Salute: non solo Coronavirus. La toilet della Gates Foundation capace di dimezzare le morti da diarrea.  

Un sistema di deiezione che si avvale del Janicki Bioenergy Omniprocessorin arte toilette, questa volta, però, animata da un impianto in grado di trasformare, attraverso un sistema di filtraggio, alimentato con pannelli solari, la pipì in acqua potabile e le feci in polvere fertilizzante.  

La Bill & Melinda Gates Foundation da anni si impegna nel finanziamento e la realizzazione di questo impianto, chiamando a raccolta i maggiori esperti del settore,  a livello internazionale, con le loro “Reinvented Toilet Expo”, occasioni in cui sono stati presentati progetti in grado di raggiungere l’obiettivo da anni conclamato dai coniugi Gates: contrastare le morti per diarrea, ma anche tifo e colera.  

Nel pieno di una pandemia da Covid-19, poco ci si sofferma a pensare che, in altre parti del mondo, si muore molto più semplicemente a causa della diarrea, specialmente tra le fasce di popolazione dai 0 ai 3 anni e con numeri ben maggiori di quelli registrati per morte da Coronavirus. Lmalnutrizione peggiora le condizioni di salute, debilita il corpo, e le scarse condizioni igienico-sanitarie fanno sì che non si abbia accesso ad acqua potabile, a spazi incontaminati dalle feci, che a loro volta sono portatori di virus e batteri capaci di compromettere inevitabilmente questo circolo vizioso e la vita stessa di chi vi è esposto. 

La Gates Foundation riesce a fornire acqua potabile dalla pipì e fertilizzante dalle feci eliminando il problema della mancanza di un adeguato sistema fognario ed igienico-sanitario, un rimedio ab origine rispetto ai farmaci che vengono forniti per combattere infezioni da virus  e batteri e che, però, hanno solo un effetto tampone, senza andare ad operare sui fattori scatenanti di tali infezioni 

Il Janicki Bioenergy Omniprocessor prevede un contenitore sotto il pavimento nel quale vanno a confluire feci ed urina e un pannello fotovoltaico che attiva un reattore biochimico capace di purificare i rifiuti attraverso degli elettrodi. Una reazione elettrochimica, poi, scompone le deiezioni nei vari componenti, separando l’idrogeno, la componente fertilizzante, e l’acqua, resa pulita, verrà utilizzata per il risciacquo, un altro meccanismo immagazzina l’idrogeno come energia nelle celle a combustibile, riserva per i pannelli solariUna toilette, insomma, che non ha bisogno di allacciatura ad una rete fognaria, totalmente autonoma e che ricicla al 100% gli escrementi che vi confluiscono.  

https://en.reset.org/blog/omni-processor-turning-sewage-drinking-water-senegal-and-beyond-01112020

Questo sistema di riciclaggio si ricollega, in parte, ad un altro meccanismo precedentemente brevettato dalla Gates Foundation, capace di rendere la pipì, ma anche l’acqua fognaria o inquinata, totalmente potabile.  Per i più appassionati di serie tv, Netflix propone anche una docu-serie “Dentro la Mente <di Bill Gates> nella quale viene raccontata la storia della Fondazione e gli importanti risultati raggiunti, attraverso interviste e documentazioni.  

Il costo di questo nuovo prototipo di toilette è pari a circa 13.400 euro, lo scopo è ora quello di ridurlo per arrivare ai 0,5 dollari al giorno per “utente”. Intanto, le prime forniture a scuole ed ospedali sono già iniziate, in Senegal, dopodiché verrà fornito anche ai privati e alcuni già parlano di rivoluzione igienico-sanitaria.   

#agente0011 #SDGs #Agenda2030 #UN #Salute #SDG3 #SDG6 #SDG7 #actionaid 

 Ylenia Santantonio

Fonti: 

https://www.peopleforplanet.it/il-wc-del-futuro-trasforma-le-feci-in-denaro-e-la-pipi-in-acqua-potabile/ 

https://www.gatesfoundation.org/what-we-do/global-growth-and-opportunity/water-sanitation-and-hygiene/reinvent-the-toilet-challenge-and-expo 

https://www.inc.com/maureen-kline/the-toilet-challenge-is-an-example-of-21st-century-entrepreneurship.html 

https://it.insideover.com/politica/nelloms-decide-quasi-tutto-bill-gates-e-la-sua-fondazione.html 

https://www.who.int/about/funding/contributors 

https://www.focus.it/tecnologia/innovazione/bill-gates-beve-acqua-prodotta-da-rifiuti-organici-umani-il-video 

https://www.focus.it/ambiente/ecologia/la-toilette-intelligente-di-gates-testata-sul-campo 

GHIACCIAI: “LE TORRI D’ACQUA” DELLA TERRA

Il 7 febbraio un ghiacciaio dell’Himalaya, il Nanda Devi, è crollato e ha causato un’inondazione nella regione indiana dell’Uttarakhand. Ha travolto una diga e due centrali elettriche, causando un’enorme alluvione e la morte di decine di persone. Secondo gli esperti il ghiacciaio probabilmente è crollato a causa del surriscaldamento climatico.

