti come gli eventi climatici estremi che minano ulteriormente la vulnerabilità delle persone.

News redatta a cura di CesviPh. credits Fulvio Zubiani

Goal 3: più sport significa più salute e benessere

Nell’Agenda 2030 delle Nazioni unite l’Obiettivo 3 è quello riferito ai temi di salute e benessere.

Fare sport fa bene, lo sappiamo tutti. Ma quanto sport è necessario per condurre e mantenere uno stile di vita sano? L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) raccomanda almeno un’ora di attività fisica al giorno.

Uno studio recente ci dice però che oltre l’80% degli adolescenti, che frequentano regolarmente la scuola, non seguono queste raccomandazioni. Eppure è provato che uno stile di vita sano, che prevede lo svolgimento di una attività fisica regolare durante l’adolescenza, oltre a far funzionare meglio il sistema cardiorespiratorio, muscolare e metabolico, favorisce la salute delle ossa e ha effetti positivi sul peso. Oltre a far bene allo sviluppo cognitivo e alla socializzazione.

Secondo l’Oms serve un’azione urgente per stimolare i giovani, ma anche le loro famiglie, le scuole e i decisori politici ad intraprendere iniziative utili a invertire la tendenza.
Se questo andamento dovesse continuare, segnala l’Oms, l’obiettivo stabilito in occasione dell’Assemblea mondiale sulla salute del 2018 con l’adozione del programma “More active people for a healthier world”, che prevede la riduzione entro il 2030 del 15% dei soggetti inattivi (sia tra gli adulti che tra gli adolescenti), non sarà raggiunto.

Forse non tutti sanno invece che esiste la giornata internazionale della salute che si celebra il 7 aprile di ogni anno dal 1950. La ricorrenza ha l’obiettivo di creare consapevolezza su un tema specifico legato alla salute considerato prioritario dall’Organizzazione mondiale della salute. Il 2020 è l’anno dedicato alla valorizzazione degli infermieri e delle ostetriche per il ruolo vitale che svolgono all’interno dei servizi sanitari.

Per scoprirne di più leggi l’articolo completo qui

Responsabilità editoriale e i contenuti dell’articolo sono a cura dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS)

Didattica digitale e diseguaglianze

Hai mai pensato al ruolo fondamentale che ha la scuola nel contribuire a rimuovere le disuguaglianze e arginare il rischio di esclusione sociale di studenti e studentesse?

Come ActionAid, lavorando quotidianamente a contatto di docenti e minori di tutta Italia, stiamo monitorando le conseguenze sul piano dell’istruzione e della povertà educativa che derivano dalla chiusura delle scuole e dalla sospensione delle attività formative, sportive e aggregative, azioni necessarie in questo periodo di emergenza sanitaria. 

Già prima dell’emergenza i dati relativi alla povertà assoluta nel nostro paese non erano confortanti: le statistiche rilasciate annualmente da Istat dimostrano che il numero di poveri assoluti è più che raddoppiato nell’arco di un decennio. Nel 2005 il numero di persone in povertà assoluta era poco inferiore ai 2 milioni, nei dodici anni successivi è cresciuto fino a raggiungere la quota di 5 milioni di persone. La percentuale di bambini e adolescenti in povertà è triplicata, e attualmente supera il 12%. Questa crescita esponenziale ha aumentato la fragilità economica che è inevitabilmente uno dei fattori (ma non l’unico) che contribuiscono a creare il rischio di povertà educativa.

Purtroppo il nostro paese non riesce a frenare questo rischio neanche nell’ambito dell’educazione, dato che tende a investire sempre meno della media europea. In rapporto al prodotto interno lordo,l’Italia spende il 3,9% del pil in istruzione, contro una media Ue del 4,7%. Un dato inferiore rispetto ai maggiori paesi Ue come Francia (5,4%), Regno Unito (4,7%), Germania (4,2%). Non a caso probabilmente il dato nazionale di dispersione scolastica ha raggiunto il 14,5%. 

In questi giorni il dibattito sulla scuola apre sul tema di quanto la didattica a distanza ampli le diseguaglianze. In primis i docenti di agente0011, che abbiamo coinvolto in una missione/indagine per rilevare direttamente da chi lavora sul campo le problematiche affrontate con la didattica a distanza confermano questo timore in larga maggioranza. 

