Possiamo considerare l’accesso ad internet ancora un problema di diritti umani?

È passato più di un anno dallo scoppio del coronavirus, cambiando drasticamente le nostre interazioni umane, i nostri modi di andare a scuola, lavorare e di imparare.  

Accedere e utilizzare internet è diventato così importante oggi da poterlo considerare la “colla” che ha tenuto assieme il nostro 2020. Il luogo di provenienza non era e ancora non è rilevante: che fosse a New York o in una valle sperduta, senza una connessione wireless chiunque si sarebbe ritrovato tagliato fuori dal mondo. 

Ma da quando internet ha cominciato a diventare un bene così prezioso? Un global common riconosciuto a livello internazionale che ha segnato l’inizio dell’era digitale? 

 

Un bene pubblico e globale

L’associazione di internet come un bene e servizio pubblico globale, si è sviluppato negli scorsi tre decenni sottolineando il fatto che un libero accesso alla rete potesse garantire libertà di espressione e altri diritti fondamentali connessi al mondo digitale. 

Dopo lunghe negoziazioni tra i governi e gli interlocutori principali nel mondo economico e della società civile, nel dicembre del 2003 le Nazioni Unite hanno inaugurato il primo Vertice Mondiale sulla Società dell’Informazione (WSIS). Questo vertice diede ufficialmente il via alla presa d’importanza di internet per lo sviluppo della società dell’informazione, promuovendo i principi della libertà, dei diritti umani, della condivisione della conoscenza. In quella occasione a Ginevra è stato anche instituito un Fondo di solidarietà digitaledestinato a supportare levoluzione tecnologica nei Paesi in via di sviluppo assieme alla preesistenteUN ICT Task Force, che si occupata di colmare il gap tecnologico tra gli Stati del mondo. 

 

Ma anche un diritto umano fondamentale

Il5 luglio 2012 segna una data fondamentale in materia perché il Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unitedecise di dichiarare l’accesso a internet e la libertà di espressione online come diritti umani fondamentali, creando una continuità di protezione e tutela per tutte le donne gli uomini. Con la creazione degli SDGs le Nazioni Unite hanno supportato l’utilizzo di internet come strumento per accelerare lo sviluppo sostenibile dell’essere umano sul pianeta, cercando di diminuire il divario digitale che purtroppo caratterizza ancora i nostri tempi. In un mondo basato su una economia digitale, tutti i 17 SDGs necessitano di una componente digitale integrante. 

Parlando di accesso ad internet e di tecnologia, il nostro mondo ci appare ancora a diverse velocità. E non ci si riferisce solo alla velocità di connessione. Ci sono luoghi più e meno fortunati del mondo dove persone economicamente vulnerabili, nelle maggior parte dei casi, si trovano ad essere tagliati fuori dai servizi digitali.  

 Come possiamo vedere dal grafico dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico(OCSE) [1], anche tra i paesi considerati tra i più ricchi e sviluppati del mondo, si possono riscontrare differenze sostanziali. L’accesso a internet è rappresentato, in questo caso, come la percentuale di abitanti di uno stato aventi libero accesso ad un PC e ADSL nel 2019. Ai vertici opposti per inclusione tecnologica troviamo lo Stato colombiano e la Corea del Sud: nel primo caso solo metà dei cittadini ha accesso a internet, mentre nel secondo caso quasi l’intera popolazione. 

L’accesso a internet e il diritto all’istruzione

L’Italia si trova nella prima metà del grafico a barre con un 85,2% di persone sul territorio aventi un computer e una connessione internet. Questo significa che una fetta di Italiani sul nostro territorio è ancora tagliata fuori. L’ISTAT [2] riporta nello stesso anno che “la quasi totalità delle famiglie con almeno un minorenne dispone di un collegamento a banda larga (95,1%); tra le famiglie composte esclusivamente da persone ultrasessantacinquenni tale quota scende al 34,0%” [3].

