Riflessioni sulla sostenibilità ambientale

Il tema della sostenibilità ambientale è spesso presente nel dibattito e nei mezzi di comunicazione. È una questione molto complessa, in quanto mette in gioco la scienza, l’economia, la politica e perfino la morale.  

Inoltre, è trasversale a quasi ogni aspetto della vita sociale. Non a caso, nell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile non solo vi sono obiettivi che si concentrano su tale ambito (in particolare il 12 sui modelli di produzione, il 13 sul cambiamento climatico, il 14 sui mari e il 15 sugli ecosistemi terrestri), ma la maggioranza degli altri tocca la questione della sostenibilità ambientale: il 2 in relazione alla produzione di cibo, il 6 sull’acqua, il 7 sull’energia, l’8 sulla crescita economica, il 9 sulle infrastrutture e l’industria e l’11 sugli insediamenti umani. 

Opportunamente gli obiettivi dell’Agenda 2030 uniscono l’accesso ad un bene o servizio alla sua sostenibilità ambientale: non è infatti accettabile che una parte della popolazione non abbia accesso a beni e servizi essenziali – oppure acceda a questi in misura significativamente inferiore rispetto ad altri gruppi; al tempo stesso, tale accesso ha un impatto ambientale e ciò va tenuto in conto. 

Infatti, la maggioranza della comunità scientifica è concorde nell’affermare che l’attuale modello di sviluppo determina un impatto ambientale non sostenibile per il nostro pianeta, con conseguenze che colpiscono e colpiranno in primis alcuni luoghi e alcune fasce della popolazione, ma, a lungo andare, tutti e tutte.  

I cambiamenti necessari ad affrontare questa crisi devono essere osservati attentamente, per comprendere: 

  1. Se la soluzione proposta determina un vero beneficio, a livello globale 
  1. Chi deve sopportare i costi dell’implementazione di tale soluzione  

Quanto al primo punto, vanno tenuti in conto molti aspetti. Per esempio, nella valutazione se è opportuno sostituire un bene più inquinante, con uno meno inquinante (ad es. un’automobile), si deve considerare tutto il ciclo di vita del prodotto, dall’estrazione delle materie prime, al trasporto dei componenti, sino allo smaltimento del bene stesso.  

Quanto al secondo, bisogna capire come, ad es. l’aumento del prezzo di un bene, come il carburante, influisce sulle diverse fasce di popolazione e di conseguenza prevedere forme che compensino determinati cambiamenti non esacerbando l’ingiustizia sociale. 

Lotto M’arzo

In occasione dello sciopero femminista globale dell’8 marzo migliaia di donne e persone LGBTQAI+ sono scese in piazza per ribadire con forza la necessità di sovvertire e smantellare i sistemi di oppressione che affondano le proprie radici nel patriarcato, nel razzismo e nel neoliberismo.

Come scrive anche il movimento Non Una Di Meno nell’appello per lo sciopero, quest’anno “lo sciopero femminista e transfemminista è la nostra risposta alla produzione e riproduzione di un sistema basato sulla violenza strutturale, di cui le guerre sono una delle espressioni più organizzate e intense. Per questo l’8 marzo di quest’anno lo sciopero femminista e transfemminista sarà anche uno sciopero contro la guerra e contro il riarmo! Dire no ai conflitti militari con una lettura femminista e transfemminista è riconoscere che sono il frutto di una violenza imperialista e di Stato ed espressione di rapporti di dominio, che impongono conseguenze pesantissime alle popolazioni coinvolte con differenze determinate dalle gerarchie sessiste, classiste e razziste”.  

È infatti evidente come l’attuale sistema economico, politico e sociale stia drasticamente rafforzando le diseguaglianze e sfruttando in maniera insostenibile il nostro pianeta: la crisi climatica, così come sessismo, razzismo, neocolonialismo ed etero-normatività sono i cardini di questo sistema che rafforza in particolare gli squilibri tra Nord e Sud del mondo.

È quindi indispensabile che movimenti, comunità e persone si uniscano per far sentire la loro voce e promuovere alternative radicali e femministe attraverso un’agenda che promuova una transizione giusta, verde e femminista per rispondere alla crisi multiple che si intersecano e sono ulteriormente esacerbate dalla pandemia in corso.