 

Ma perché è successo?

Quando la temperatura atmosferica aumenta il ghiaccio si scioglie, ma quando lo fa in modo troppo rapido si possono verificare crolli e alluvioni. Secondo un rapporto del Ministero delle Scienze della Terra indiano sui ghiacciai di quella parte dell’Himalaya la temperatura è aumentata di un grado e mezzo, dal 1951 a oggi. Non solo quindi il ghiaccio si è scaldato troppo rapidamente, ma l’ha fatto molto di più che in altre zone del mondo. Anche il programma delle Nazioni Unite per l’ambiente, l’UNEP, ha spiegato che nelle regioni montuose dell’Asia il clima sembra cambiare più velocemente della media globale, e almeno un terzo dei ghiacciai che si trovano nelle sue grandi montagne (come la catena dell’Himalaya, dell’Hindu Kush, del Karakoram e Pamir) spariranno entro il 2100.

 

Dove andrà a finire l’acqua?

Se effettivamente le cose andranno così in quella zona ci saranno quasi quattro quadrilioni di litri d’acqua che prima era ghiaccio. Probabilmente l’Himalaya diventerà la zona con più laghi al mondo. Solo dal 1990 al 2010 infatti, in Asia si sono creati oltre 900 nuovi bacini idrici naturali.

 

Ma il ghiaccio sparisce in tutto il mondo

Un fenomeno simile sta già succedendo anche in Perù, che negli ultimi 40 anni ha perso la metà dei suoi ghiacciai. Anche in Italia la situazione preoccupa i climatologi, perché i ghiacciai stanno regredendo e lo stanno facendo a un ritmo allarmante. A dicembre 2020 Legambiente ha presentato “Carovana dei Ghiacci”, il primo rapporto sullo stato di salute dei ghiacciai italiani realizzato insieme con il Comitato Glaciologico. Dal 1850 a oggi le aree alpine ricoperte dei ghiacciai si sono ridotte di oltre il 50%. A dimostrazione del fatto che i cambiamenti climatici e lo scioglimento del ghiaccio interessano tutte le zone del mondo e sono sempre più rapidi. Uno studio pubblicato recentemente sulla rivista scientifica “The Cryosphere”, ci dice che dal 1994 al 2017 abbiamo perso 28 trilioni di tonnellate di ghiaccio. Paragonandolo alla terra, sarebbe un’area grande quanto la Gran Bretagna.

Ma a cosa servono i ghiacciai?

Gli esperti chiamano i ghiacciai “torri d’acqua del mondo”, perché senza di loro la metà della popolazione mondiale non potrebbe accedere all’acqua potabile, avrebbe difficoltà a coltivare le terre e a produrre energia. Basti pensare che l’altopiano del Tibet è la sorgente dei 10 più grandi fiumi dell’Asia, e fornisce l’acqua a 1 miliardo e 35 milioni di persone.

Insomma, senza ghiaccio non c’è vita.

 

Per approfondire:

https://www.nationalgeographic.it/ambiente/2020/07/cosa-succede-quando-il-tetto-del-mondo-si-scioglie

https://www.legambiente.it/rapporti/carovana-dei-ghiacciai-il-primo-report-sui-ghiacciai-italiani/

https://www.the-cryosphere.net/

https://cpom.org.uk/cpom-research-shows-that-global-ice-loss-increases-are-at-record-rate/

L’Agenda 2030: uno sviluppo giusto 

Il 20 febbraio di ogni anno, in tutto il mondo, ricorre la Giornata Mondiale per la giustizia socialeSpesso la sentiamo nominare, soprattutto in ambito politico. Ma cosa si riferisce questo termine e cosa c’entra con gli SDGs dell’Agenda 2030?  

Nonostante ci possa sembrare un ideale, lontano dalla nostra quotidianità, è qualcosa che invece riguarda tutti e tutte noi da molto vicino: è il motore che promuove la costruzione di una società più inclusiva e attenta ai bisogni di ogni cittadino e cittadina. Essa si costruisce su un importantissimo fondamento: l’idea che tutti gli individui godono degli stessi diritti, senza distinzione di età, nazionalità, genere, colore della pelle, lingua, credo religioso, opinione politica, condizione economica.