È da questi numeri che i cittadini italiani hanno dovuto affrontare tutte le sfide del Covid-19, c’è quasi un 15% della popolazione che è restato nettamente indietro. E sebbene per amplio spettro questi sono anziani, vediamo anche che circa il 5% degli studenti minorenni ha avuto dei grossi problemi con la didattica a distanza (DAD) non avendo una connessione internet efficiente.  

Per ogni fascia d’età l’accesso a internet dovrebbe avere l’importanza che merita come diritto fondamentale universale, soprattutto oggi quando donne e uomini devono mantenere distanza fisica per accedere ai servizi di ogni giorno. 

 

Per maggiori approfondimenti vi invito a dare una rapida occhiata al portale Agente 0011 alla sezione Diritti Umani (https://agente0011.it/i-diritti-umani-spiegati-ai-bambini/), per concentrarci sulle grandi possibilità che internet ci può fornire e per aiutare chi ancora internet non riesce ad usarlo. 

Allegra Varriale

  1. La nascita dell’OCSE, inizialmente come Organizzazione Europea per la cooperazione economica (OECE), fu in un primo momento legata all’esigenza di garantire cooperazione e coordinamento in campo economico subito dopo la Seconda Guerra Mondiale. Oggi i membri dell’OCSE sono37, ma va sottolineata la collaborazione con ipartner chiave (Brasile, Cina, India, Indonesia e Sudafrica). Iniziative, monitoraggi e collaborazioni si allargano a oltre 100 Paesi e acirca l80% degli scambi commerciali e degli investimenti globali. l’OCSE rappresenta un punto di riferimento per i Paesi sviluppati aventi in comune un sistema di governo di tipo democratico ed un’economia di mercato. I principali compiti dell’OCSE sono quelli di assistere i suoi membri nel favorire unacrescita economica sostenibile, nello sviluppo delloccupazione e del benessere”. https://www.borsaitaliana.it/notizie/sotto-la-lente/ocse-116.htm 
  2. Istituto Nazionale di Statistica
  3. CITTADINI E ICT. https://www.istat.it/it/archivio/236920

PETROLIO E MINIERE: IL POZZO DELL’AFRICA

Quasi tutti i Paesi del mondo sono ricchi di risorse, eppure spesso o vengono sfruttate male (o non sfruttate proprio) o si preferisce semplicemente affidarsi all’estrazione di risorse fossili e minerarie molto abbondanti in alcune aree del globo.

Una risorsa molto ambita da quasi tutti i Paesi – in particolare quelli del Nord del Mondo – è il petrolio, che si trova in abbondanti quantità soprattutto nel Medio Oriente e in Africa. Oggi faremo un focus sull’Africa, un continente tanto ricco di risorse quanto depauperato dallo sfruttamento sociale e ambientale.

Dalla Nigeria al Mozambico, le popolazioni locali pagano il prezzo più alto in termini di danno ambientale e povertà anche a causa dell’attuale sistema di mercato che governa l’estrazione e l’esportazione di combustibili fossili. Per comprendere la crisi socio-ambientale che si sta vivendo, bisogna guardare a Makoko, la baraccopoli da 100.000 abitanti che vivono nella laguna di Lagos su palafitte e su un suolo creato dai rifiuti smaltiti nell’acqua.

 

Nella morsa dell’“oro nero”

Makoko è il simbolo della crisi perché si colloca al centro della principale città della Nigeria, prima economia africana per dimensioni, grazie all’esportazione del petrolio. La regione del Delta del fiume Niger, da cui proviene il petrolio nigeriano, è devastata dal punto di vista sociale e ambientale dall’attività estrattiva di un gruppo ristretto di imprese che alimentano le economie di alcuni Paesi del Nord globale, tra cui l’Italia.

La Nigeria, tuttavia, è solo l’esempio più clamoroso. Più in generale, infatti, è l’Africa nel suo complesso a rappresentare in modo emblematico la crisi socio-ambientale globale: da una parte è il continente in cui si sentono maggiormente gli effetti del cambiamento climatico, dall’altra, nelle miniere e nei campi petroliferi africani è dove maggiormente si vede all’opera un sistema produttivo fondato su combustibili fossili, che vengono estratti lontano dai luoghi dove vengono poi consumati.

