Goal 8: lavoro dignitoso per tutti e crescita economica inclusiva, una bella sfida!

Il mondo del lavoro, questo sconosciuto! Per chi come voi è ancora alle prese con la scuola, il tema può apparire lontano e di poco interesse, ma non è così se volgiamo lo sguardo sullo scenario globale dove si contano ben 267 milioni di neet (not in education, employment or training), ovvero di giovani di età compresa tra i 15 e i 24 anni che non lavorano, non studiano e non frequentano corsi di formazione.

L’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil), in un recente rapporto pubblicato a gennaio 2020, ci dice che nel mondo ci sono 188 milioni di disoccupati, 165 milioni di persone non retribuite adeguatamente e 120 milioni di persone hanno smesso di cercare lavoro o non vi hanno accesso. Una situazione che contrasta molto con le ambizioni del Goal 8 “Lavoro dignitoso e crescita economica” dell’Agenda 2030 delle Nazioni unite che, invece, punta a garantire un lavoro dignitoso e una crescita economica duratura, inclusiva e sostenibile per tutti. Che significa tutto ciò? Che avere un semplice lavoro non basta a garantire una vita dignitosa. Infatti, la mancanza di reddito costringe spesso i lavoratori ad accettare lavori in nero, con basse retribuzioni e senza diritti sul lavoro. Senza contare che a causa delle discriminazioni di genere, nel 2019, il tasso di attività femminile risultava essere solo del 47%, rispetto al 73% di quello maschile.

La situazione del mondo del lavoro è inoltre strettamente legata al funzionamento del nostro attuale sistema economico. Da un sondaggio realizzato dalla multinazionale Edelman, risulta che, nonostante un’economia globale forte e un’alta occupazione, la maggior parte degli intervistati non pensa che tra cinque anni starà meglio e più della metà (56%) crede che il capitalismo nella sua forma attuale stia apportando più danni che benefici al mondo. La sfiducia è guidata da un crescente senso di iniquità e ingiustizia nel sistema, ma anche dall’incapacità del sistema odierno di vincere le sfide della nostra epoca.

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Responsabilità editoriale e i contenuti dell’articolo sono a cura dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS)

Insegnare ai tempi del Coronavirus. Le voci dei docenti

In queste settimane la scuola è chiamata ad affrontare una grande sfida e imparare a muoversi in uno scenario completamente nuovo sia per gli insegnanti che per gli alunni.  Ce lo avete ricordati in tanti e tante docenti, partecipando alla  mappatura dei bisogni avvenuta tramite la compilazione del questionario sulle problematiche e bisogni emersi con la didattica digitale, e con l’interlocuzione diretta con docenti e/o dirigenti che abbiamo quotidianamente nei progetti, in primis Agente0011. 

Abbiamo raccolto circa una 60ina di questionari da tutta Italia e seppur il dato delle scuole che avevano o hanno attivato sistemi di didattica on-line è abbastanza buono (75%), emergono 3 macro aree di riflessione:

  • una debolezza strutturale del sistema relativamente all’insufficienza di dotazioni, forme organizzative e metodologie per conciliare in un modello nuovo la didattica tradizionale e quella a distanza;
  • un’autonomia scolastica e una didattica digitale, vanto del Miur, che rischia di inasprire le diseguaglianze  e di creare differenti opportunità anche in questo frangente: il fenomeno della dispersione digitale risulta onnipresente, almeno 2 casi per classe;
  • l’emersione di casi di eccellenza, docenti e scuole che sin da subito con la loro professionalità e passione per l’educazione e per la loro missione, che si sono attivati per studenti e studentesse.

Ecco i dati più interessanti emersi dall’analisi:

  • Anche lì dove una struttura di didattica digitale è presente, la percentuale di coloro che confermano l’organizzazione di momenti di condivisione vis à vis online, resta bassa (circa il 55%). 
  • Il 70% dei rispondenti segnala la necessità di intervenire corposamente e anche singolarmente sull’adattamento dei contenuti didattici e sulle modalità di interazione nuove con i propri alunni;
  • Il 50% degli intervistati manifesta una difficoltà nel raggiungere tutti e tutte le studenti: per mancanza di strumentazione, mancanza di supporto delle famiglie o disinteresse, per disabilità o Bes.
  • Tutti i docenti coinvolti intravvedono problematiche serie: l’85% l’aumento di difficoltà per le fasce più deboli o a rischio dispersione scolastica, il 53% Ritardi e rincorsa ai programmi e al raggiungimento obiettivi annuali e il 57,4% Difficoltà per la valutazione degli studenti e delle studentesse e mancanza di linee guida chiare.
  • Sino al termine dell’emergenza, i docenti richiedono principalmente alle associazioni del Terzo Settore: un supporto allo svolgimento della didattica digitale (44%), contenuti e attività adattate al contesto emergenziale per stimolare gli e le studenti (63%), formazioni on-line di approfondimento contenuti o di scambio di esperienze (46%).
  • Interessanti le priorità invece richieste per il post-emergenza Covid19, che principalmente vertono in ordine di priorità su: supporto a famiglie o ai singoli minori “fragili” (68%), supporto invece ai docenti per la formazione e la didattica on-line in ottica del futuro (40%) e supporto in richieste specifiche/Linee guida chiare  al Miur (40%). 

Per quanto riguarda Agente0011, il 71% ci conferma di averlo inserito nella didattica online quotidiana e il 74% che alcune missioni sono direttamente svolte dai singoli studenti e studentesse. Il 77% conferma che anche in questo frangente, Agente0011 permette di tenere attive le classi e raggiungere gli obiettivi annuali, è sempre un valore aggiunto. Il 60% ci ha richiesto l’adattamento missioni al contesto casalingo e il 30% Dei video di persone di staff di incoraggiamento alle classi e dei webinair di confronto. 

Per questo motivo abbiamo anche riattivato la pagina Instagram #Agente0011 con attività e contenuti quotidiani, in modo tale che studenti e studentesse possano usufruirne direttamente!

Concludiamo questa panoramica di risultati con un’intervista direttamente a Chiara, docente di scienze e matematica nonché responsabile di plesso nella scuola secondaria di primo grado di Pinerolo (Torino) e coordinatrice del team Obiettivi Futuri di Agente001, cui abbiamo chiesto come sta vivendo questo periodo.

Le persone stanno seguendo le regole scrupolosamente anche se per alcuni, in un primo momento, è stato difficile. Abbiamo organizzato la didattica a distanza, dapprima attraverso il registro elettronico e poi attraverso Google classroom. La nostra scuola aveva già un account per Google education e molti docenti dell’istituto avevano seguito durante lo scorso anno un corso per l’uso della piattaforma. Non è stato facile ma, dopo il primo smarrimento, ora le famiglie e gli alunni si stanno abituando alla nuova modalità. L’organizzazione delle lezioni non è affatto semplice e le difficoltà possono essere molteplici: dalla connessione non sempre costante che penalizza la qualità delle lezioni al dover modificare la didattica in tempi record. Inoltre, può essere un problema “la richiesta del numero di dispositivi per famiglia. Io ho tre figli, di cui due alle superiori, che sono connessi dalle 8 del mattino almeno fino alle 14, il terzo ha anche videolezioni e poi ci sono io che devo fare le mie. Questo significa quadruplicare i device. C’è inoltre il rischio di perdere una parte di alunni e quindi la scuola diventa esclusiva. Si perdono quegli alunni che non hanno un contesto famigliare di supporto”.

ActionAid ha il piacere di collaborare con Chiara da qualche anno, da quando, con le sue classi, partecipa ad “Agente 0011”.

Anche il ruolo delle associazioni del terzo settore è importante in questo momento perché ci stanno fornendo delle attività di didattica innovativa e non formale da proporre agli alunni. Agente0011, ad esempio, è uno stimolo per i ragazzi ad approfondire anche argomenti diversi e a usare le tecnologie in modo costruttivo, anche se inevitabilmente manca la dimensione dell’attività di gruppo”.

Quando le chiediamo cosa le manca più di tutto in questo momento e quali saranno le priorità una volta che si potrà ritornare a scuola non ha dubbi.
Il recupero della didattica laboratoriale, la dimensione dell’imparare facendo, ma con il confronto diretto. Questa insieme alla trasmissione non verbale è ciò che mi manca di più in questo momento. Il docente non è un semplice propinatore di nozioni, ma è dall’interazione con la classe che nasce l’apprendimento. È un momento difficile per tutti, ma dobbiamo prenderlo anche come un’opportunità. Da questo periodo non si tornerà completamente indietro, si scopriranno potenzialità anche in questa didattica, che però non cancellerà mai l’importanza dei rapporti umani”.

