Il 2021 è l’anno internazionale per l’eliminazione del Lavoro Minorile

Il 2025 è l’anno prefissato dai Sustainable Development Goals (SDGs) dell’Agenda 2030 per il raggiungimento dell’obiettivo 8.7 : eliminare e proibire il lavoro minorile in tutte le sue forme, compreso il reclutamento e l’impiego dei bambini soldato. I lievi progressi compiuti finora non sono sufficienti e rischiano di essere messi in discussione dalla crisi sanitaria e socio-economica scatenata dalla pandemia COVID-19. Il 2025 si avvicina e per assicurare l’accelerazione necessaria l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL), in collaborazione con l’organizzazione Alliance 8.7, ha lanciato ufficialmente il 2021 come “International Year for the elimination of Child Labour. 

 

Il lavoro minorile

Che cos’è il lavoro minorile? 

A livello internazionale, il lavoro minorile è definito come il lavoro svolto dai bambini tra i 5 e 17 anni, che li obbliga a molte ore di lavoro o che mette a rischio la loro salute, privandoldel loro diritto all’infanzia. 

Quali sono le cause del lavoro minorile? 

Il lavoro minorile nasce spesso per necessità a causa delle drammatiche condizioni socio-economiche delle loro famiglie. I bambini sono costretti al lavoro per sopravvivere.  Ma avviene anche che il lavoro minorile sia invece causato da pratiche “ben intenzionate”, da tradizioni culturali o volontà familiari, come seguire i percorsi lavorativi dei genitori fin da bambini, o come l’idea che lavorare già da bambini aiuti nello sviluppo delle skills personali. 

Cosa provoca il lavoro minorile? 

Il lavoro minorile danneggia lo sviluppo dei bambini con lavori pericolosi che mettono a rischio sia la loro salute fisica che mentale. I bambini sono spesso costretti ad abbandonare il loro percorso scolastico e ad allontanarsi dalle loro famiglie e dai loro amici, mettendo così a rischio il loro futuro. Inoltre il lavoro minorile in alcuni casi sfocia in gravi forme di schiavitù. 

 

I numeri

I numeri dell’Organizzazione Mondiale del Lavoro sono drammatici. Sono circa 152 milioni nel 2016 i bambini ancora condannati al lavoro minorile nel mondoUn bambino su dieci. I progressi fatti nel nuovo millennio, nel 2000 erano circa 246 milioni (-38%), non però sono sufficienti. Osserviamo inoltre ancora enormi squilibri tra paesi: quasi la metà del lavoro minorile avviene in Africa (72 milioni di bambini), seguita da Asia e Pacifico (62 milioni). Circa la metà, 72.5 milioni di bambini, praticano lavori pericolosi e in condizioni che sono considerate dannose per la loro salute e la loro vita. Un bambino su dieci, viene sfruttato nell’agricoltura, altri settori sono l’allevamento e l’industria. La metà dei bambini è troppo giovane per lavorare e un terzo dei bambini coinvolti è fuori dal sistema educativo e quelli che lo frequentano hanno prestazioni scadenti. 

 

Il piano 

L’obiettivo dell’iniziativa, decisa già nel 2019 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite con una votazione all’unanimità, è tanto la sensibilizzazione dell’opinione pubblica quanto quello di incoraggiare reali politiche attive volte a sradicare la piaga del lavoro minorile in tutto il mondo. Questo importante traguardo necessita della partecipazione non solo dei governi ma anche della società civile, degli stakeholders e di tutti i cittadini del mondo. Presso il sito ufficiale dell’iniziativa infatti è possibile proporre progetti (Action Pledges), da intraprendere entro il 2021, per contribuire a mettere fine al lavoro minorile. L’iniziativa sarà poi seguita nel 2022 dalla quinta edizione della Conferenza Globale sul Lavoro Minorile che si terrà in Sudafrica.  

 

“There is no place for child labour in society. It robs children of their future”. 

“Non c’è posto per il lavoro minorile nella società. Ruba i bambini del loro futuro”, queste le parole del direttore generale dell’Organizzazione Internazionale del LavoroGuy Ryder. Speriamo che si riesca, attraverso uno sforzo globale, a realizzare questa promessa sconfiggendo quanto prima l’orrenda piaga del lavoro minorile in tutto il mondo. 

 

Simone Gennari

Sai di cosa è fatto il tuo cellulare?

Il nostro smartphone, come la maggior parte dei dispositivi elettronici che usiamo quotidianamente, contiene al suo interno dei materiali come il coltan, lo stagno e il tungsteno la cui origine è alquanto problematica. Sono definiti “minerali dei conflitti” o “insanguinati” ossia minerali estratti sotto il controllo di bande armate e organizzazioni criminali che sfruttano le popolazioni locali e le pongono in condizioni di schiavitù per finanziarsi con il loro commercio.

Si trovano principalmente nel continente africano, in particolare nella Repubblica Democratica del Congo, in Zimbabwe e nella Repubblica Centrafricana.