La didattica a distanza ha evidenziato una frammentazione delle scuole nella risposta all’emergenza, derivata in primo luogo da una mancanza di linee guida operative esaustive del Miur, almeno nell’immediato, relativamente sia alla strumentazione da utilizzare, sia alle risorse e metodologie disponibili per organizzarla. Laddove le scuole sono state in grado di superare un primo momento di confusione e attivare la didattica, i docenti segnalano che la mancanza di dotazioni (hardware e software) rappresenta solo una parte del problema; in alcuni casi la dispersione digitale dipende da una minore presenza o proattività della famiglia, necessaria per supportare i minori nelle nuove dinamiche della didattica a distanza, dall’impossibilità della scuola di raggiungere i/le giovani con disabilità o delle fasce più fragili della società. Ma non possiamo ignorare in questo frangente che molte famiglie, le cui entrate derivano da lavori precari e irregolari, hanno visto da un giorno all’altro un crollo in termini di disponibilità economica.

In un secondo momento, con il Decreto Cura Italia, si sono cercati di colmare dei gap e le risorse arrivate al Miur dal Governo sono stati 85 milioni di euro, già ripartiti per le autonomie scolastiche. Importanti investimenti si stanno quindi destinando alla distribuzione di devices in comodato d’uso e connettività alle famiglie, alle piattaforme digitali da utilizzare per la didattica, alla formazione dei docenti e all’attivazione del supporto degli animatori digitali. 

Alla luce di questi forti investimenti e in attesa di monitorarne l’effettiva efficacia, emerge comunque la necessità di pensare subito alla fase post emergenziale, a come recuperare il gap in termini di apprendimento che si sono generati in questi mesi, in particolare nelle fasce più fragili della società che soffriranno un aggravamento della povertà educativa, a come affrontare le conseguenze psicologiche e sociali dell’isolamento. Alta l’attenzione deve inoltre rimanere sulle risorse e metodologie didattiche che metta nelle condizioni i/le docenti di dare vita a un ambiente di apprendimento dalle caratteristiche nuove e da rimodulare sulla base delle specificità della classe: flessibilità, autonomia, interattività. 

Nell’immediato, quindi, è necessario e urgente introdurre strategie articolate che coinvolgano direttamente sul territorio scuole, servizi sociali e terzo settore. Assicurare il diritto di tutti di ricevere una educazione di qualità, così come previsto anche dall’obiettivo di sviluppo sostenibile 4, deve essere la priorità del nostro paese! 

Vi invitiamo a leggere il rapporto di Openpolis e Fondazione con i bambini del 2019 sul quadro di povertà educativa in Italia https://www.openpolis.it/wp-content/uploads/2019/11/Le-mappe-della-povert%C3%A0-educativa_.pdf

Epidemie tra gli effetti delle devastazioni della natura

Fino ad ora abbiamo evitato di affrontare il tema del momento, l’epidemia di Coronavirus e tutto ciò che ne segue in termini di sanità pubblica ed economia. Negli ultimi tempi è però circolata una riflessione su cui vale la pena soffermarsi.

Secondo quanto riportato da molti scienziati ed esperti, tra cui la direttrice esecutiva del Programma della Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP) Inger Andersen, il dilagare del virus può essere ricondotto, tra le altre cause, anche all’eccessiva pressione che l’uomo ha esercitato negli ultimi decenni nei confronti dell’ambiente.

In altre parole, il comportamento dell’uomo potrebbe aver favorito l’emergere di condizioni favorevoli per il cosiddetto “salto di specie” – detto anche spillover– del virus dagli animali all’uomo. Come infatti abbiamo imparato in queste settimane, spesso questo genere di patogeni rimangono confinati in altre specie animali anche per molto tempo fino a quando, per via di una mutazione genetica, diventano improvvisamente contagiosi anche per l’uomo.

Bene, ma quindi cosa c’entrano i cambiamenti climatici con tutto questo? Secondo gli esperti, per evitare nuove epidemie bisognerà fermare in primo luogo sia il fenomeno del surriscaldamento globale sia la distruzione degli ecosistemi naturali a favore dell’agricoltura, dell’attività estrattiva e anche per creare nuovi spazi da abitare. Tutti questi fenomeni hanno in comune il fatto di  rendere più facile per l’uomo entrare in contatto con specie animali selvatiche, favorendo in alcuni casi il “salto di specie” e la diffusione di malattie sconosciute.