Grazie a Chiara e a tutto il corpo docente italiano che anche in questa situazione di emergenza dimostra sempre la passione per la missione dell’educazione. Noi di Agente0011 siamo al vostro fianco!

La sfida della Fame e del Cambiamento Climatico

Fame e cambiamento climatico sono due sfide interconnesse che richiedono azioni immediate e soluzioni a lungo termine. L’indice Globale della Fame 2019 (GHI, Global Hunger Index) indica come assolutamente urgente favorire dei percorsi di sviluppo che rispettino gli impegni presi nell’Accordo di Parigi e includano interventi di adattamento e sviluppo sostenibile: priorità alla resilienza, trasformazione dei sistemi alimentari e azioni per mitigare il cambiamento climatico senza compromettere la sicurezza alimentare e nutrizionale.

Il cambiamento climatico ha effetti devastanti su sicurezza alimentare, biodiversità, risorse idriche, ecosistemi, suolo e produzione agricola, con conseguenze su larga scala ovunque. Senza misure di adattamento entro il 2030 le rese mondiali dei raccolti diminuiranno in media del 2% per decennio, colpendo maggiormente le regioni più insicure dal punto di vista alimentare ed alimentando tensioni e disuguaglianze.

L’Indice 2019 evidenzia che complessivamente la fame nel mondo sta passando da grave a moderata, con un calo del 31% rispetto al punteggio di GHI registrato nel 2000. Tuttavia, la percentuale di popolazione che non ha regolare accesso a calorie sufficienti è stagnante dal 2015, il numero di persone che soffrono la fame è salito a 822 milioni (erano 795 milioni nel 2015) e sono 149 milioni i bambini vittime di arresto della crescita a causa della malnutrizione. In molti paesi i progressi sono troppo lenti per poter raggiungere entro il 2030 l’Obiettivo Fame Zero (SDG 2); al ritmo attuale, infatti, circa 45 paesi non riusciranno ad attestarsi nemmeno ad un livello di fame basso.

“Con l’aumento del numero di persone che soffrono la fame – commenta Mary Robinson

professoressa aggiunta di giustizia climatica al Trinity College di Dublino – non possiamo più permetterci di considerare l’Agenda 2030 e l’Accordo di Parigi sul clima una questione volontaria, che ogni stato membro può decidere autonomamente. La piena attuazione di entrambi è diventata invece imperativa al fine di garantire un mondo vivibile per i nostri figli e nipoti.”

Scarica il report completo su www.indiceglobaledellafame.org

Contenuto editoriale a cura di Cesvi, foto credit di Gianfranco Ferraro

Diritti sempre in primo piano. Le voci da ActionAid Palestina

Oggi vogliamo spingerci fuori dai confini dell’Italia e raccontarvi cosa sta succedendo in Palestina, tramite le parole e gli occhi dei nostri colleghi e delle nostre colleghe, attivi sin dal primo giorno del lockdown da Covid19.

ActionAid ha iniziato a operare nei territori palestinesi occupati nel 2007, realizzando iniziative in Cisgiordania (Area C) destinate a fasce di popolazione vulnerabili: la carenza di servizi di base, come la fornitura di acqua e corrente elettrica, la carenza di opportunità di sviluppo economico e sociale e i bassi redditi pro capite legati allo scarso accesso al mercato del lavoro hanno conseguenze drammatiche sulla vita della popolazione. Nei territori palestinesi occupati le limitazioni in termini di libertà di movimento e organizzazione, i continui rischi di demolizioni di case e di altre infrastrutture oltre che l’evacuazione forzata, l’assenza di opportunità educative e possibilità di lavoro, spinge moltissimi giovani ad abbandonare le comunità di origine.

Per approfondire la storia del paese e il lavoro di ActionAid Palestina vi invitiamo ad approfondire qui.  

Dalla fine di febbraio, lo staff di ActionAid Palestina sta lavorando per sviluppare un piano di risposta efficace all’Emergenza Covid19, che come sappiamo, oltre che sul piano sanitario, è un’emergenza sociale: il lockdown e le misure di prevenzione colpiscono in particolare le fasce di popolazione più fragili, in Italia e ancor di più in altri paesi come appunto la Palestina, dove la situazione economico-sociale è di per sé più complessa. Questa risposta preventiva e alimentare mira a proteggere le comunità più fragili, a rafforzare la loro resilienza e la loro sicurezza alimentare per contrastare l’impatto di questo virus. Nel breve periodo, rispondere alle esigenze di queste comunità attenuerà gli impatti sociali ed economici causati dall’isolamento totale e dall’insicurezza alimentare, contribuendo anche agli sforzi nazionali per combattere questa pandemia nei territori palestinesi occupati (oPt).