Questi minerali vengono estratti senza il minimo rispetto dei diritti umani, ambientali e sociali: le estrazioni hanno comportato l’espropriazione dalle proprie terre e abitazioni della popolazione locale, gli introiti delle attività hanno finanziato la guerra civile e gli impatti ambientali sono stati devastanti.

Espropriazione delle terre

Coloro che espropriano le comunità dalle loro terre sono le multinazionali straniere con il lasciapassare dei governi corrotti che lucrano sulla povera gente. Le popolazioni locali, infatti, dal momento che non hanno più la terra che permetteva loro sussistenza, sono costretti a vendersi come manodopera sottopagata all’interno delle miniere. Si tratta di luoghi angusti, senz’aria e con un alto rischio di frane in cui molte persone ma soprattutto bambini perdono la vita (diversi rapporti Onu parlano di 11 milioni di morti). I bambini vengono sfruttati in queste attività perché hanno una piccola statura e quindi si calano facilmente nelle strettissime buche. È facile capire come lo sfruttamento del lavoro minorile abbia gravi ripercussioni sociali in termini di elevati tassi di analfabetismo e povertà.

Impatti ambientali

Gli impatti ambientali sono devastanti. Nel momento in cui viene scoperta la presenza di minerali sottoterra, tutto ciò che si trova al di sopra viene distrutto: alberi, campi coltivati, foreste ancestrali… tutto viene raso al suolo per lasciare spazio a luoghi di sfruttamento e di dolore. Ecco che quindi, l’insicurezza alimentare cresce sempre di più impoverendo persone che prima di ciò avevano una vita dignitosa.

Guerre civili

Per quanto riguarda le guerre africane, esse non sono causate da conflitti interetnici, bensì da interessi economici e materiali legati allo sfruttamento della terra e dei suoi ricavi da parte delle multinazionali. Ad esempio, il coltan è molto desiderato in quanto oggi è uno dei componenti fondamentali dei nostri cellulari, perché consente l’ottimizzazione del consumo di energia.

Le possibili soluzioni

Cosa possono fare le aziende

Le aziende, per evitare quanto appena raccontato, dovrebbero rispettare tre criteri principali: tracciabilità, controllo e certificazioni.

  • Tracciabilità: devono essere in grado di stabilire la provenienza di ciascun materiale impiegato nei loro prodotti.
  • Controllo: devono controllare che quei minerali non siano stati estratti in zone di conflitto e in mano alle milizie armate.
  • Certificazione: l’ideale sarebbe creare un meccanismo di certificazione che favorisca le aziende che non utilizzano materiali “insanguinati”.

Cosa possiamo fare noi

Sicuramente noi, in qualità di consumatori, possiamo dire la nostra e contribuire al cambiamento.

Possiamo riciclare il nostro cellulare!

É bene praticare il “consumo responsabile”: favorendo il riuso e il riciclo dei prodotti elettronici. Ci sono, infatti, tantissime aziende che si occupano di vendere dispositivi elettronici “ricondizionati” ovvero dispositivi che sono stati restituiti al venditore perché presentavano un difetto, solitamente facilmente riparabile quindi, anziché buttarlo via, si può dare loro nuova vita.

I problemi che questo fenomeno causa sono tanti ma il cambiamento parte sempre dal basso quindi il nostro contributo è molto importante!

Valeria Lotti

VIDEO DI APPROFONDIMENTO

Si può ereditare un trauma? 

Gli effetti del trauma intergenerazionale sulle comunità vulnerabili  

Ci portiamo dietro i traumi dei nostri antenati fino a dieci generazioni fa. E ce lo dice uno studio del 1988 di Vivian Rakoff e colleghi. La psichiatra canadese teorizzò per la prima volta il fenomeno del trauma intergenerazionale negli anni Sessanta quando ebbe in cura bambini che presentavano un alto livello di stress psicologico. I suoi pazienti erano figli di sopravvissuti all’Olocausto. Venti anni dopo, le sue ricerche dimostrarono che i nipoti di coloro che avevano esperienza dell’Olocausto avevano una probabilità 300 volte più alta dei loro coetanei senza alcuna esperienza del genocidio di essere in cura psichiatrica. Il vissuto fortemente traumatico era passato dai genitori ai figli, e da questi ai nipoti, con conseguenze drammatiche per la loro salute fisica e mentale a distanza di decenni. Nonostante le comunità ebraiche siano state particolare oggetto di studio in questo campo, il trauma intergenerazionale può affliggere tutti, in particolare, coloro che appartengono a famiglie e comunità vulnerabili perché vittime di catastrofi naturali, della schiavitù, o di qualsiasi altra forma di discriminazione istituzionalizzata 

 

Che cos’è un trauma?  