Un governo e una comunità internazionale che agiscono secondo giustizia, quindi, si adoperano perché tutti a i propri cittadini e cittadine siano garantiti uguali diritti. La giustizia sociale tende quindi ad un’ideale condizione di equilibrio nella quale a chi possiede meno vengono dati i giusti strumenti perché possa avere le stesse opportunità di chi possiede di più. In una logica di giustizia sociale l’accesso ai servizi essenziali è garantito a tutti: un bambino proveniente da una famiglia povera che abita in una zona rurale del Ghana deve avere le stesse possibilità di frequentare la scuola, di diplomarsi e di inserirsi nel mondo del lavoro di un suo coetaneo che vive a Manhattan, la cui famiglia gli dà la possibilità di ricevere una formazione privata. 

 

Che ruolo hanno gli SDGs nel raggiungimento di questo equilibrio? 

Gli SDGs ci ricordano che l’accesso all’acqua, ad un’adeguata nutrizione, ad un’istruzione di qualità, ai servizi sanitariad una casa accogliente non sono opportunità garantite in tutto il mondo in egual misura. I grandi obiettivi che la comunità internazionale si è posta attraverso l’Agenda 2030 mirano anche a garantire al maggior numero di individui possibile questi quotidiani e fondamentali servizi, contribuendo al raggiungimento di quell’ideale condizione di equilibrio in cuila giustizia sociale prende forma e diventa realtà. 

Ma allora la giustizia sociale ha qualcosa a che fare con gli SDGs? Sì, tutto.  

Silvia D’Ambrosio 

Fonte: https://www.laleggepertutti.it/179471_cosa-significa-giustizia-sociale 

Tessuti riciclati e scarpe di pelle biologica: finalmente anche la moda diventa sostenibile

Grandi marchi e piccole medie imprese: sono sempre di più in Italia le aziende di moda che adottano un modello produttivo più green.

Dalle scarpe di pelle derivata dai funghi ai vestiti di tessuti riutilizzati, alle borse firmate di nylon riciclato: nel 2020 è cresciuto l’impegno di grandi marchi, piccole e medie imprese (pmi) e start-up verso una moda più sostenibile.

Un’analisi condotta dal settimanale britannico The Economist, ha infatti mostrato che la sostenibilità è salita al secondo posto nelle priorità dei top manager della moda, seconda solo alla soddisfazione dei clienti.

 

Consumatori, soprattutto tra i giovani, sempre più preoccupati per il clima

Un trend dovuto anche a una maggiore preoccupazione degli italiani verso l’ambiente: secondo dei dati Eurispes, infatti, il 26,6% degli italiani vede nel riscaldamento del pianeta il problema più urgente da risolvere, seguito dalla gestione dei rifiuti (20,7%), dall’inquinamento atmosferico (16,4%), dal dissesto idrogeologico (11,3%) e dal problema energetico (11,2%).

Tra gli intervistati, la categoria più preoccupata (e che si comporta meglio in termini di sostenibilità) è quella dei giovani tra i 18-24 anni. Un dato che non sorprende se si pensa al ruolo che i giovani hanno avuto negli ultimi due anni, con i movimenti ambientalisti Fridays For Future e Extinction Rebellion.

Già durante la prima ondata dell’epidemia di Covid era stato una dei più grandi nel mondo della moda, Giorgio Armani, a lanciare un appello verso un cambiamento di rotta del settore, puntando il dito contro il sistema corrente, giudicato dallo stilista “criminale”. “Trovo assurdo che si possano trovare in vendita abiti di lino nel bel mezzo dell’inverno e cappotti d’alpaca d’estate per la semplice ragione che il desiderio d’acquistare debba essere immediatamente soddisfatto”, ha scritto nella sua lettera alla rivista di moda Women’s Wear Daily.

 

Moda sostenibile, le iniziative dei grandi marchi

Sono davvero tanti i brand che stanno adottando cambiamenti in favore di una produzione più sostenibile; già nel 2020 Adidas aveva lanciato un’edizione di alcune delle sue sneakers più popolari interamente vegana, che è presto diventata un best seller. Per il 2021, l’azienda ha annunciato la produzione di un modello fatto di pelle ecologica, fatta di micelio.

L’azienda ha inoltre dichiarato che entro l’anno il 60% dei suoi prodotti sarà realizzato con materiali eco-sostenibili. Un impegno che vede partecipare anche altri grandi marchi, come Prada, che da quest’anno produrrà borse e borselli utilizzando nylon riciclato, e Tommy Hilfiger, che ha dichiarato il suo obiettivo di utilizzare soltanto materiali riciclati (e allora volta riciclabili) per le sue collezioni (entro il 2030).