Il continente africano produce circa il doppio del petrolio che consuma: il combustibile estratto viene infatti esportato verso le economie avanzate, rendendo così possibile il loro sviluppo. A livello mondiale i principali esportatori di petrolio rimangono gli Stati del Golfo Persico, ma ormai da diversi anni alcuni Paesi africani occupano una posizione di primo piano in questo settore.

 

Ambiente e mercato

La crisi socio-ambientale è globale perché l’economia che la determina è costruita su scala internazionale e gli effetti sono delocalizzati rispetto alle cause. Osservando il Mozambico, nonostante abbia un basso consumo di carbone – circa un millesimo di quello italiano, qui ne vengono estratti ogni anno circa 6 milioni di tonnellate. È infatti il secondo produttore di carbone in Africa e le sue miniere, sfruttate da imprese brasiliane e indiane alimentano la produzione di energia dell’India.

Questi esempi mostrano due aspetti fondamentali della crisi. Il primo è che il sistema produttivo fondato sui combustibili fossili produce danni sociali e ambientali lungo tutta la sua filiera, e non solo in termini di cambiamento climatico. Analizzare la crisi socio-ambientale isolando la questione climatica, significa osservare solo l’ultimo anello di una catena di sfruttamento delle persone e dell’ambiente che è alla base del sistema produttivo globale. Il secondo punto è che l’attuale sistema economico fa sì che sfruttamento e danni socio-ambientali si localizzino in modo sproporzionato nei Paesi più poveri e che, al contrario, i profitti rimangano concentrati nelle mani di poche imprese multinazionali.

 

Africa, un osservatorio sulla crisi

In questo senso il cambiamento climatico non è “il” problema, ma una delle forme con le quali si manifesta la crisi contemporanea. A pochi chilometri da Makoko sta prendendo forma su una penisola artificiale un nuovo quartiere di lusso che ospiterà l’élite nigeriana e le sedi delle principali imprese internazionali. L’iniziativa nasce per creare una barriera contro le ricorrenti inondazioni che colpiscono la costa meridionale della città.

L’Africa è un punto di vista privilegiato per osservare la crisi contemporanea perché è la frontiera dell’attuale sistema economico, il luogo dove si manifestano in forma estrema le conseguenze dello sfruttamento delle persone e dell’ambiente, ma anche il terreno in cui si sperimentano modalità innovative per trarre profitto dalla crisi. Da questa posizione occorre dunque guardare il problema per capirne la complessità e produrre modelli di società alternativi.

Davide Sicari

Fonte: https://www.manitese.it/petrolio-e-miniere-il-pozzo-dellafrica

La natura che cura: fitoterapia ed aromaterapia

Siamo abituati a parlare di come l’umanità dovrebbe prendersi cura della natura, e di quanto l’azione dell’uomo stia andando sempre di più nella direzione opposta. Oggi, invece, approfondiremo il caso in cui è la natura a prendersi cura di noi. Sempre più persone, infatti, oggi si affidano per la cura della persona e il trattamento di diverse patologie alla natura e a ciò che quest’ultima può offrirci in questi campi. 
Tra le discipline che si occupano di questi aspetti oggi scopriremo la fitoterapia e l’aromaterapia. 
 

Fitoterapia

La fitoterapia è la scienza medica che studia il corretto utilizzo delle piante medicinali allo scopo di trattare patologie di diversa natura.  
Sin dall’antichità, le popolazioni hanno fatto ampio uso di piante e frutti presenti in natura per affrontare determinate condizioni medico/salutistiche, specialmente durante il Medioevo.  
Più tardi, con l’avvento della medicina sintetica, la medicina naturale in generale e la fitoterapia in particolare furono messe da parte, affidando alla chimica il compito di curare l’essere umano.  
Oggi, in linea con una forte tendenza di “ritorno alla natura” contro quelli che sono gli effetti del progresso sfrenato in diversi campi, dal cambiamento climatico all’aumento di patologie dovute ad uno stile di vita poco sano, gran parte della popolazione sta riponendo nuovamente fiducia e speranza nell’efficacia della natura e della fitoterapia.  
In particolare, di grande interesse data la varietà di benefici e funzioni di quest’ultima è l’aromaterapia, oggi sempre più in voga anche tra i popoli occidentali.  
 