Il trauma si verifica quando ci troviamo in una situazione percepita come una minaccia per la nostra sicurezza alla quale il cervello, stimolato nelle sue funzioni più primitive, attiva una risposta “Fight or flight” (combatti o scappa, letteralmente). Come spiega Resmaa Menakem, nel suo libro “Le Mani di Mia Madre” sulla schiavitù e le sue conseguenze intergenerazionali, il trauma si annida nel corpo, tanto quanto nella mente: “Quando qualcosa di troppo intenso, troppo veloce o troppo affrettato accade al corpo, il corpo è sopraffatto e questo crea un’esperienza traumatica”. Duplice l’effetto, duplice la conseguenza. Lo stress, infatti, si collega a determinate dinamiche comportamentali e sociali, come l’incapacità di gestire la rabbia o le relazioni, ma anche a deficit nel sistema immunitario. Problemi a controllare i propri impulsi, ricordare aneddoti o essere flessibili mentalmente sono sintomi comuni.  

 

Come si trasmette alle generazioni future?  

Molto spesso, il ricordo della esperienza traumatica passa, ma gli effetti sul proprio comportamento e la percezione della realtà rimangono, tanto da venire internalizzati dalla persona traumatizzata e poi diventare parte integrante del proprio carattere. A questo punto, le esperienze di singoli individui in un contesto familiare o di comunità si sommano a formare una cultura del trauma, determinata da codici sociali ed un linguaggio specifico, la cui causa è però sconosciuta ai membri del gruppo. Così un trauma si passa di generazione in generazione: attraverso gli elementi culturali che si imparano dai propri genitori, nonni, antenati e mentori.  

 

Un esempio per comprendere meglio…  

Due mamme, una afroamericana, Angela ed una bianca, Gabriela, partecipano ad un incontro genitori – insegnanti. Angela fa i complimenti a Gabriela per i buoni voti del figlio, Brian, alla quale questa risponde elogiandolo a sua volta e raccontando nei particolari i suoi successi scolastici. Gabriela, però, ricorda che il figlio di Angela, Malcolm, è il migliore della classe e glielo fa presente. Angela risponde che sì, è vero, però, subito si sofferma sui difetti del figlio, dicendo che non aiuta a casa o è viziato… La risposta di Angela, come spiega la dottoressa e psichiatra Joy DeGruy è, molto probabilmente, causa di un trauma intergenerazionale. Per gli antenati di Angela, schiavi nelle piantagioni americane, era buona norma minimizzare i pregi dei propri figli, se sottolineati da un colone, per mantenerli al sicuro e protetti da eventuali mire dei propri padroni. L’episodio non dimostra che Angela non è orgogliosa di Malcolm, come potrà pensare lui. Anzi, Angela ha una reazione meccanica di autodifesa, alla quale non sa dare una spiegazione, proprio perché è consapevole delle qualità del figlio.  

 

Quali soluzioni?  

Non esiste un trattamento univoco per questo tipo di trauma. Il primo passo è entrare in terapia, sostengono gli esperti nel campo. Non è però abbastanza. Infatti, il trauma generazionale è collettivo: la terapia di alcuni individui non rappresenta che una goccia nel mare per risolvere il problema. Come sottolinea DeGruy, una soluzione a lungo termine deve comprendere un progetto di ampio respiro di giustizia sociale. Alcune comunità saranno sempre più vulnerabili di altre finché la loro oppressione viene perpetuata da istituzioni e sistemi culturali, sociali ed economici, alimentando sofferenze e stress che finiranno per diventare parte del corredo genetico delle (ignare) generazioni future.  

“La risposta al motivo per cui così tanti di noi hanno difficoltà nella vita è perché i nostri antenati hanno trascorso secoli in condizioni inesorabilemente brutali. Generazione dopo generazione, i nostri corpi hanno immagazzinato traumi e un’intensa energia di sopravvivenza, e le hanno trasmesse ai nostri figli e nipoti. La maggior parte di noi ha anche tramandato resilienza e amore, ovviamente. Ma (…) come vediamo con tanti altri esseri umani – la resilienza e l’amore non sono sufficienti per guarire completamente tutti i traumi. Spesso, almeno parte del trauma continua”.  
Resmaa Menakem  

Di Giada Santana 

La settimana verde dell’Unione Europea

La Green Week è la più grande conferenza annuale europea sulle politiche relative ad ambiente e sostenibilità. I partecipanti e le partecipanti a questa iniziativa provengono da settori e mondi differenti, quali politica, industria, ONG, università, media, tutti e tutte riuniti/e al fine di condividere innovazioni e promuovere scambi di idee e best practices.

Quest’anno, la tematica cardine della Green Week sarà la Zero Pollution Ambition, l’ambizione di un mondo in cui le emissioni inquinanti raggiungano quota 0, al fine di assicurare una vita migliore al pianeta Terra e a coloro che lo abitano.

L’inquinamento è ovunque: nell’aria che respiriamo, nell’acqua che beviamo, nella terra che coltiviamo. Non di meno, è la principale causa ambientale di molteplici malattie mentali e fisiche e di morti premature, soprattutto tra bambini/e, persone anziane o con determinate condizioni mediche. Di fatto, l’inquinamento colpisce tutti e tutte ma non allo stesso modo. Le persone che vivono situazioni di svantaggio economico o marginalità sociale sono costrette a vivere vicino a siti contaminati o in aree con un flusso di traffico elevato e ciò le rende più vulnerabili agli effetti degli agenti inquinanti.