Anche la catena H&M ha intrapreso iniziative orientate alla sostenibilità: nel 2019 ha infatti avviato una campagna di riciclo di abiti usati e nel corso del 2020 ha lanciato sul mercato una linea di abiti sostenibili, realizzati con tessuti riciclati o di scarto.

 

Anche le piccole e medie imprese della moda guardano alla sostenibilità

Non solo grandi marchi: nel nostro Paese stanno fiorendo anche piccole e medie imprese coinvolte nella spinta verso la sostenibilità del settore della moda. In un articolo di Marie Claire dell’aprile 2020 ne vengono presentati 8, ma va sottolineato che si tratta di una realtà in rapida crescita in Italia.

Aziende che partono dal riciclo di tessuti di scarto delle grandi aziende o da altri scarti industriali (come le polveri del marmo, nel caso dell’azienda Fili Pari) per dare ai tessuti una nuova vita e ridurre gli sprechi.

Nonostante ci sia molto da fare per uscire da questo “ritmo frenetico e vorticoso dei consumi” che ha denunciato Giorgio Armani nella sua lettera, finalmente anche il settore della moda ha intrapreso il cammino verso un’economia circolare.

Michelle Crisantemi

Donne e STEM

Solo 23 donne, dal 1902, hanno vinto un Premio Nobel per la chimica, la fisica e la medicina; più di 600 quelli assegnati ad uomini, nelle stesse materie

Il divario si presenta fin da subito importante, capace di mostrare forse una sommatoria dell’esperienza femminile nel mondo delle STEM.

 

Ma cosa sono le STEM?

Science, Technology, Engineering and Mathematics: un acronimo, dunque, che serve ad indicare tutte le materie e gli ambiti di ricerca e lavoro del mondo scientifico. Questi sono senza dubbio le professioni del futuro, considerando i grandi progressi scientifici e tecnologici fatti negli ultimi anni e quelli che saranno necessari per continuare a migliorare la vita sulla terra. Nonostante la loro rilevanza, però, è ancora difficile per le donne riuscire ad inserirsi in questi settori e trovarvi il lavoro più adatto alle proprie competenze, oltre che equamente retribuito.

La loro scalata verso le scienze trova una prima battuta d’arresto al momento della scelta del percorso universitario: secondo il World Economic Forum, meno del 30% delle ragazze sceglie una facoltà universitaria o un ambito lavorativo post universitario in questi settori. In Italia, le percentuali di interesse sono più rincuoranti, superiori alle medie europee, ma sono costrette ad arrestarsi al contatto con la realtà: il 59% delle ragazze è sicura di non riuscire ad ottenere gli stessi risultati dei ragazzi e finisce per considerare altri percorsi di studio o lavoro.

I motivi di questa disparità sono molteplici, a partire dallo stereotipo che vede solo gli uomini come innovatori e creatori fino all’assenza di una rappresentazione di modelli femminili adatti ad ispirare bambine e ragazze nella scelta del loro futuro. Un importantissimo report dell’UNESCO (“Cracking the Code: Girls’ and Women’s education in STEM”) sottolinea come i molteplici studi condotti sul cervello di uomini e donne non abbiano mai dimostrato attitudini differenti per i due sessi nell’approccio alle materie scientifiche: ciò che modifica i nostri interessi sono l’educazione scolastica, le interazioni sociali e famigliari fin dai primi anni di vita e le esperienze che viviamo.

Il cambiamento verso una parità di genere e di retribuzione negli ambiti scientifici e tecnologici è possibile, ma sicuramente non potrà essere radicale. Organizzazioni internazionali, come UNWOMEN e UNESCO, e le realtà nazionali, come le università, svolgono adesso un ruolo chiave per invertire la rotta della disparità: informare correttamente le giovani donne delle loro possibilità, incentivarle con iniziative pensate appositamente per metterle in contatto con il mercato del lavoro e semplicemente spronarle a seguire la propria passione con dedizione.

Possiamo creare un mondo più equo solo se insegniamo a tutte le bambine a credere nelle loro capacità e nella validità delle loro passioni.

Ho inizialmente fatto riferimento ai premi Nobel per poter concludere con una nota positiva: solo nel 2020, sono state 3 le vincitrici STEM del premio: Jennifer Anne Doudna ed Emmanuelle Charpentier, per i loro studi sul genoma umano, e Andrea Mia Ghez, per i suoi studi su i buchi neri.

 

LINK PER APPROFONDIRE:

https://en.unesco.org/stemed

https://www.unwomen.org/en/search-results?keywords=stem

https://thevision.com/scienza/donne-stem/

https://valored.it/news/premi-nobel-in-fisica-e-chimica-scienziate-che-cambiano-il-mondo/

Green Pea, green city

Apre il primo green retail park al mondo. L’Italia ancora baluardo della sostenibilità.