Il piano contribuisce inoltre a promuovere il ruolo delle donne e dei giovani nelle azioni di preparazione e risposta all’emergenza, che capitalizza al tempo stesso la loro leadership e la loro influenza attraverso lo spazio decisionale esistente.

Il direttore nazionale di AAP, Ibrahim Ibraigheth ha detto: “Chiediamo di consolidare gli sforzi nazionali con gli sforzi delle forze politiche, delle organizzazioni della società civile e del settore privato per combattere questa pandemia”.

La prima mappatura di bisogni effettuata dai colleghi insieme ai partner locali stimava l’urgente necessità di fornire kit igienico-sanitari, cibo e supporto psico-sociale, in particolare a donne e ragazze, a circa 1.700 famiglie. ActionAid Palestina si è immediatamente attivata per formare e attivare 27 gruppi di giovani, creati negli ultimi due anni a Hebron e Betlemme, per un totale di circa 580 tra ragazze e ragazzi, per:

  • Lanciare campagne social tramite i loro personali account per informare e accrescere la consapevolezza sui rischi del virus, le misure preventive e le misure messe in campo da ActionAid;
  •  Offrire supporto volontario alle loro comunità per check medici;
  • Distribuire 300 kit igienico-sanitari e pacchi alimentari, raggiungendo circa 1.600 beneficiari
  • Promuovere una iniziativa di donazione di pacchi alimentari alla popolazione per supportare in quarantena le famiglie più bisognose

Alcuni di questi giovani, insieme allo staff di ActionAid, hanno ricevuto una formazione professionale per la risposta all’emergenza, organizzata dalla Croce Rossa e dalla Sanità nazionale palestinese. ActionAid ha inoltre provveduto a organizzare velocemente la richiesta e fornitura dei kit igienico sanitari, seguendo le misure di prevenzione, e a stoccare in magazzini appositi il materiale. Ha inoltre messo in sicurezza i propri volontari e staff con maschere e uniforme protettive.

I 300 kit distribuiti, contengono i seguenti dispositivi:

  • Una confezione di gel igienizzante
  •  Guanti per le mani
  • Spray per sterilizzare le superfici e i pavimenti
  • Carta igienica
  • Sapone per il lavaggio delle mani

Purtroppo le sfide non finiscono qui per I nostri colleghi e le nostre colleghe. Il protrarsi dell’emergenza implica l’urgente necessità di raccolta fondi per provvedere a ulteriori sfide, in particolare:

  •  Il sistema sanitario nella striscia di Gaza, già molto debole, ha una bassa capacità di verificare con test la diffusione del virus e intervenire per la salvaguardia dei malati;
  • Le misure del distanziamento sociale in essere restringono le possibilità di accesso a materiali igienico sanitari e cibo;
  • La condizione abitativa di molte famiglie palestinesi, che vivono in case piccole ma con numerosi componenti, aumenta il rischio di infezione;
  • L’approssimarsi dell’inizio del mese di Ramadam, che aumenterà il bisogno di pacchi alimentari e maggiori misure precauzionali igienico-sanitarie.

Guarda i video creati da ActionAid Palestina:

e seguili su Facebook per supportare il loro impegno!

Digital Strike 2020 – sciopero globale digitale

Conosci #fridaysforfuture? Si tratta del movimento che ha preso avvio a partire dalle azioni della giovane attivista per lo Sviluppo Sostenibile e contro il cambiamento climatico, Greta Thunberg. Greta ha iniziato la sua protesta pacifica nell’agosto 2018, nella forma di uno “sciopero dalla scuola” per sostare di fronte alla sede del Parlamento svedese protestando contro l’indifferenza della classe politica sul tema del cambiamento climatico, e chiedendo un maggiore impegno da parte del Governo del proprio paese per frenare le emissioni di anidride carbonica, così come deciso dall’Accordo di Parigi sul clima. Nei mesi a venire la protesta si è spostata al venerdì, con un presidio costante che ha preso il nome Fridays for Future (venerdì per il futuro). Nel tempo la protesta pacifica si è allargata, coinvolgendo centinaia di migliaia di persone (e tantissimi giovani studenti e studentesse) che hanno cominciato a imitare questo gesto, simbolico ma molto potente, per chiedere un maggiore impegno per il futuro del nostro pianeta.