L’inquinamento, inoltre, è anche uno dei motivi principali della perdita di biodiversità. Esso, infatti, riduce la capacità degli ecosistemi di “fornire servizi” come il sequestro del carbonio (processo naturale o artificiale mediante il quale l’anidride carbonica viene rimossa dall’atmosfera e mantenuta in forma solida o liquida) e la decontaminazione (neutralizzazione o rimozione di sostanze pericolose, radioattività o germi da un’area, un oggetto o una persona).

Ma l’inquinamento può essere prevenuto

Il piano d’azione dell’UE verso la Zero Pollution Ambition è un’azione chiave del Green Deal europeo programmato per la primavera 2021. Quest’ultimo ambizioso programma cercherà di contribuire in maniera proattiva alla creazione di un ambiente privo di sostanze tossiche in tutta l’UE. Sosterrà, inoltre, la ripresa post-COVID 19 al fine di ricostruire un’economia dell’UE più sostenibile, attraverso la creazione di opportunità di lavoro e la riduzione delle disuguaglianze sociali.

È bene sottolineare che la Green Week analizzerà anche altre importanti iniziative del Green Deal europeo, come le iniziative sul clima e le iniziative nel campo dell’energia, dell’industria, della mobilità, dell’agricoltura, della pesca, della salute e della biodiversità.

Sarà, in conclusione, un’opportunità unica per coinvolgere tutte le parti e i/le cittadini/e interessati/e su come sia possibile ed auspicabile lavorare insieme per trasformare in realtà l’ambizione di un ambiente privo di inquinamento.

Giulia D’alessandro

Un esempio pratico di giustizia sociale: Semanhyia American School

Nella news del 16 febbraio siamo stati introdotti al concetto di Giustizia sociale. Oggi, 20 febbraio, vogliamo celebrare la Giornata Mondiale della Giustizia Sociale con una news che ci riporta ad un esempio pratico di giustizia sociale, un progetto nato nel 2015 in Ghana ed in vita ancora oggi.

 

The Godfreds Foundation

Nel 2015, da idee e sacrifici comuni di un giovane ghanese e di una coppia statunitense, nasce The Godfreds Foundation.
The Godfreds Foundation è una fondazione benefica il cui intento è quello di garantire ai bambini ghanesi provenienti dalle aree rurali della zona del distretto di Berekum l’accesso ad un’istruzione, dal nido fino alle scuole medie, che ponga le basi per un futuro migliore.
L’idea nasce dalla storia stessa del giovane ghanese co-fondatore della Godfreds Foundation, che aveva avuto nella sua vita la fortuna, pur provenendo da un piccolissimo villaggio rurale, Senase, di poter studiare all’estero, ampliare gli orizzonti della sua conoscenza ed accedere poi, in età adulta, a posizioni lavorative degne dei sacrifici fatti durante la vita.
Il sistema scolastico ghanese, purtroppo, dona ancora oggi poca attenzione al futuro dei suoi studenti, risultando così in una popolazione giovane che spesso abbandona gli studi, poiché priva di stimoli.
L’obiettivo della Godfreds Foundation è quello di cooperare con il governo ghanese così da poter arrivare, un giorno, ad un’istruzione pubblica equa e dignitosa, quella che ogni bambino ha il diritto di ricevere e che la Fondazione stessa fornisce ormai da cinque anni presso la Semanhyia American School.

Semanhyia American School (SAS)

La Semanhyia American School (Semanhyia è una parola in Twi, una delle lingue locali ufficiali del Ghana, e significa “Se non ci fossimo incontrati”) è la scuola nata per raggiungere lo scopo della Godfreds Foundation di fornire ai giovani ghanesi un’educazione che formi il futuro del paese.
Nata nel piccolo villaggio rurale di Senase, nel distretto di Berekum, accoglie oggi più di 450 studenti provenienti dalle aree rurali circostanti, ed è stata eletta come prima scuola del distretto e tra le migliori su base nazionale.
La SAS non è solo una scuola, ma molto di più: una realtà nuova agli occhi sia degli insegnanti che degli alunni coinvolti.
Gli insegnanti assunti alla SAS vengono sostenuti dalla scuola per completare il loro percorso universitario e diventare degli educatori qualificati non solo in Ghana ma anche all’estero.
La SAS propone un metodo educativo considerato innovativo in Ghana, dove la base è il rispetto reciproco tra alunni ed insegnanti. Per quanto questo possa sembrare naturale ai nostri occhi, in Ghana non lo è, e per questo la Semanhyia American School è all’avanguardia e non ha intenzione di far si che questo resti un esempio isolato, ma vuole collaborare con il governo ghanese per diffondere un metodo educativo moderno e adatto al mondo in cui viviamo oggi.

