Come già saprete, da alcuni giorni in Ucraina è in corso la guerra. Era nell’aria da settimane, con le forze russe schierate ai confini del paese limitrofo ufficialmente per svolgere alcune esercitazioni militari, che sono sfociate in guerra giovedì 24 febbraio con l’invasione del territorio ucraino.
Da allora, tutto il mondo sta seguendo con il fiato sospeso quello che si preannuncia come l’ennesimo scontro in cui a rimetterci, come sempre e più di tutti, saranno i civili inermi: famiglie, bambine e bambini, giovani e meno giovani che vivranno nel terrore dei bombardamenti oppure al fronte. Come per tutte le guerre, il bilancio finale si abbatterà sulla pelle delle persone, che perderanno persone care, la propria casa, la propria scuola, e in alcuni casi saranno costrette ad abbandonare il proprio paese e le proprie radici.
Ma la guerra, ovunque essa sia, porta con sé anche altre conseguenze catastrofiche, magari più silenziose ma altrettanto drammatiche. Numerosi osservatori, infatti, hanno avvertito che questo ultima escalation di violenza potrebbe causare devastazioni a lungo termine anche per l’ambiente, e più in generale per la vita sulla terra (SDG 13).
Naturalmente, alcune tra le preoccupazioni maggiori riguardano la vulnerabilità dei siti nucleari presenti sul territorio ucraino: dalla cosiddetta “zona di alienazione” di Chernobyl, ovvero l’area oggi interdetta intorno alla centrale nucleare oggetto del famoso incidente del 1986, alle quattro centrali nucleari tutt’ora in funzione che potrebbero essere colpite dall’artiglieria russa provocando una catastrofe le cui conseguenze potrebbero durare secoli.
Tuttavia il pericolo non riguarda solo i siti sensibili dove si maneggia materiale radioattivo. Come puntualizzato da Richard Pearshouse, responsabile di Crisi e ambiente di Amnesty International, la zona orientale dell’Ucraina (dove si trova la regione del Donbas, uno degli epicentri della guerra) è piena di siti industriali come impianti metallurgici, fabbriche chimiche, centrali elettriche e miniere in disuso: tutti siti estremamente pericolosi in caso di attacco o distruzione, che se danneggiati potrebbero portare conseguenze estreme in termini di inquinamento e avvelenamento dei terreni e delle acque della regione.
Nonostante le leggi che regolano i conflitti militari proibiscano gli attacchi intenzionali alle infrastrutture civili, è evidente che la forza deterrente di queste previsioni lasci il tempo che trova, in tempo di guerra: peraltro, combattere all’interno di aree densamente popolate e urbanizzate comporta un rischio non indifferente che questo genere di attacchi avvengano anche accidentalmente.
Oltre al pericolo di un eventuale coinvolgimento delle infrastrutture industriali ed energetiche che la guerra inevitabilmente porta con sé, con tutte le conseguenze in termini di devastazione ambientale, vi è anche un altro aspetto, meno conosciuto ma altrettanto preoccupante. L’Ucraina, infatti, è uno dei principali paesi coltivatori ed esportatori di cereali, che esporta in tutto il mondo e in particolare in Africa e Medio Oriente. Tra le conseguenze che la guerra minaccia di portare con sé, questa volta, c’è il timore che si possa assistere a fenomeni di mancanza di queste materie prime fondamentali con conseguente minaccia alla sicurezza alimentare di queste aree che, come riportato dal direttore esecutivo del World Food Programme David Beasley, sono già messe a dura prova dalle conseguenze di due anni di pandemia.
Le radici di questa potenziale catastrofe, come spesso accade, non sono recenti. L’area del Donbas, che è teatro di una guerra civile già da oltre 8 anni, è un territorio a rischio da diverso tempo. In generale, i territori orientali dell’Ucraina erano già tra i più inquinati del Paese per via della forte vocazione industriale dell’area. Se già prima della guerra – scoppiata nel 2014 – la vulnerabilità ambientale del Donbass era minacciata dalla presenza di numerosi siti industriali (con le relative emissioni, scorie e rifiuti tossici di vario genere), gli anni di sosta forzata o l’abbandono delle fabbriche e degli impianti hanno aumentato ulteriormente il rischio di disastri ambientali legati all’incuria e alla mancanza di manutenzione.
Il mancato mantenimento delle infrastrutture idriche ha fatto sì che liquami vari non trattati (e contenenti metalli pesanti come piombo, arsenico, mercurio) si siano riversati nel fiume Donetsk, mettendo in pericolo tutte le persone, le colture e le attività che dipendono da quelle acque. Persino le bombe inesplose, che rappresentano un grave rischio per i civili per anni anche dopo la fine degli scontri, rappresentano una minaccia per il suolo, poiché rilasciano sostanze tossiche di ogni tipo che avvelenano il terreno e le falde acquifere.
Infine, per non farci mancare proprio niente, l’area è profondamente vulnerabile anche dal punto di vista della tutela del patrimonio boschivo. I bombardamenti e la devastazione causata dalla guerra del 2014, insieme con gli effetti del cambiamento climatico, hanno reso l’Ucraina orientale “terreno fertile” per gli incendi. Secondo dati dell’ONU, il conflitto in Donbas ha distrutto un’area di circa 530mila ettari di terreno, compresi 18 parchi naturali. Si riporta che degli oltre 12mila incendi boschivi dell’area, buona parte siano dovuti ad effetti collaterali dei bombardamenti.
L’Ucraina è dunque già in una posizione estremamente delicata dal punto di vista ambientale, e questo conflitto potrebbe ulteriormente peggiorare le cose. Anche se l’Ucraina occupa solo il 6% della superficie in Europa possiede il 35% della biodiversità del continente. Ma lungi da noi pensare che eventualità del genere possano diventare un problema solo per chi abita quelle aree: le frontiere dei paesi, naturalmente, non sono una barriera per gli eventi naturali catastrofici e, qualora dovessero verificarsi gli eventi evidenziati finora, l’impatto si estenderà oltre i confini e colpirà gli ecosistemi di tutto il nord Europa e della Russia.
Per questo, come dichiarato da una funzionaria dello UN Environment Programme, “c’è un urgente bisogno di monitoraggio ecologico per valutare e minimizzare i rischi ambientali derivanti dal conflitto armato.
Ma, prima di tutto, c’è un bisogno urgente che venga cessato il fuoco immediatamente e che venga messa fine a questa ennesima catastrofe umanitaria e ambientale.