Il movimento Fridays for Future (spesso chiamato anche con l’hashtag #FFF), da allora, ha cominciato a organizzare dei momenti che coinvolgessero il maggior numero di persone possibile, che hanno preso il nome di “Scioperi Globali per il Clima”: il primo si è tenuto il 15 marzo 2019, e ha visto più di un milione di giovani scendere in piazza in tutto il mondo per manifestare contro lo sfruttamento eccessivo del nostro pianeta, che ci sta portando verso una catastrofe climatica.

Il prossimo sciopero globale, originariamente previsto per venerdì 13 marzo 2019, è stato spostato a causa dell’emergenza Covid ed è stato cambiato nella forma: si terrà proprio domani, 24 aprile 2020, e si chiamerà Digital Strike 2020! Attenendosi alle misure imposte dal Governo, che come sappiamo non ci permettono di uscire in strada e ci chiedono di evitare assembramenti, gli attivisti di FFF hanno deciso di non rinunciare alla mobilitazione ma più semplicemente di spostarla online.

Per l’occasione, il comitato italiano ha unito le due emergenze, quella per il virus e quella, più ampia, del clima, e ha lanciato l’hashtag #ritornoalfuturo, a supporto della campagna per chiedere alle istituzioni di ripartire dopo la crisi COVID-19 puntando sulla transizione ecologica! 

Ma cosa sarà in sostanza questo primo sciopero digitale del mondo? Oltre alla condivisione dell’hashtag insieme alla foto dei partecipanti, per diffondere il più possibile il movimento e la campagna, sono previste per tutta la mattina dirette con scienziati ma anche attori e cantanti per discutere del futuro climatico del nostro pianeta, e di come risolverà la crisi globale in atto.

Se volete, è possibile prendere parte alla manifestazione in 4 diversi modi: cliccando su questo link è possibile leggere tutte le indicazioni del comitato promotore. Se deciderai di partecipare con il tuo team, ricordati di taggare anche la nostra pagina e usare l’hashtag #agente0011!

Goal 13: il cambiamento climatico non è una leggenda

L’Agenda 2030 delle Nazioni unite ha tra i suoi obiettivi la lotta al cambiamento climatico. È il Goal 13 a ricordarci che c’è un bisogno urgente di adottare misure concrete per combattere il cambiamento climatico e le sue conseguenze.

Alzi la mano chi non hai mai sentito parlare di cambiamento climatico! Ormai è un tema che tocca da vicino tutti noi e nessuno può rimanere indifferente. Tanto per fare un esempio, gennaio 2020 è stato il più caldo mai registrato a livello globale e nel mese di febbraio si è arrivati a registrare fino a 20° gradi al Polo Sud!

Ma vi siete mai chiesti quali potrebbero essere le principali conseguenze socio-economiche del surriscaldamento della Terra? Sovraffollamento, ondate di calore, perdita di ore lavorative, svalutazione del capitale tra i possibili effetti. Vediamo come.

Il McKinsey Global Institute, una organizzazione americana che studia e analizza le tematiche di politica economica globale, ha pubblicato a gennaio un documento in cui prevede che in futuro saranno sempre più numerosi i Paesi del mondo colpiti dagli effetti del cambiamento climatico. Tali effetti avranno ricadute in vari ambiti: vivibilità e lavoro, alimentazione, beni fisici, servizi infrastrutturali e capitale naturale. Ad esempio, con l’aumento del riscaldamento e dell’umidità in India, entro il 2030, 160-200 milioni di persone potrebbero vivere in regioni con una probabilità del 5% di sperimentare un’ondata di calore superiore alla soglia di sopravvivenza per un essere umano. Il riscaldamento degli oceani potrebbe invece ridurre le attività di pesca, incidendo sui mezzi di sussistenza per 650-800 milioni di persone che si affidano a questo settore.

A essere colpito non sarà quindi solo l’ambiente, ma anche gli esseri umani e le attività a essi collegate.