 

Un esempio di speranza

Essere oggi un alunno della Semanhyia American School, con i suoi spazi aperti, le sue aule colorate e il magnifico lavoro degli insegnanti alle spalle che combattono per garantire il diritto all’istruzione, significa essere parte di un esempio concreto di giustizia sociale in un luogo dove quest’ultima non sarebbe sempre garantita.
Quello del diritto allo studio è solo uno dei tanti esempi di forme di giustizia sociale che andrebbero protette ogni singolo giorno. Fortunatamente, esempi come questi non ci fanno perdere la speranza in un futuro molto più giusto.

Angela D’ambrosio

 

Per ulteriori informazioni

https://www.godfredsfoundation.org/
https://www.facebook.com/godfredsfoundation

L’acqua: una risorsa in esaurimento

Sentiamo spesso parlare del petrolio e di come questo faccia parte delle risorse esauribili, cioè quelle risorse che richiedendo molto tempo per rigenerarsi sono a rischio esaurimento. Esaurimento dato dall’alto consumo, soprattutto negli ultimi decenni. Tra queste risorse ce n’è una, data spesso per scontata, la cui mancanza invece sta diventando una vera e propria emergenza. 

La risorsa in questione è l’acqua, una risorsa dai mille usi e con cui entriamo in contatto ogni giorno. Può quindi sembrare strano che già oggi nel mondo più di 4 miliardi di persone vivono in condizioni di scarsità d’acqua per almeno un mese all’anno Molti paesi inoltre presentano già criticità e in alcuni casi, come quello dello Yemen, si prevede un esaurimento dell’acqua già nei prossimi anni. 

 

L’aumento dei consumi e soprattutto degli sprechi 

Ma quali sono i motivi di questa scarsità? I motivi sono sicuramente molteplici e vanno dai cambiamenti climatici all’utilizzo umano. I cambiamenti climatici ad esempio incidono in modo notevole sulla disponibilità dell’acqua. Icontinuo aumento delle temperature medie a livello mondiale e la conseguente diminuzione delle precipitazioni causano sempre più frequentemente siccità, cioè la temporanea riduzione delle disponibilità idriche. Questa diminuzione delle precipitazioni impedisce alle falde acquifere di rigenerarsi causando una riduzione della loro disponibilità visto il continuo consumo umano delle stesse. 

Dobbiamo pensare infatti che l’acqua non serve solo per bere o per l’igiene personale ma viene usata in moltissimi settori tra cui l’industria, la produzione di energia e soprattutto la produzione di cibo. L’agricoltura infatti richiede elevate quantità d’acqua per la produzione di frutta e verdura ma principalmente per la produzione di carne. Per produrre 1 kg di carne bovina servono infatti quasi 16.000 litri d’acqua e il continuo aumento nella domanda di carne, dovuto soprattutto al miglioramento delle condizioni di vita e della ricchezza dei paesi in via di sviluppo, renderà questa richiesta sempre più elevata. La crisi è sicuramente accentuata inoltre dall’aumento della popolazione mondiale e quindi dal conseguente aumento del consumo e dell’utilizzo, utilizzo non sempre ottimale. È stato riscontrato infatti un elevato spreco di questa risorsa. Si stima che solo in Europa il 40% dell’acqua consumata venga in realtà sprecato!

 

I rischi della mancanza d’acqua e come contribuire a ridurre gli sprechi  

Abbiamo visto in breve i motivi della riduzione della quantità e purtroppo non sono da sottovalutare le conseguenzeNon solo per i paesi considerati a rischio come quelli desertici, che risentiranno maggiormente di questa scarsità, ma avrà importanti effetti anche in Europa. Cipro, ad esempio, ha già sperimentato gravi episodi di siccità e ha già limitato più volte il consumo domestico di acqua nei momenti di maggiore criticità. La mancanza di acqua inoltre potrà avere gravi conseguenze in futuro anche dal punto di vista economico con il rischio di destabilizzare quelle zone già altamente instabili.  

Cosa possiamo fare noi quindi? Nonostante siano richieste azioni importanti e spesso drastiche da parte degli stati per limitare il più possibile i danni. Noi, nel nostro piccolo, possiamo cercare di contribuire il più possibile. Possiamo ad esempio cercare di ridurre lo spreco d’acqua con piccole accortezze come preferire la doccia al bagno o non lasciando scorrere l’acqua mentre ci laviamo i denti o laviamo i piatti. Anche la scelta e l’uso degli elettrodomestici come lavastoviglie e lavatrici possono contribuire enormemente a diminuire il consumo in famiglia. Basta poco quindi per fare la propria parte e a contribuire alla salvaguardia di questa importante risorsa! 

Vanessa Crivellaro

FONTI 

https://ec.europa.eu/environment/pubs/pdf/factsheets/water_scarcity/it.pdf 

https://ilbolive.unipd.it/it/news/scarsita-acqua-siccita-mondo 

https://www.rinnovabili.it/ambiente/scarsita-acqua-problema-grave-333/

Salute: non solo Coronavirus. La toilet della Gates Foundation capace di dimezzare le morti da diarrea.  