Una transizione giusta, verde e femminista significa riorganizzare l’economia, la società e la politica mettendo la cura al centro. Un’economia basata sulla cura si basa sulla redistribuzione delle risorse e sul diritti al lavoro dignitoso; sulla cura per l’ambiente e gli ecosistemi; sulla trasformazione profonda dei nostri sistemi di produzione e consumo; sulla riaffermazione del contratto sociale tra istituzioni internazionali, gli Stati e le persone seguita da un forte investimento nell’infrastruttura pubblica e nella cura; significa mettere al centro le persone, in particolare donne e giovani che stanno pagando il prezzo più alto di questa crisi, riconoscendo il loro potere nel guidare il cambiamento; significa favorire la pace e la sicurezza a livello globale. 

Le battaglie per una transizione giusta, verde e femminista si pongono l’obiettivo di sovvertire le dinamiche di potere ineguali e mettere in campo un approccio femminista intersezionale, decoloniale e antirazzista che metta al centro la capacità di agire (agency) attiva di donne e giovani che affronti le discriminazioni multiple basate su razza, genere, sesso, orientamento sessuale, disabilità, età, etnia, nazionalità, religione etc. 

 

Qui trovi il racconto di Radiosonar della giornata di sciopero in diverse città: https://radiosonar.net/lotto-marzo-2022-no-war/?fbclid=IwAR06mkXlkL_Fh2VkS8tm5lBMojVdo0vc7gmufTex6aVXV_x2BgUZlA4ipoI  

Qui trovi la raccolta foto delle manifestazioni che si sono svolte in tutta Italia in occasione dello sciopero femminista: https://www.facebook.com/media/set/?vanity=nonunadimeno&set=a.3417237575163110  (foto credit copertina: facebook NUDM)

Guerra in Ucraina: il costo ambientale per il nostro pianeta

Come già saprete, da alcuni giorni in Ucraina è in corso la guerra. Era nell’aria da settimane, con le forze russe schierate ai confini del paese limitrofo ufficialmente per svolgere alcune esercitazioni militari, che sono sfociate in guerra giovedì 24 febbraio con l’invasione del territorio ucraino.

Da allora, tutto il mondo sta seguendo con il fiato sospeso quello che si preannuncia come l’ennesimo scontro in cui a rimetterci, come sempre e più di tutti, saranno i civili inermi: famiglie, bambine e bambini, giovani e meno giovani che vivranno nel terrore dei bombardamenti oppure al fronte. Come per tutte le guerre, il bilancio finale si abbatterà sulla pelle delle persone, che perderanno persone care, la propria casa, la propria scuola, e in alcuni casi saranno costrette ad abbandonare il proprio paese e le proprie radici.

Ma la guerra, ovunque essa sia, porta con sé anche altre conseguenze catastrofiche, magari più silenziose ma altrettanto drammatiche. Numerosi osservatori, infatti, hanno avvertito che questo ultima escalation di violenza potrebbe causare devastazioni a lungo termine anche per l’ambiente, e più in generale per la vita sulla terra (SDG 13).

Naturalmente, alcune tra le preoccupazioni maggiori riguardano la vulnerabilità dei siti nucleari presenti sul territorio ucraino: dalla cosiddetta “zona di alienazione” di Chernobyl, ovvero l’area oggi interdetta intorno alla centrale nucleare oggetto del famoso incidente del 1986, alle quattro centrali nucleari tutt’ora in funzione che potrebbero essere colpite dall’artiglieria russa provocando una catastrofe le cui conseguenze potrebbero durare secoli.

Tuttavia  il pericolo non riguarda solo i siti sensibili dove si maneggia materiale radioattivo. Come puntualizzato da Richard Pearshouse, responsabile di Crisi e ambiente di Amnesty International, la zona orientale dell’Ucraina (dove si trova la regione del Donbas, uno degli epicentri della guerra) è piena di siti industriali come impianti metallurgici, fabbriche chimiche, centrali elettriche e miniere in disuso: tutti siti estremamente pericolosi in caso di attacco o distruzione, che se danneggiati potrebbero portare conseguenze estreme in termini di inquinamento e avvelenamento dei terreni e delle acque della regione.

Nonostante le leggi che regolano i conflitti militari proibiscano gli attacchi intenzionali alle infrastrutture civili, è evidente che la forza deterrente di queste previsioni lasci il tempo che trova, in tempo di guerra: peraltro, combattere all’interno di aree densamente popolate e urbanizzate comporta un rischio non indifferente che questo genere di attacchi avvengano anche accidentalmente.