Aromaterapia

 
L’aromaterapia è un ramo della fitoterapia che utilizza gli oli essenziali per ottenere benefici in termini di salute sia fisica che mentale.  
In linea con la fitoterapia e il cosiddetto ritorno alla natura di cui abbiamo parlato prima, l’aromaterapia è una terapia completamente sostenibile: gli oli essenziali, infatti, non sono altro che estratti di piante, radici, bacche o fiori, ottenuti con metodologie naturali. 
Pur possedendo tutti proprietà antinfiammatorie, antibatteriche ed antisettiche, ogni olio essenziale esistente in natura ha diverse caratteristiche che lo rendono adatto ad essere utilizzato per il trattamento di specifiche condizioni e/o patologie: per esempio, l’olio essenziale di lavanda è fortemente consigliato come olio calmante, efficace contro stati d’ansia e tensione; quello di melaleuca (meglio conosciuto come Tea Tree Oil) ha grandi proprietà antisettiche ed antifungine, mentre l’olio essenziale di rosmarino agisce efficacemente sulle capacità di concentrazione e sulla memoria (per esempio può essere usato durante lo studio!).

 

Come funziona?

Questi sono solo esempi di oli essenziali e delle loro proprietà, che vanno ben oltre quelle elencate. Ma come si mette in pratica l’aromaterapia? 
Una volta trovato l’olio o gli olii essenziali adatti al nostro caso, bisogna innanzitutto leggerne le indicazioni d’uso e la posologia: non tutti gli oli essenziali possono essere applicati direttamente sulla pelle, e anche quando questa applicazione è permessa, data la potenza di queste sostanze, bisogna farlo con cautela, in dosi minime.  
Nel caso in cui non avessimo bisogno di applicare l’olio essenziale direttamente sulla pelle, possiamo ricorrere all’utilizzo di diffusori d’aroma. In questo caso vedremo che alcuni diffusori comportano l’utilizzo degli oli essenziali nella loro purezza, mentre altri necessitano di un olio vettore, come per esempio l’olio di mandorle dolci, per discioglierlo e diffonderlo poi nell’ambiente.  
 
Insomma, questa volta abbiamo esplorato le preziose risorse che ancora una volta la natura ci mette a disposizione per il nostro benessere. Profumatori di ambienti ed efficaci amici della salute fisica e mentale, sembra proprio che non si possa fare a meno di avere una o due boccette di olio essenziale in casa ormai! 
 
Per approfondimenti su fitoterapia ed aromaterapia visita: 
– https://www.tuttogreen.it/aromaterapia-cose-quali-benefici/ 
– https://www.my-personaltrainer.it/benessere/fitoterapia.html 

Una Vita sul nostro Pianeta

Un documentario di David Attenborough

È una vera e propria testimonianza di vita quella che ci offre David Attenborough nel suo ultimo documentario, Una Vita sul nostro Pianeta. Divulgatore naturalistico di fama mondiale, nato a Londra nel 1926, Sir David Frederick Attenborough ha dedicato la sua intera carriera all’osservazione del mondo animale e vegetale. Grazie ad una telecamera, ha permesso al grande pubblico di appassionarsi alla bellezza degli ecosistemi terrestri e marini più lontani.

Oggi, a 93 anni, David Attenborough ritorna sugli schermi per mandare un importante messaggio ad ognuno e ognuna di noi: le aree protette e la natura incontaminata stanno progressivamente scomparendo, fortemente minacciati dall’azione umana.

 

“La vera tragedia del nostro tempo è in atto sul Pianeta ogni giorno e si nota appena. Mi riferisco alla scomparsa dei luoghi naturali, della biodiversità”.