Un sistema di deiezione che si avvale del Janicki Bioenergy Omniprocessorin arte toilette, questa volta, però, animata da un impianto in grado di trasformare, attraverso un sistema di filtraggio, alimentato con pannelli solari, la pipì in acqua potabile e le feci in polvere fertilizzante.  

La Bill & Melinda Gates Foundation da anni si impegna nel finanziamento e la realizzazione di questo impianto, chiamando a raccolta i maggiori esperti del settore,  a livello internazionale, con le loro “Reinvented Toilet Expo”, occasioni in cui sono stati presentati progetti in grado di raggiungere l’obiettivo da anni conclamato dai coniugi Gates: contrastare le morti per diarrea, ma anche tifo e colera.  

Nel pieno di una pandemia da Covid-19, poco ci si sofferma a pensare che, in altre parti del mondo, si muore molto più semplicemente a causa della diarrea, specialmente tra le fasce di popolazione dai 0 ai 3 anni e con numeri ben maggiori di quelli registrati per morte da Coronavirus. Lmalnutrizione peggiora le condizioni di salute, debilita il corpo, e le scarse condizioni igienico-sanitarie fanno sì che non si abbia accesso ad acqua potabile, a spazi incontaminati dalle feci, che a loro volta sono portatori di virus e batteri capaci di compromettere inevitabilmente questo circolo vizioso e la vita stessa di chi vi è esposto. 

La Gates Foundation riesce a fornire acqua potabile dalla pipì e fertilizzante dalle feci eliminando il problema della mancanza di un adeguato sistema fognario ed igienico-sanitario, un rimedio ab origine rispetto ai farmaci che vengono forniti per combattere infezioni da virus  e batteri e che, però, hanno solo un effetto tampone, senza andare ad operare sui fattori scatenanti di tali infezioni 

Il Janicki Bioenergy Omniprocessor prevede un contenitore sotto il pavimento nel quale vanno a confluire feci ed urina e un pannello fotovoltaico che attiva un reattore biochimico capace di purificare i rifiuti attraverso degli elettrodi. Una reazione elettrochimica, poi, scompone le deiezioni nei vari componenti, separando l’idrogeno, la componente fertilizzante, e l’acqua, resa pulita, verrà utilizzata per il risciacquo, un altro meccanismo immagazzina l’idrogeno come energia nelle celle a combustibile, riserva per i pannelli solariUna toilette, insomma, che non ha bisogno di allacciatura ad una rete fognaria, totalmente autonoma e che ricicla al 100% gli escrementi che vi confluiscono.  

https://en.reset.org/blog/omni-processor-turning-sewage-drinking-water-senegal-and-beyond-01112020

Questo sistema di riciclaggio si ricollega, in parte, ad un altro meccanismo precedentemente brevettato dalla Gates Foundation, capace di rendere la pipì, ma anche l’acqua fognaria o inquinata, totalmente potabile.  Per i più appassionati di serie tv, Netflix propone anche una docu-serie “Dentro la Mente <di Bill Gates> nella quale viene raccontata la storia della Fondazione e gli importanti risultati raggiunti, attraverso interviste e documentazioni.  

Il costo di questo nuovo prototipo di toilette è pari a circa 13.400 euro, lo scopo è ora quello di ridurlo per arrivare ai 0,5 dollari al giorno per “utente”. Intanto, le prime forniture a scuole ed ospedali sono già iniziate, in Senegal, dopodiché verrà fornito anche ai privati e alcuni già parlano di rivoluzione igienico-sanitaria.   

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 Ylenia Santantonio

Fonti: 

https://www.peopleforplanet.it/il-wc-del-futuro-trasforma-le-feci-in-denaro-e-la-pipi-in-acqua-potabile/ 

https://www.gatesfoundation.org/what-we-do/global-growth-and-opportunity/water-sanitation-and-hygiene/reinvent-the-toilet-challenge-and-expo 

https://www.inc.com/maureen-kline/the-toilet-challenge-is-an-example-of-21st-century-entrepreneurship.html 

https://it.insideover.com/politica/nelloms-decide-quasi-tutto-bill-gates-e-la-sua-fondazione.html 

https://www.who.int/about/funding/contributors 

https://www.focus.it/tecnologia/innovazione/bill-gates-beve-acqua-prodotta-da-rifiuti-organici-umani-il-video 

https://www.focus.it/ambiente/ecologia/la-toilette-intelligente-di-gates-testata-sul-campo 

GHIACCIAI: “LE TORRI D’ACQUA” DELLA TERRA

Il 7 febbraio un ghiacciaio dell’Himalaya, il Nanda Devi, è crollato e ha causato un’inondazione nella regione indiana dell’Uttarakhand. Ha travolto una diga e due centrali elettriche, causando un’enorme alluvione e la morte di decine di persone. Secondo gli esperti il ghiacciaio probabilmente è crollato a causa del surriscaldamento climatico.

 

Ma perché è successo?