Alle ore 10.00 di una grigia mattinata invernale, assai comune nel capoluogo piemontese, viene inaugurato il primo green retail park al mondo, Green Pea. Una presa di posizione da parte della città di Torino, che punta a diventare un’eccellenza nell’ambito della sostenibilità.

Con i suoi 15.000 m2, Green Pea non è solamente uno spazio di vendita, ma anche luogo di ristoro, benessere, espositivo e culturale. Oltre ai 66 negozi, sono presenti infatti un museo sulla Sostenibilità, una serra, una caffetteria ed una piscina.

Tutti i partners di Green Pea condividono la sua filosofia, che si basa sul desiderio di cambiare il modello di consumo attuale per mettere “al centro di tutto la ricerca dell’Armonia con il pianeta”.

Il building

L’edificio, dal design moderno e naturale, è opera degli architetti ACC – Cristiana Catino e Negozio Blu Architetti Associati – Carlo Grometto. “Sostenibile in ogni suo dettaglio”, è costruito con materiali riciclabili (acciaio, ferro, vetro) ed è completamente smontabile, permettendo un possibile riutilizzo futuro delle sue componenti. Inoltre, il legno utilizzato per la copertura esterna proviene dalle foreste distrutte dalla tempesta Vaia dell’ottobre 2018.

Come afferma Oscar Farinetti,“Il fabbisogno energetico dell’edificio è soddisfatto all’89% da fonti rinnovabili”. L’energia che alimenta la struttura proviene in parte dai numerosi pannelli fotovoltaici presenti sia sul terrazzo che nel parcheggio, in parte dai pozzi geotermici presenti sotto la struttura. Inoltre, l’involucro esterno è stato progettato in maniera da non disperdere energia.

Sostenibile sì, ma solo se te lo puoi permettere!

Lungo i fatiscenti corridoi, passeggiando tra i grandi marchi Made in Italy, affiora una legittima domanda: “E chi non può permetterselo?”.

E’ interessante notare come i “prodotti green” siano passati da una fase di mercato di nicchia, che vedeva come acquirenti un numero limitato di persone più interessate al valore del prodotto che al suo design, ad una fase di mercato di lusso, in cui cambiano le caratteristiche degli acquirenti ma non le limitate dimensioni.

Questa riflessione, ovviamente, non si applica alla totalità delle realtà italiane che lavorano per cambiare il modello di consumi attuale. Sono molte le pratiche virtuose presenti sul territorio nazionale, che vendono prodotti sostenibili ad un giusto prezzo. Sorge a questo punto spontanea la domanda: ma qual è il giusto prezzo?.

Difficile da quantificare in maniera universale, il giusto prezzo deve però tener conto dei costi di tutta la filiera produttiva, in termini sia di costi economici, che sociali ed ambientali. Quando acquistate un capo di abbigliamento, per esempio, chiedetevi come possa costare così poco quando, in quel prezzo, sono compresi i costi di trasporto, di produzione, il costo del materiale ed il guadagno dell’azienda che lo produce. Facendo una semplice addizione, è facile comprendere come le diverse voci siano troppo basse per garantire un basso impatto ambientale e un adeguato salario a chi ha realmente prodotto e confezionato il vostro capo di abbigliamento.

Porsi queste domande è il primo passo verso il percorso che porta a diventare un consumatore responsabile, ovvero consapevole di ciò che acquista e dei costi che si celano dietro un’etichetta.

 

Consumatori responsabili

Ciascuno/a di noi può diventare un consumatore/trice responsabile; anzi, per il bene nostro, del pianeta e delle generazioni future tutti noi dovremmo diventarlo. Questo concetto inclusivo si scontra però con una realtà assai diversa.

In questa realtà rientra Green Pea, che ricorda un po’ la vendita delle indulgenze. Se vuoi salvarti, sentirti meglio con te stesso e il mondo devi pagare una cospicua somma.

Emblematica è il costo del tesseramento: per diventare un Green Pea Member è neccessario pagare una quota annuale di 50€, che dà accesso a sconti sui prodotti venduti all’interno del retail park, contenuti e notizie in esclusiva sul mondo Green, giochi e consigli su come rendere il proprio stile di vita più green. Però ti regalano una bottiglia di vino!