L’adattamento può aiutare a gestire questi rischi, anche se potrebbe risultare incredibilmente costoso per le regioni interessate. I sistemi di adattamento – che si tratti di alghe (utilizzate sia come alimento per rispondere alla crisi alimentare, che per la produzione di biocombustibile), centri di raffreddamento (aree pubbliche costruite per combattere le ondate di alta temperatura nei Paesi maggiormente a rischio) o di colture resistenti alla siccità – avranno bisogno di un’attenzione collettiva, oltre a una condivisione dei costi. Mentre l’adattamento è al momento urgente ma ancora possibile, la scienza del clima ci dice che un ulteriore riscaldamento e un aumento del rischio potranno invece essere fermati solo riducendo le emissioni di gas serra a zero. Siamo quindi chiamati tutti a fare la nostra parte.

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Responsabilità editoriale e i contenuti dell’articolo sono a cura dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS)

Un pianeta per tutti!

Il 22 aprile il mondo celebra la Giornata della Terra. Dopo 50 anni dalla prima manifestazione americana, il movimento globale per la Terra non sembra essersi fermato, anzi, oggi più che mai è necessario far sentire la propria voce. Tema di quest’anno, la lotta al cambiamento climatico, la più grande sfida che l’umanità dovrà affrontare nei prossimi anni. Secondo l’UNFCCC (“United Nations Climate Change” o Convenzione Quadro sul Cambiamento Climatico delle Nazioni Unite), il cambiamento climatico si definisce come “un cambiamento del clima che sia attribuibile direttamente o indirettamente ad attività umane, che alterino la composizione dell’atmosfera planetaria e che si sommino alla naturale variabilità climatica osservata su intervalli di tempo analoghi”.

Secondo l’IPCC (“Intergovernmental Panel on Climate Change” o Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico):

  • Le attività umane stanno incrementando le temperature medie globali di 0,2 °C per decennio (IPCC 2018).
  • Gli eventi meteorologici estremi come tempeste, incendi, inondazioni e siccità, sono aumentati di frequenza e intensità.
  • Complessivamente, il livello medio del mare è cresciuto tra 16 e 21 centimetri rispetto al 1900 (IPCC 2014)
  • Il cambiamento climatico è la più importante minaccia per il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (Sustainable Development Goals, SDG) entro il 2030.

Tra questi anche l’SDG 2 “Fame zero”, sapresti dirci il perché?

Ebbene sì, il cambiamento climatico ha un impatto negativo sulla sicurezza alimentare e sulla fame, perché modifica la produzione e la disponibilità alimentare, l’accesso al cibo, la sua qualità e il suo utilizzo, così come la stabilità dei sistemi alimentari di tutto il mondo.

Purtroppo i Paesi poveri e in via di sviluppo – pur non essendo tra i responsabili del riscaldamento globale – sono quelli a pagarne le spese perché non hanno le risorse necessarie per affrontare gli effetti del cambiamento climatico e la fame. Che si può fare?

Nella prossima COP26 (“Conference of Parties” ovvero Conferenza delle Parti) prevista a novembre 2020 a Glasgow[1], si discuterà anche di questo. Le misure d’intervento previste dall’Accordo sul clima di Parigi del 2015 non sono più sufficienti: è necessario rafforzare la solidarietà mondiale con le comunità e i paesi più vulnerabili al cambiamento climatico. I paesi considerati “ad alto reddito” devono assumersi la responsabilità di mitigare le cause di questi cambiamenti e aiutare i paesi “a basso e medio reddito”[2]

Con il nuovo progetto di sensibilizzazione e attivazione 1Planet4All Cesvi vuole aumentare la consapevolezza e la conoscenza critica tra i giovani di 12 Paesi europei sul cambiamento climatico come minaccia globale per il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs) e attivarli come agenti di cambiamento perchè sviluppino azioni concrete per rendere le proprie città più sostenibili, inclusive e climate-smart.

Il progetto è realizzato con il finanziamento dell’Unione Europea, in collaborazione con 14 organizzazioni in 12 Paesi europei: People in Need, Acted, Cesvi, Welthunherhilfe, Concern, Ayuda en Acciòn, 11 11 11, Vida, Convergences, Mondo, Punto.sud, Suedwind, Ceo, People in Need SK 

[1] l’edizione del COP26 prevista per novembre 2020 a Glasgow è stata posticipata al 2021 a causa dell’epidemia di Covid-19

[2] Per approfondimenti: indiceglobaledellafame.org

Contenuto editoriale a cura di Cesvi

Vivicittà Uisp: la “corsa più grande del mondo” per la tutela dell’ambiente

Vivicittà 2020 è stata rinviata per l’emergenza Coronavirus, ma tornerà a correre per la sostenibilità più forte di prima