Come racconta Attenborough, infatti, il genere umano sta utilizzando le risorse del Pianeta come fossero inesauribili, ma i dati ci dicono che invece si stanno prosciugando. A causa delle pratiche di pesca intensiva, il 90% dei grandi pesci non popola più i mari e il 30% della riserva ittica mondiale è esaurita. La metà delle terre fertili del Pianeta è stata convertita in terreno agricolo e ogni anno vengono abbattuti 15 miliardi di alberi, polmoni verdi dell’ecosistema. Il 60% dei mammiferi presenti sul pianeta è addomesticato negli allevamenti e solo il 4% di essi vive libero in natura.

Cosa succederà in futuro?

Secondo le previsioni scientifiche, questo andamento è destinato a peggiorare. Nel 2030 l’Amazzonia potrebbe ridursi ad una savana secca e molte delle specie animali e vegetali che vi abitano potrebbero scomparire. Entro il 2050, a causa dell’aumento della temperatura e dell’acidità degli oceani, le barriere coralline moriranno e le popolazioni ittiche diminuiranno drasticamente.

 

È troppo tardi per cambiare rotta?

David Attenborough nel suo documentario ci dà anche una buona notizia. È possibile cambiare rotta se si agisce immediatamente. Per farlo, è necessario tutelare le aree protette e specie animali e vegetali che le abitano. Inoltre, è importantissimo preservare i polmoni verdi del Pianeta, arrestando la deforestazione, e gli oceani, permettendo il ripopolamento della fauna ittica.

La testimonianza di Attenborough ci insegna che il nostro grande Pianeta è fatto di tanti piccoli ecosistemi e che l’uomo deve prendersi cura di ognuno di essi e delle sue risorse per preservarne l’equilibrio.

Silvia D’Ambrosio

Guarda il trailer di David Attenborough “Una Vita sul nostro Pianeta”

Fonte: https://lecopost.it/cultura-sostenibile/documentari-ambiente/david-attenborough-una-vita-sul-nostro-pianeta/

Fonte foto: https://www.facebook.com/DavidALifeFilm/

Le difensore e i difensori dei diritti umani

La nonviolenza per promuovere e proteggere i diritti umani nel mondo

Il 9 dicembre 1998 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato per consensus, con risoluzione A/RES/53/144, la “R, dei gruppi e degli organi della società di promuovere e proteggere le libertà fondamentali e i diritti umani universalmente riconosciuti”.

Questa segna un traguardo storico nella lotta per una migliore tutela di coloro a rischio di conduzione di attività legittime a favore dei diritti umani, ed è il primo strumento dell’ONU che riconosce l’importanza e la legittimità del lavoro dei/delle difensori/e dei diritti umani, così come il loro bisogno di avere una protezione migliore.

Ma chi sono le difensore e i difensori dei diritti umani? Cosa fa un/una difensore dei diritti umani?

Quando si utilizza tale definizione ci si riferisce a coloro che agiscono per promuovere o proteggere i diritti umani in modo nonviolento. Di fatto, un/una difensore dei diritti umani riconosce e promuove tutti i diritti umani per tutti, affrontando problematiche relative a torture, mutilazioni genitali femminili, discriminazione, accesso all’assistenza sanitaria, rifiuti tossici e il loro impatto sull’ambiente, ecc.

Il/la difensore sostiene attivamente tutti i diritti umani ed opera in ogni parte del mondo: negli Stati divisi da conflitti armati interni e negli Stati stabili; negli Stati non democratici e in quelli con una forte pratica democratica; negli Stati in via di sviluppo e in quelli sviluppati, agendo a più livelli – dal locale all’internazionale.

Nondimeno, egli/ella raccoglie e diffonde informazioni sulle violazioni dei diritti umani, sostenendo le vittime attraverso la promozione di una governance ed una politica governativa migliori e conducendo attività di educazione e formazione ai diritti umani.