É quindi fondamentale, dopo aver composto l’emergenza sanitaria contro il virus, affrontare la risposta di lungo termine contrastando la perdita degli habitat e della biodiversità. Il motivo è molto semplice, come suggerisce ancora la direttrice dell’UNEP: “ci sono troppe pressioni contemporanee sulla natura, ed essendo intimamente la nostra specie (umana) connessa con essa, se non ci prendiamo cura della natura non ci prendiamo cura nemmeno di noi stessi”.

Il punto è che la distruzione degli ambienti naturali spinge la fauna selvatica a vivere sempre più vicino alle persone, oltre al fatto che lo stesso cambiamento del clima spinge gli animali a spostarsi, creando un’opportunità per gli elementi patogeni (come i virus) di trovare nuovi “ospiti” per la loro proliferazione.

Infine, è la raccomandazione di Aaron Bernstein, della Harvard School of Public Health negli Stati Uniti, è molto importante non dividere le politiche pubbliche da quelle ambientali, poiché la nostra salute dipende interamente dal clima e dagli altri organismi che popolano la terra.

Uisp al fianco di Unar contro razzismo e discriminazioni nello sport

Uisp ha aderito alla campagna: “Il volto dell’Umanità è l’unico che conosco #Maipiùrazzismo”. Sul volto dei nostri soci c’è la “U” di Uisp, che significa Unione

L’Uisp è stata al fianco di Unar-Ufficio nazionale Antidiscriminazioni razziali per la “Settimana d’azione contro il razzismo”. Come ogni anno in questo periodo, l’Unar aveva previsto un ampio calendario di iniziative da realizzare nella settimana dal 16 al 22 marzo. Molte iniziative avrebbero visto l’Uisp protagonista su tutto il territorio nazionale, con il supporto dell’Unar.

Lo sport sociale e per tutti Uisp è ogni giorno impegnato in attività contro razzismo e discriminazioni attraverso lo sport. La frenata di questi giorni e l’emergenza Coronavirus non impediranno, quando le condizioni lo permetteranno, di realizzare l'”Almanacco delle iniziative antirazziste Uisp” con un calendario con vari appuntamenti nelle città e con i Mondiali Antirazzisti.

L’Uisp ha aderito alla campagna dell’Unar: “Il volto dell’umanità è l’unico che conosco #Maipiùrazzismo”. La prima “U” dalla quale incominciare è proprio quella di Uisp. U che significa UNIONE che diventa fratellanza e solidarietà con tutte le persone del mondo, contro ogni razzismo e discriminazione. In questa occasione vogliamo ricordare Mauro Valeri e i suoi insegnamenti: i suoi approfondimenti sociologici e le sue ricerche, ma soprattutto il suo esempio di vita, sono per noi un riferimento costante. L’impegno preso con l’Unar di lanciare l'”Osservatorio nazionale contro le discriminazioni nello sport” rappresenta una tappa del percorso intrapreso insieme a lui.

“Il momento emergenziale che stiamo vivendo ci impedisce la realizzazione di questi eventi, come anche l’avvio dell’Osservatorio Nazionale contro le discriminazioni nello Sport – scrive l’Unar in una nota – uno strumento che auspichiamo possa favorire la prevenzione e il contrasto dell’intolleranza e del razzismo in tutte le competizioni sportive, specie quelle che si svolgono nei contesti meno frequentati dalla grande stampa”. Quest’anno la “Settimana d’azione contro il razzismo” è stata dedicata a chi protegge e salva il prossimo, che si trovi a bordo di una nave civile o militare, in un ospedale a combattere per salvare vite in pericolo, in una strada di notte nei nostri quartieri a distribuire pasti caldi a chi ne ha bisogno.

Goal 17: per raggiungere gli Obiettivi di sviluppo sostenibile serve una collaborazione globale

Il Goal 17 “Partnership per gli obiettivi” fa della partnership non solo uno strumento ma un obiettivo in sé, una specie di appello rivolto a tutte le istituzioni e i Paesi del mondo: quello di collaborare per attuare l’Agenda 2030.