Vivicittà 2020, giunta quest’anno alla 37^ edizione, era prevista domenica 19 aprile con il coinvolgimento simultaneo di circa quaranta città. Purtroppo la difficile situazione che stiamo vivendo ormai da più di un mese ci dice che responsabilmente dobbiamo attenerci tutti alla stretta osservanza delle indicazioni che ci vengono dal governo, dalle istituzioni regionali e locali e dalle autorità sanitarie – dice Vincenzo Manco, presidente nazionale Uisp, in una nota recente – Per questo abbiamo deciso di rinviare le nostre classiche manifestazioni nazionali di primavera.
Vivicittà è sicuramente l’evento più atteso tra le manifestazioni nazionali dell’Uisp, che mette insieme decine di migliaia di cittadini, podisti, amanti del running, che formano una grande comunità virtuale che sfila per le strade delle nostre città, tutti insieme anche se a distanza.
Una delle sue anime è sicuramente quella ambientale, con diverse iniziative che si aggiungono alla corsa ogni anno per promuovere tra i partecipanti una maggiore sensibilità verso questi temi, e per garantire di realizzare una manifestazione ad impatto zero che, quindi, non lasci rifiuti, non produca sprechi e valorizzi i nostri spazi urbani. Ogni la manifestazione podistica Uisp compensato migliaia di chili di CO2, generati dalla produzione cartacea del materiale, mediante la creazione e a tutela di altrettanti mq di foreste in crescita in Madagascar, con la certificazione di Lifegate.
L’edizione 2020 è nata sotto l’insegna del plastic free, infatti, è previsto che nell’organizzazione della stessa non debbano essere utilizzate plastiche monouso. E’ un impegno che l’Uisp ha preso in fase di concessione di patrocinio da parte del Ministero dell’Ambiente, nel rispetto della scelta congressuale di misurare le attività in coerenza con gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda Onu 2030.
Come per gli anni passati i comitati Uisp avranno a disposizione un quantitativo di bicchieri in mater-B (compostabili) da poter utilizzare al posto delle bottiglie in plastica monouso in fase di ristoro e lungo il percorso, usufruendo dei collegamenti con l’acqua di rete che ogni città può attivare con la propria amministrazione comunale. I materiali promozionali sono reperibili online in formato digitale, personalizzabili, e solo se necessario, si possono stampare localmente.
Lo studio per ridurre l’impatto ambientale effettuato dall’Uisp non è solo uno strumento di decisione ma è soprattutto uno strumento di apprendimento collettivo orientato a modificare in senso pro-attivo i comportamenti dei singoli attori in funzione di un risultato complessivamente vantaggioso.
Per leggere il testo integrale del Vademecum per una organizzazione sostenibile delle manifestazioni sportive clicca qui
Lo scorso anno, in occasione dell’edizione 2019 di Vivicittà a Messina venne condotto un progetto particolare dedicato alla sostenibilità. La protagonista di questa  storia è Martina Costa, diciottenne messinese che ha a cuore la lotta per l’emergenza ambientale, e la sua storia è stata raccontata da Christian Marchetti sul Corriere dello Sport. Martina, insieme ai suoi compagni di scuola ha avviato il progetto “La città accogliente: percorsi di ecosostenibilità urbana”, che rientra nel quadro dell’Alternanza Scuola-Lavoro ed è legato al tema della mobilità. Il progetto nasceva per sviluppare l’idea che, attraverso la pratica sportiva, si crei la consapevolezza di una vivibilità del territorio sana per tutti.
In occasione di Vivicittà questi principi sono stati messi in pratica da Martina e le sue compagne. “Un nostro gruppo parteciperà alla gara – diceva Martina – un altro distribuirà ai partecipanti acqua di rete in contenitori biodegradabili derivati dal mais”. Ridotto ai minimi termini il consumo di plastica mentre la carta è stata utilizzata solamente per la produzione dei “volantini, stampati nelle varie sedi di gara anziché nella sede centrale per poi essere trasportati su gomma nelle città toccate dalla manifestazione”. Quella di Messina è stata quindi un’edizione di Vivicittà nel segno dell’ambiente: la giovane attivista ha aggiunto: “Bello che, in questi giorni, nel mondo, siano i ragazzi a sensibilizzare su questi temi, ma sarebbe ancor più bello se fossimo affiancati fattivamente dagli adulti. Il compito dei grandi è insegnare, dare l’esempio”.