E adesso, qualche notizia dal mondo…

Il 10 dicembre 2018, in occasione del 70° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani e del 20° anniversario della Dichiarazione delle Nazioni Unite sui difensori dei diritti umani, è stato presentato il Piano d’azione per la protezione dei/delle difensori/e dei diritti umani e la promozione del lavoro da loro svolto.

Quest’ultimo contiene una serie di raccomandazioni rivolte agli Stati, alle imprese, alle istituzioni finanziarie, ai donatori e alle istituzioni intergovernative e chiede l’impegno ad agire per proteggere i/le difensori/e dei diritti umani, offrendo un ambiente più sicuro e favorevole per la difesa dei diritti umani, nonché una protezione più efficace delle comunità, delle organizzazioni e dei movimenti operanti per la promozione e la protezione dei diritti umani.

Il documento è stato redatto da una coalizione di otto organizzazioni internazionali per i diritti umani, in consultazione con oltre 30 organizzazioni e reti per i diritti umani provenienti da tutto il mondo.

Testimonianze dirette

In occasione del 70° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani e dell’adesione alla campagna delle Nazioni Unite #StandUp4HumanRights, il Servizio Europeo per l’Azione Esterna ha raccolto in una piattaforma online “Meet our Human Rights Defenders” numerose testimonianze dirette di difensori e difensore dei diritti umani.

La produzione e distribuzione “informale” del cibo: una via verso lo sviluppo sostenibile?

La produzione, distribuzione e consumo di cibo sono tra le pratiche che più gravano sull’utilizzo delle risorse del nostro pianeta. Per questo motivo, i Goal di Sviluppo Sostenibile 11 e 12 si concentrano rispettivamente sulla creazione di città e comunità sostenibili e sul consumo e produzione responsabili dei prodotti alimentari. Le soluzioni per rendere le abitudini alimentari globali più sostenibili sono particolarmente complesse e variano con il contesto socioeconomico.

Secondo l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), è necessaria una vera e propria rivoluzione del sistema alimentare mondiale, che garantisca alimenti nutrienti e di qualità e tuteli l’ambiente. Ciò comporta cambiamenti radicali dal punto di vista economico, ambientale e sociale. Attualmente, la dieta della popolazione globale è insostenibile sia per il nostro pianeta che per la salute umana.

Mentre nei paesi sviluppati c’è un consumo eccessivo di cibi preconfezionati, e quindi non sufficientemente sani e nutrienti, le popolazioni dei paesi in via di sviluppo non si alimentano adeguatamente a causa dei prezzi troppo elevati dei prodotti. Nel suo ultimo Simposio sul Futuro dell’Alimentazione, svolto nel 2019, la FAO ha individuato quattro strategie per rendere più sostenibile l’alimentazione umana. L’organizzazione punta sulle politiche pubbliche, che dovrebbero incoraggiare la distribuzione e il commercio di prodotti sostenibili, ma anche sulla responsabilizzazione della popolazione.

Nei paesi del Nord del mondo, gli obiettivi alimentari sostenibili possono essere in parte raggiunti tramite l’imposizione di regole specifiche, come la certificazione di sostenibilità sui prodotti in vendita dei negozi: uno strumento efficace sia per il produttore che per il consumatore. Tuttavia, non è una risoluzione praticabile in tutti i contesti.

Un’alternativa particolarmente diffusa nei paesi del Sud del mondo è la produzione e distribuzione “informale” del cibo. Alcuni esempi sono: coltivare un orto presso la propria abitazione, raccogliere piante commestibili nelle foreste o nelle campagne vicine, condividere cibo con famiglia e amici, acquistare informalmente (pagando in contanti) dai coltivatori nei mercatini o per strada. È una pratica comune sia nelle campagne che nelle città – in capitali come Lagos, Dakar, Nairobi e Accra, l’80% dell’economia alimentare è informale, e avviene principalmente tramite l’acquisto diretto dai coltivatori.