La critica mossa al green retail park, sia chiaro, è rivolta al messaggio che sembra trasmette piuttosto che all’idea e alla struttura in sé, che ritengo sorprendenti e necessari. Rimane la delusione di vedere presenti tra i partners solamente grandi aziende nazionali, che per quanto abbiamo fatto grandi passi in avanti nell’ambito della sostenibilità non possono di certo ancora essere definiti tali. Non basta avere una linea di prodotti sostenibile per definire l’azienda rispettosa dell’ambiente e della società. A titolo di esempio, basta ricordare che anche Nestlé ha una linea di prodotti a marchio Fairtrade.

E’ vero, però, che se non si parte dalle grandi aziende, che hanno la possibilità di influenzare le tendenze in atto, la strada verso una la sostenibilità sarebbe ancora più difficile e perigliosa.

FONTI:

https://www.greenpea.com/

https://www.lastampa.it/topnews/edizioni-locali/torino/2020/12/05/news/da-torino-al-mondo-le-giovani-startup-partono-da-green-pea-1.39623776 

VIDEO:

YOUTH TALKS – Giornata Mondiale contro il bullismo e cyberbullismo

La nuova rubrica di interviste ai giovani vincitori del fondo Youth-Led Initiatives

A quasi un anno dall’inizio della pandemia, possiamo dire che le nostre abitudini hanno subito grandi cambiamenti, si sono ridotte o modificate le modalità con cui incontrare altre persone, condividere esperienze ed agire sul contesto sociale.

ActionAid ha stanziato il fondo Youth-Led Initiatives per promuovere la socializzazione e la partecipazione dei e delle giovani alla vita della comunità e della scuola in questo periodo difficile. L’obiettivo finale è di creare o rafforzare una leadership giovanile e garantirne la partecipazione nella definizione di azioni e politiche scolastiche, locali e nazionali, azioni di solidarietà con modalità peer to peer e youth-led.

 

Bullismo? Cyberbullismo? MA BASTA!

Uno dei vincitori per il fondo You-Led Initiatives è l’associazione MaBasta!, ideata per contrastare ogni forma di bullismo, cyberbullismo, sopraffazione e mancanza di rispetto.

Il bullismo è un fenomeno caratterizzato da azioni violente e intimidatorie esercitate da uno o più bulli, su una vittima attraverso molestie verbali, aggressioni fisiche, persecuzioni all’interno di un contesto che spesso è testimone, ma non fa nulla per contrastare queste violenze. Il cyberbullismo ne è una sua espressione. Le azioni possono riguardare molestie verbali, aggressioni fisiche, persecuzioni, generalmente attuate in ambiente scolastico. Lo sviluppo delle nuove tecnologie e di strumenti come i social network, hanno permesso ai bulli di attuare comportamenti violenti anche fuori dal contesto scolastico, tramite messaggi, commenti, immagini e video offensivi, permettendo anche l’anonimato.

Ogni forma di bullismo influisce negativamente sulla salute, intesa come bio-psico-sociale, provocando stress fisico e psicologico, danneggiando la realtà sociale della persona. Inoltre, interferisce con l’accesso all’istruzione e favorisce la diffusione di stereotipi. Combattere il bullismo contribuisce al raggiungimento di diversi SDGs dell’Agenda 2030, tra cui Salute e benessere (3), Istruzione di qualità (4), Uguaglianza di genere (5).

Il 7 febbraio si celebra la Giornata Mondiale contro il bullismo e il cyberbullismo. Per l’occasione abbiamo intervistato Mirko Cazzato di MaBasta! Questo è solo il primo appuntamento di una serie di interviste, Youth Talks, in cui interverranno altre associazioni coinvolte nelle attività finanziate dal fondo.

Stay tuned!

Se invece preferite ascoltare solo l’audio, sul nostro canale spreaker è disponibile anche il podcast dell’intervista: https://www.spreaker.com/user/12278437/audio-intervista-per-radio-kivuli

Veronica Lacorte

C’era una volta la wildlife

Negli ultimi giorni effettivi della sua controversa presidenza, Donald Trump ha sferrato un ultimo colpo all’ambiente.

Dopo aver fatto uscire, anche se solo temporaneamente, gli Stati Uniti dagli storici Accordi di Parigi, The Donald ha compiuto un altro pericoloso gesto prima della fine, il 20 Gennaio 2021, del suo mandato presidenziale. Il 6 Gennaio si è infatti svolta l’asta per la vendita alle compagnie di estrazione di petrolio e gas di una parte di quella che è considerata l’ultima grande terra selvaggia degli USA : l’Arctic National Wildlife Refuge.

Che cos’è L’ANWR (Arctic National Wildlife Refuge)?