Quando la temperatura atmosferica aumenta il ghiaccio si scioglie, ma quando lo fa in modo troppo rapido si possono verificare crolli e alluvioni. Secondo un rapporto del Ministero delle Scienze della Terra indiano sui ghiacciai di quella parte dell’Himalaya la temperatura è aumentata di un grado e mezzo, dal 1951 a oggi. Non solo quindi il ghiaccio si è scaldato troppo rapidamente, ma l’ha fatto molto di più che in altre zone del mondo. Anche il programma delle Nazioni Unite per l’ambiente, l’UNEP, ha spiegato che nelle regioni montuose dell’Asia il clima sembra cambiare più velocemente della media globale, e almeno un terzo dei ghiacciai che si trovano nelle sue grandi montagne (come la catena dell’Himalaya, dell’Hindu Kush, del Karakoram e Pamir) spariranno entro il 2100.

 

Dove andrà a finire l’acqua?

Se effettivamente le cose andranno così in quella zona ci saranno quasi quattro quadrilioni di litri d’acqua che prima era ghiaccio. Probabilmente l’Himalaya diventerà la zona con più laghi al mondo. Solo dal 1990 al 2010 infatti, in Asia si sono creati oltre 900 nuovi bacini idrici naturali.

 

Ma il ghiaccio sparisce in tutto il mondo

Un fenomeno simile sta già succedendo anche in Perù, che negli ultimi 40 anni ha perso la metà dei suoi ghiacciai. Anche in Italia la situazione preoccupa i climatologi, perché i ghiacciai stanno regredendo e lo stanno facendo a un ritmo allarmante. A dicembre 2020 Legambiente ha presentato “Carovana dei Ghiacci”, il primo rapporto sullo stato di salute dei ghiacciai italiani realizzato insieme con il Comitato Glaciologico. Dal 1850 a oggi le aree alpine ricoperte dei ghiacciai si sono ridotte di oltre il 50%. A dimostrazione del fatto che i cambiamenti climatici e lo scioglimento del ghiaccio interessano tutte le zone del mondo e sono sempre più rapidi. Uno studio pubblicato recentemente sulla rivista scientifica “The Cryosphere”, ci dice che dal 1994 al 2017 abbiamo perso 28 trilioni di tonnellate di ghiaccio. Paragonandolo alla terra, sarebbe un’area grande quanto la Gran Bretagna.

Ma a cosa servono i ghiacciai?

Gli esperti chiamano i ghiacciai “torri d’acqua del mondo”, perché senza di loro la metà della popolazione mondiale non potrebbe accedere all’acqua potabile, avrebbe difficoltà a coltivare le terre e a produrre energia. Basti pensare che l’altopiano del Tibet è la sorgente dei 10 più grandi fiumi dell’Asia, e fornisce l’acqua a 1 miliardo e 35 milioni di persone.

Insomma, senza ghiaccio non c’è vita.

 

Per approfondire:

https://www.nationalgeographic.it/ambiente/2020/07/cosa-succede-quando-il-tetto-del-mondo-si-scioglie

https://www.legambiente.it/rapporti/carovana-dei-ghiacciai-il-primo-report-sui-ghiacciai-italiani/

https://www.the-cryosphere.net/

https://cpom.org.uk/cpom-research-shows-that-global-ice-loss-increases-are-at-record-rate/

L’Agenda 2030: uno sviluppo giusto 

Il 20 febbraio di ogni anno, in tutto il mondo, ricorre la Giornata Mondiale per la giustizia socialeSpesso la sentiamo nominare, soprattutto in ambito politico. Ma cosa si riferisce questo termine e cosa c’entra con gli SDGs dell’Agenda 2030?  

Nonostante ci possa sembrare un ideale, lontano dalla nostra quotidianità, è qualcosa che invece riguarda tutti e tutte noi da molto vicino: è il motore che promuove la costruzione di una società più inclusiva e attenta ai bisogni di ogni cittadino e cittadina. Essa si costruisce su un importantissimo fondamento: l’idea che tutti gli individui godono degli stessi diritti, senza distinzione di età, nazionalità, genere, colore della pelle, lingua, credo religioso, opinione politica, condizione economica.

Un governo e una comunità internazionale che agiscono secondo giustizia, quindi, si adoperano perché tutti a i propri cittadini e cittadine siano garantiti uguali diritti. La giustizia sociale tende quindi ad un’ideale condizione di equilibrio nella quale a chi possiede meno vengono dati i giusti strumenti perché possa avere le stesse opportunità di chi possiede di più. In una logica di giustizia sociale l’accesso ai servizi essenziali è garantito a tutti: un bambino proveniente da una famiglia povera che abita in una zona rurale del Ghana deve avere le stesse possibilità di frequentare la scuola, di diplomarsi e di inserirsi nel mondo del lavoro di un suo coetaneo che vive a Manhattan, la cui famiglia gli dà la possibilità di ricevere una formazione privata. 

 

Che ruolo hanno gli SDGs nel raggiungimento di questo equilibrio? 