Oltre al pericolo di un eventuale coinvolgimento delle infrastrutture industriali ed energetiche che la guerra inevitabilmente porta con sé, con tutte le conseguenze in termini di devastazione ambientale, vi è anche un altro aspetto, meno conosciuto ma altrettanto preoccupante.  L’Ucraina, infatti, è uno dei principali paesi coltivatori ed esportatori di cereali, che esporta in tutto il mondo e in particolare in Africa e Medio Oriente. Tra le conseguenze che la guerra minaccia di portare con sé, questa volta, c’è il timore che si possa assistere a fenomeni di mancanza di queste materie prime fondamentali con conseguente minaccia alla sicurezza alimentare di queste aree che, come riportato dal direttore esecutivo del World Food Programme David Beasley, sono già messe a dura prova dalle conseguenze di due anni di pandemia.

Le radici di questa potenziale catastrofe, come spesso accade, non sono recenti. L’area del Donbas, che è teatro di una guerra civile già da oltre 8 anni, è un territorio a rischio da diverso tempo. In generale, i territori orientali dell’Ucraina erano già tra i più inquinati del Paese per via della forte vocazione industriale dell’area. Se già prima della guerra – scoppiata nel 2014 – la vulnerabilità ambientale del Donbass era minacciata dalla presenza di numerosi siti industriali (con le relative emissioni, scorie e rifiuti tossici di vario genere), gli anni di sosta forzata o l’abbandono delle fabbriche e degli impianti hanno aumentato ulteriormente il rischio di disastri ambientali legati all’incuria e alla mancanza di manutenzione.

Il mancato mantenimento delle infrastrutture idriche ha fatto sì che liquami vari non trattati (e contenenti metalli pesanti come piombo, arsenico, mercurio) si siano riversati nel fiume Donetsk, mettendo in pericolo tutte le persone, le colture e le attività che dipendono da quelle acque. Persino le bombe inesplose, che rappresentano un grave rischio per i civili per anni anche dopo la fine degli scontri, rappresentano una minaccia per il suolo, poiché rilasciano sostanze tossiche di ogni tipo che avvelenano il terreno e le falde acquifere.

Infine, per non farci mancare proprio niente, l’area è profondamente vulnerabile anche dal punto di vista della tutela del patrimonio boschivo. I bombardamenti e la devastazione causata dalla guerra del 2014, insieme con gli effetti del cambiamento climatico, hanno reso l’Ucraina orientale “terreno fertile” per gli incendi. Secondo dati dell’ONU, il conflitto in Donbas ha distrutto un’area di circa 530mila ettari di terreno, compresi 18 parchi naturali. Si riporta che degli oltre 12mila incendi boschivi dell’area, buona parte siano dovuti ad effetti collaterali dei bombardamenti.

L’Ucraina è dunque già in una posizione estremamente delicata dal punto di vista ambientale, e questo conflitto potrebbe ulteriormente peggiorare le cose. Anche se l’Ucraina occupa solo il 6% della superficie in Europa possiede il 35% della biodiversità del continente. Ma lungi da noi pensare che eventualità del genere possano diventare un problema solo per chi abita quelle aree: le frontiere dei paesi, naturalmente, non sono una barriera per gli eventi naturali catastrofici e, qualora dovessero verificarsi gli eventi evidenziati finora, l’impatto si estenderà oltre i confini e colpirà gli ecosistemi di tutto il nord Europa e della Russia.

Per questo,  come dichiarato da una funzionaria dello UN Environment Programme, “c’è un urgente bisogno di monitoraggio ecologico per valutare e minimizzare i rischi ambientali derivanti dal conflitto armato.

Ma, prima di tutto, c’è un bisogno urgente che venga cessato il fuoco immediatamente e che venga messa fine a questa ennesima catastrofe umanitaria e ambientale.

BEST TEAM of the MONTH: febbraio 2022!

Care e cari agenti,

Eccoci con il nostro appuntamento mensile per scoprire i nomi dei vincitori del mese di febbraio!

Congratulazioni invece ai team che sono riusciti ad aggiudicarsi il primo posto nelle relative categorie. Scopriamoli insieme!

 

SCUOLA:

  1. Categoria 5-10 anni: Agenti Speciali Carema, di Carema (TO)
  2. Categoria 11-13 anni: Prima D, di Melito di Porto Salvo (RC)
  3. Categoria 14-19 anni: Terza Special, di Messina (ME)

 

Potete consultare la classifica definitiva sul portale, attraverso la pagina personale del vostro team. Ricordiamo che si aggiudica il titolo di “Best Team of the Month” il team con più punti che non ha ancora vinto il titolo. La classifica generale sarà tenuta in considerazione per decretare i “Best Team of the Year” alla fine della challenge.

Ancora congratulazioni ai team che hanno raggiunto la vetta per questo mese, e un grande in bocca al lupo a tutti gli altri che riusciranno a farlo nelle prossime settimane.