I governi sono ormai pienamente investiti della materia, ma da una ricerca condotta dallo European sustainable development network (Esdn), un’organizzazione che riunisce tutte le persone incaricate di ideare e gestire le politiche per lo sviluppo sostenibile dell’Ue, emerge che è necessario coinvolgere di più i Parlamenti.

Solo nella metà dei 32 Paesi analizzati, infatti, i Parlamenti risultano essere davvero in prima linea. Dato, però, che i Parlamenti sono espressione della volontà popolare, il loro ruolo è fondamentale per mantenere alta l’attenzione sugli Obiettivi di sviluppo sostenibile in ogni politica e dibattito pubblico. Senza contare che il loro coinvolgimento garantirebbe un maggiore coordinamento tra politiche governative e SDGs, che per loro natura sono multiformi e ricadono sotto le competenze di più ministeri. Attualmente la maggior parte dei Paesi per questi temi ha incaricato il proprio ministro degli Esteri o dell’Ambiente, o creato uffici speciali e organismi di coordinamento inter-ministeriali.

Tutti però possono contribuire attivamente e dal basso alla realizzazione dell’Agenda 2030! Il SDG Global Festival of Action è un evento di tre giorni che si tiene ogni anno a Bonn, in Germania, pensato da e per la community internazionale d’azione per gli SDGs. Si tratta di un’iniziativa promossa dalle Nazioni unite per riunire attivisti, artisti, innovatori e leader dei diversi settori e connetterli affinché trovino nuovi strumenti per ispirare le persone e le organizzazioni ad agire per il pianeta.

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Responsabilità editoriale e i contenuti dell’articolo sono a cura dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS)

Goal 12: tocca a noi essere produttori e consumatori responsabili

Se è vero l’Agenda 2030 delle Nazioni unite dovrebbe essere attuata da tutti gli Stati del mondo, è altrettanto vero che anche tutti noi come consumatori siamo chiamati a fare la nostra parte. In che modo?

Ad esempio riciclando, laddove possibile, i prodotti che utilizziamo e i loro imballaggi.

Il nostro Paese può vantare risultati molto positivi su economia circolare e industria del riciclo raggiunti negli ultimi 20 anni. Nel 1998 la percentuale di recupero e riciclo era inferiore al 20%. Da allora, i quantitativi di rifiuti da imballaggio che hanno evitato la discarica sono sempre cresciuti fino a raggiungere gli obiettivi di riciclo fissati dall’Unione europea al 2025, per cinque dei sei materiali di imballaggio.

Ma possiamo immaginare anche nuovi modelli di business sostenibili? Certamente sì! Alcune idee innovative di start up sono state presentate da studenti di scuole superiori durante la Changemaker competition, tenutasi a Roma lo scorso 4 novembre. Alcuni ragazzi, ad esempio, hanno presentato la start up Number wine, proponendo di rivoluzionare il sistema di packaging nell’industria vinicola tramite la ridefinizione delle fasi del processo produttivo del vetro, del tappo, della colla e della carta dell’etichetta e l’utilizzo di materiali sostenibili e riciclabili. Non sono mancate proposte digitali come App-Orti, un’app volta a potenziare la condivisione di pratiche sostenibili nella creazione e nel mantenimento di orti urbani in spazi inutilizzati.

Insomma ognuno può trovare il proprio modo di fare la differenza! Contano molto anche le scelte di consumo che tutti noi possiamo fare privilegiando l’acquisto di beni prodotti in maniera responsabile, secondo criteri che garantiscano non solo il rispetto dell’ambiente, ma anche i diritti dei lavoratori. Va in questa direzione l’iniziativa “Saturdays for future” promossa dall’ASviS e da Next – Nuova economia x tutti, che mira a sensibilizzare persone e imprese sul consumo e la produzione responsabili.

L’obiettivo è trasformare il sabato, durante il quale la maggior parte degli italiani si dedica alla spesa settimanale, nel giorno dell’impegno a favore dello sviluppo sostenibile per contribuire a realizzare il Goal 12 dell’Agenda 2030. La sensibilizzazione verso il cambio di abitudini di spesa, soprattutto da parte dei giovani e delle loro famiglie, potrà innescare un processo virtuoso, incidere positivamente sui modelli di produzione e rendere le aziende più responsabili e più sostenibili sul piano ambientale e sociale.

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