L’Arctic National Wildlife Refuge, situato nella zona nord-orientale dello stato dell’Alaska, è attualmente, con i suoi 78.000 chilometri quadrati di estensione, il più grande dei 16 National Wildlife Refuges presenti. Oltre ad ospitare migliaia di specie animali, ha un ruolo fondamentale poiché costituisce l’habitat principale delle renne Caribù Porcupine e degli orsi polari. Oltre alla vasta fauna e flora selvaggia, il territorio è casa anche della popolazione indigena dei Gwich’in, che vive nella regione dell’Arctic National Wildlife Refuge da centinaia di generazioni.

La fine di una delle più lunghe battaglie ambientali degli USA?

La contesa per il territorio dell’ANWR da parte dell’industria petrolifera va, in realtà, avanti da decenni, fin dalla decisione nel 1960 del presidente Eisenhower di istituire l’area come riserva naturale.

Ma ora, dopo delle prima aperture già manifestatesi durante il quinquennio presidenziale repubblicano, il territorio, considerato “off limits” fino a pochi anni fa, sembra destinato alle trivellazioni.

La vendita al miglior offerente dei diritti di perforazione, con durata decennale, di una parte della riserva naturale, il 5% dell’area totale, ha come obiettivo la ricerca di un nuovo giacimento di petrolio, che secondo i più ottimisti potrebbe costituire uno dei più grandi giacimenti petroliferi del Nord America.

Insomma una storia già raccontata con un trade-off tra denaro e ambiente che più volte abbiamo visto ripetersi nella storia recente, con conseguenze molto più che evidenti.

Il flop e la speranza.

Nonostante i forti interessi economici in gioco, l’asta non sembra essere andata come l’attuale presidente uscente aveva previsto. Infatti, a causa della struttura impervia dell’area e della mancanza di infrastrutture – è una riserva di natura selvaggia d’altronde – non sembrano essere pervenute particolari offerte e molte grandi istituzioni finanziarie hanno affermato che non finanzieranno la produzione e la ricerca di petrolio e gas nell’area.

Dobbiamo dunque sperare nell’ennesimo flop di un’amministrazione disastrosa in campo ambientale.

A rappresentare un barlume di speranza è l’imminente insediamento del presidente appena eletto Joe Biden, che sembra propenso ad ascoltare le continue spinte e proteste della comunità ambientalista e delle comunità indigene locali e salvaguardare l’incolumità dell’area. Per ora l’allarme sembra cessato ma, in ogni caso, la guardia resta alta.

Simone Gennari

È ok non essere ok

Come la positività tossica impatta sulla nostra salute mentale 

Il 2020 è stato un anno faticoso e difficile per tutti.

Da un giorno all’altro ci siamo trovati chiusi nelle nostre case con l’impossibilità di uscire, i supermercati presi d’assalto e giornate passate tra una conferenza su zoom e un’altra.

Le ripercussioni psicologiche sono state tante e hanno avuto un’incidenza piuttosto elevata nei giovani e nelle giovani dai 6 ai 18 anni, fascia d’età principale fruitrice di social network.

Proprio qui, si è visto l’aumento di profili Instagram dedicati alla diffusione di positive vibes (vibrazioni positive), coaching di laureati e laureate alla Bocconi, travel blogger, fanatici e fanatiche del fitness e guru spirituali improvvisati che non hanno fatto altro che condividere post motivazionali e citazioni sul successo, sulla felicità e soprattutto sulla facilità con la quale loro riuscivano ad approfittare di quel periodo di fermo per apprendere nuove competenze, per rimettersi in forma e leggere quei libri che avevano in sospeso da tempo. E se tu non lo stavi facendo allora eri poco disciplinato, incapace di essere determinato e di avere controllo sulle tue emozioni.

Secondo loro infatti, lo scoraggiamento e l’abbattimento emotivo che si stava vivendo nel periodo di lockdown di marzo e aprile era facilmente risolvibile pensando positivo in modo da rimuovere tutti gli elementi negativi presenti nella propria vita ed essere sempre felice.

Il problema però è che questo fenomeno causa una forte repressione dei sentimenti negativi trasformandosi in positività tossica.

Ma che cos’è la positività tossica?

Potremmo riassumerla così: “Non è vero che stai male, sei solo troppo negativo. Il mondo non è brutto, sei tu che lo vedi così.

Essa è una spinta verso uno stato mentale che ci porta a sperimentare e mostrare solo emozioni positive. La base di questa teoria è che, se rimani positivo, le cose belle arriveranno. Se contrasti ciò che ti rende triste, ricordandoti di ciò che hai e di cui devi essere grato, diventerai equilibrato e felice.

Purtroppo però, la vita vera presenta problematiche molto più complesse e sfaccettate e la loro soluzione non può essere relegata ad una così semplice ed unidimensionale soluzione.

 

Come uscirne?