Gli SDGs ci ricordano che l’accesso all’acqua, ad un’adeguata nutrizione, ad un’istruzione di qualità, ai servizi sanitariad una casa accogliente non sono opportunità garantite in tutto il mondo in egual misura. I grandi obiettivi che la comunità internazionale si è posta attraverso l’Agenda 2030 mirano anche a garantire al maggior numero di individui possibile questi quotidiani e fondamentali servizi, contribuendo al raggiungimento di quell’ideale condizione di equilibrio in cui la giustizia sociale prende forma e diventa realtà. 

Ma allora la giustizia sociale ha qualcosa a che fare con gli SDGs? Sì, tutto.  

Silvia D’Ambrosio 

Fonte: https://www.laleggepertutti.it/179471_cosa-significa-giustizia-sociale 

Tessuti riciclati e scarpe di pelle biologica: finalmente anche la moda diventa sostenibile

Grandi marchi e piccole medie imprese: sono sempre di più in Italia le aziende di moda che adottano un modello produttivo più green.

Dalle scarpe di pelle derivata dai funghi ai vestiti di tessuti riutilizzati, alle borse firmate di nylon riciclato: nel 2020 è cresciuto l’impegno di grandi marchi, piccole e medie imprese (pmi) e start-up verso una moda più sostenibile.

Un’analisi condotta dal settimanale britannico The Economist, ha infatti mostrato che la sostenibilità è salita al secondo posto nelle priorità dei top manager della moda, seconda solo alla soddisfazione dei clienti.

 

Consumatori, soprattutto tra i giovani, sempre più preoccupati per il clima

Un trend dovuto anche a una maggiore preoccupazione degli italiani verso l’ambiente: secondo dei dati Eurispes, infatti, il 26,6% degli italiani vede nel riscaldamento del pianeta il problema più urgente da risolvere, seguito dalla gestione dei rifiuti (20,7%), dall’inquinamento atmosferico (16,4%), dal dissesto idrogeologico (11,3%) e dal problema energetico (11,2%).

Tra gli intervistati, la categoria più preoccupata (e che si comporta meglio in termini di sostenibilità) è quella dei giovani tra i 18-24 anni. Un dato che non sorprende se si pensa al ruolo che i giovani hanno avuto negli ultimi due anni, con i movimenti ambientalisti Fridays For Future e Extinction Rebellion.

Già durante la prima ondata dell’epidemia di Covid era stato una dei più grandi nel mondo della moda, Giorgio Armani, a lanciare un appello verso un cambiamento di rotta del settore, puntando il dito contro il sistema corrente, giudicato dallo stilista “criminale”. “Trovo assurdo che si possano trovare in vendita abiti di lino nel bel mezzo dell’inverno e cappotti d’alpaca d’estate per la semplice ragione che il desiderio d’acquistare debba essere immediatamente soddisfatto”, ha scritto nella sua lettera alla rivista di moda Women’s Wear Daily.

 

Moda sostenibile, le iniziative dei grandi marchi

Sono davvero tanti i brand che stanno adottando cambiamenti in favore di una produzione più sostenibile; già nel 2020 Adidas aveva lanciato un’edizione di alcune delle sue sneakers più popolari interamente vegana, che è presto diventata un best seller. Per il 2021, l’azienda ha annunciato la produzione di un modello fatto di pelle ecologica, fatta di micelio.

L’azienda ha inoltre dichiarato che entro l’anno il 60% dei suoi prodotti sarà realizzato con materiali eco-sostenibili. Un impegno che vede partecipare anche altri grandi marchi, come Prada, che da quest’anno produrrà borse e borselli utilizzando nylon riciclato, e Tommy Hilfiger, che ha dichiarato il suo obiettivo di utilizzare soltanto materiali riciclati (e allora volta riciclabili) per le sue collezioni (entro il 2030).

Anche la catena H&M ha intrapreso iniziative orientate alla sostenibilità: nel 2019 ha infatti avviato una campagna di riciclo di abiti usati e nel corso del 2020 ha lanciato sul mercato una linea di abiti sostenibili, realizzati con tessuti riciclati o di scarto.

 

Anche le piccole e medie imprese della moda guardano alla sostenibilità

Non solo grandi marchi: nel nostro Paese stanno fiorendo anche piccole e medie imprese coinvolte nella spinta verso la sostenibilità del settore della moda. In un articolo di Marie Claire dell’aprile 2020 ne vengono presentati 8, ma va sottolineato che si tratta di una realtà in rapida crescita in Italia.

Aziende che partono dal riciclo di tessuti di scarto delle grandi aziende o da altri scarti industriali (come le polveri del marmo, nel caso dell’azienda Fili Pari) per dare ai tessuti una nuova vita e ridurre gli sprechi.

Nonostante ci sia molto da fare per uscire da questo “ritmo frenetico e vorticoso dei consumi” che ha denunciato Giorgio Armani nella sua lettera, finalmente anche il settore della moda ha intrapreso il cammino verso un’economia circolare.

Michelle Crisantemi