Haiti: l’acqua è il bene più prezioso

Albert Szent-Gyorgyi, lo scienziato Premio Nobel per la medicina nel 1937, scriveva che “L’acqua è materia e matrice della vita, madre e mezzo. Non esiste vita senza acqua”. Niente di più vero, specialmente guardando alla realtà di Grand’Anse, zona di Haiti dove Cesvi lavora. Qui, dopo il passaggio devastante dell’uragano Matthew, nell’ottobre del 2016, siccità frequenti e acute hanno decimato i capi di bestiame e reso improduttivi i già provati terreni agricoli.

Assenza di acqua potabile significa anche aumento della malnutrizione nei bambini: costretti a bere acqua infetta, sono i più colpiti dalle malattie dette “diarroiche” (tra cui il colera) che portano a ulteriore disidratazione e perdita di sostanze nutritive importanti. Le strutture mediche presenti sull’isola – ospedali, centri di primo soccorso – non sono sufficienti per rispondere adeguatamente a questa emergenza.

L’impegno di Cesvi è quello di garantire acqua potabile a più persone possibili, migliorandone le condizioni di salute. Non solo, è importante che vengano apprese delle tecniche di coltivazione più adatte alle caratteristiche climatiche dell’isola, motivo per cui Cesvi garantisce corsi di formazione gratuiti agli agricoltori così che possano far ripartire la propria attività.

Purtroppo però, proprio nell’area di Grand’Anse, non è solo la carenza di acqua a pesare: molte famiglie non sanno più a chi rivolgersi per l’acquisto di sementi e l’avvio di nuove coltivazioni. Cesvi sta così assistendo 2.000 persone attraverso la fornitura di sementi e attrezzi agricoli per avviare colture (frutta, legumi, tuberi e cereali) in grado di agire sia sui bassi standard nutritivi della popolazione sia sulla ricchezza del suolo. 18

Contenuto editoriale a cura di Cesvi, foto credit Roger Lo Guarro

Le disuguaglianze danneggiano te e chi ti sta intorno: combattiamole!

Vi siete mai chiesti perché le persone emigrano? Perché decidono di affrontare viaggi molto rischiosi pur di raggiungere un altro Paese? Beh, nella maggioranza dei casi la risposta è semplice: perché il Paese di origine non offre le stesse condizioni e le stesse opportunità di vita del Paese di destinazione. È quello che gli esperti chiamano “indice di sviluppo umano”. Facciamo un esempio: un bambino che nasce in un Paese con basso indice di sviluppo umano ha molte meno probabilità di sopravvivere e se sopravvive ha una prospettiva di vita di 13 anni inferiore rispetto a chi vive nei Paesi più sviluppati come il nostro. Le disuguaglianze tra le varie nazioni del mondo sono infatti molti forti e nonostante il divario negli standard di base si sta riducendo, le disuguaglianze che riguardano l’accesso ad un’istruzione di qualità, alle nuove tecnologie e l’esposizione ai cambiamenti climatici, continuano a essere consistenti. Disuguaglianza e crisi climatica si intrecciano: i Paesi con più alto indice di sviluppo umano, quindi più ricchi, generalmente inquinano di più contribuendo ad alterare il clima. Tra il 2030 e il 2050, si prevede che i cambiamenti climatici causeranno 250mila morti all’anno per malnutrizione, malaria, diarrea e stress da calore, stando a quanto ci dice il programma delle Nazioni unite per lo sviluppo.

Il Goal 10 dell’Agenda 2030 delle Nazioni unite è proprio focalizzato sul tema della riduzione delle disuguaglianze all’interno di e fra le Nazioni.

Per questo motivo l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), in un recente studio, ha analizzato l’andamento delle migrazioni nel nostro secolo avvertendo che il fenomeno è destinato ad aumentare. Nello stesso tempo ha elaborato una serie di raccomandazioni ai governi affinché realizzino politiche utili a favorire l’integrazione, tra le quali troviamo:

  • dialogare in maniera collaborativa con i Paesi di origine dei migranti;
  • usare le nuove tecnologie disponibili anche per la produzione dei beni di consumo e dei servizi;
  • considerare tutti gli elementi della migrazione e dell’integrazione, come l’educazione e la sanità;
  • fare scelte politiche a lungo termine;
  • favorire l’integrazione sociale, coinvolgendo tutti i settori della società e garantendo il coordinamento tra le autorità pubbliche a tutti i livelli.

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