Fortunatamente, sono nate diverse pagine di therapy influencer in cui le persone raccontano la propria situazione e vengono spinte ad accettare i propri sentimenti negativi, come parte della propria identità.

Qui di seguito una serie di punti per aiutare chiunque si senta sopraffatto da questa falsa positività:

  • Evita di ignorare le tue emozioni;
  • Ascolta e convalida come si sentono gli altri, anche quando è diverso da come ti senti;
  • Ricorda, va bene non essere ok;
  • Ricorda che i sentimenti non si escludono a vicenda;
  • Riconosci i messaggi di positività tossica;
  • Va bene diffidare dei social media;

Ecco che, quindi, dobbiamo imparare a riconoscere i nostri sentimenti e viverli nella maniera più coerente e sana possibile, essere tristi è più che legittimo e ricordiamoci che quello che vediamo sui social network è una finestra su una porzione di mondo piccolissimo e molto spesso filtrata.

Ma soprattutto, teniamo bene a mente che siamo tutti sotto la stessa tempesta e che imparare ad ascoltare ed empatizzare con le emozioni e i sentimenti altrui è oggi più che mai necessario.

Valeria Lotti

 

“How Toxic Positivity Leads to More Suffering”:

DIAMOCI UN TAGLIO

6 Febbraio: Giornata Mondiale contro le Mutilazioni Genitali Femminili

Avete mai sentito parlare di infibulazione o di mutilazioni genitali femminili (MGF)? Anche a causa di un atteggiamento di tabù rispetto a questi argomenti, spesso non è ben chiaro quali siano le caratteristiche del fenomeno e quali siano le differenze tra le sue sfaccettature. Facciamo chiarezza!

 

Ne abbiamo parlato anche qui: Le mutilazioni genitali femminili sono finalmente reato in Sudan

Vanno sotto il nome di Mutilazioni genitali femminili tutte le procedure che prevedano l’alterazione o rimozione di queste parti anatomiche femminili per motivi che non siano di tipo medico. Ve ne sono di diversi tipi, tutte vengono praticare in tenera età, vanno dall’asportazione totale o parziale della clitoride o delle piccole labbra, all’infibulazione (che prevede una sorta di cucitura che lascia spazio solo per espellere i fluidi delle mestruazioni). Nel caso di quest’ultima pratica, le donne vengono spesso infibulate e deinfibulate diverse volte nella vita, per avere rapporti sessuali e partorire.

Sebbene vengano avanzate varie motivazioni per giustificarle (dall’estetica alla presunta maggiore fertilità) tra i motivi che spingono all’utilizzo di queste metodologie non possiamo non citare la volontà di controllare la vita sessuale delle donne, privandole del piacere e della libertà sessuale.

Oltre ad essere pratiche psicologicamente traumatiche per le bambine che vengono costrette a sottoporvisi, hanno anche altre gravi conseguenze: nel breve termine provocano emorragie, infezioni, difficoltà nell’espletare i bisogni fisiologici e nel lungo termine portano a problemi per la sessualità e per il poter avere dei figli. Essendo praticate anche prima dei 14 anni, spesso provocano abbandono scolastico, matrimonio precoce ed impossibilità di lavoro ed indipendenza economica.

Sottoporsi a queste pratiche viene considerato come un passaggio all’età adulta e spesso sono altre donne a praticarle, in un contesto in cui sono considerate normali e necessarie per il proseguimento della vita sociale, il matrimonio etc. Risulta quindi difficile, se non impossibile, per le donne che hanno già subito questa violenza opporsi ad essa, anche se si tratta delle proprie figlie.

Nel mese di agosto è stato pubblicato un articolo, in cui una donna somala di 50 anni, raccontava come lei praticasse MGF, pensando fossero necessarie, mentre ora è un’attivista per sensibilizzare le donne contro queste violenze.

L’African Medical and Research Foundation ha dato inizio ad una collaborazione tra operatori e collaboratori locali in Kenya, per la costruzione di pratiche alternative a quelle delle MGF, che possano mantenere caratteristiche simboliche di passaggio all’età adulta.

L’obiettivo 5 dell’agenda 2030, riguardante la parità di genere ha un indicatore specifico dedicato alle MGF, il 5.3. Esso si propone l’eliminazione, oltre del matrimonio forzato, delle pratiche di mutilazione ai danni delle donne e delle bambine. Questo obiettivo risulta fondamentale poiché oltre a garantire la fine di queste violazioni dei diritti umani, avrebbe ripercussioni in altri ambiti, legandosi ad altri SDGs. Infatti, eliminare queste violenze eliminerebbe anche problemi sanitarie, di impiego e libertà personale che ne sono una diretta conseguenza.

Veronica Lacorte