L’informalità può essere considerata sostenibile: permette di mantenere i prezzi più bassi, acconsentendo così agli strati più vulnerabili della popolazione di sfamarsi e di accedere a prodotti più nutrienti. Allo stesso tempo, la compravendita informale può sfuggire al monitoraggio esterno, rendendo più difficile misurare la sostenibilità della produzione del cibo o le abitudini alimentari della popolazione. Un aspetto particolarmente sostenibile di questo fenomeno è che incoraggia ad utilizzare le risorse locali nella vita di tutti i giorni. Coltivare un piccolo orto o condividere il cibo con la nostra rete familiare e di amici sono abitudini semplici, ma che possono fare la differenza nel nostro impatto sull’ambiente!

Qui puoi trovare un video delle Nazioni Unite sulla sicurezza alimentare nel mondo

E qui un approfondimento della FAO sull’accesso ad alimenti nutrienti nel mondo (in inglese)

Il Regno Unito tampona la situazione

Dal primo gennaio stop all’iva sugli assorbenti

Dal 1° gennaio 2021 il Regno Unito ha abolito la “tampon tax”, ovvero l’iva sui prodotti igienici che includono gli assorbenti, fino a quel momento tassati al 5%, poiché considerati beni non essenziali.

La lotta per il riconoscimento dell’importanza di questi prodotti andava avanti da molto tempo. Era stata la deputata laburista Dawn Primarolo, nel 2000, ad ottenere la riduzione dal 17,5% al 5%. Nel 2014 Laura Coryton, una giovane attivista, aveva lanciato una petizione, raccogliendo quasi 320.000 firme. In seguito, nel 2015, era stata presentata alla Camera una mozione per eliminare la tassazione sugli assorbenti, ancora non considerati come beni di prima necessità. Tale mozione non era stata approvata dalla maggioranza conservatrice poiché, veniva detto, la legislazione dell’Unione Europea non permetteva di scendere a meno del 5%. Tuttavia altri beni come cibo e vestiti per bambini, rasoi da barba erano già esenti da questa norma e dalla conseguente tassazione.

Nel 2016 un’altra deputata laburista, Paula Sherriff, ripresentò la proposta, che questa volta venne approvata, sebbene si decise che sarebbe stata operativa dal 1° gennaio 2021, dopo la Brexit. Tale scelta è stata vista da molti come una strumentalizzazione anti-europeista di una battaglia importante. Tuttavia resta un grande traguardo.

Conti alla mano, secondo le stime del Tesoro, questo cambiamento porterà ad un risparmio di circa 40 sterline, nel corso della vita, per ogni persona che utilizza assorbenti. Vi aspettavate di più? In effetti 40 sterline in tutta la vita non sono tantissime.

 

Ma allora perché questa questione è così importante?

La “tampon tax” è stata spesso definita come una tassa sessista, poiché le persone che hanno il ciclo mestruale sono di sesso femminile e la maggior parte di esse si identifica come donna, quindi questa tassa colpisce tutte loro (oltre a coloro che pur essendo nati con sesso femminile si identificano con un altro genere, ma hanno ancora le mestruazioni). Inoltre, altri prodotti, utilizzati soprattutto da uomini, come i rasoi da barba, spesso rientrano nei beni di prima necessità del Paese, rendendo l’avere la barba qualcosa di normale e l’avere le mestruazioni un lusso.

Anche il solo parlare delle mestruazioni è ritenuto fuori luogo, sporco, disgustoso. Vengono utilizzati sinonimi e perifrasi pur di non pronunciare il termine esatto; i tamponi vengono passati tra le compagne di classe in gran segreto. Eppure si tratta della normale fisiologia del corpo umano e quando non si verifica può essere sintomo di gravi patologie. Parlare dei problemi legati al ciclo mestruale, avanzare proposte e aumentare la conoscenza sull’argomento sono azioni fondamentali per stimolare un cambiamento culturale.

Infine, si parla di vera e propria “period poverty”, ovvero “povertà mestruale”. Indagini condotte nel Regno Unito nel 2017 mostrano che il 14% delle ragazze tra i 14 e i 21 anni ha chiesto in prestito almeno un prodotto igienico a qualcuno per problemi di accessibilità dei beni, il 49% ha saltato almeno una giornata di scuola a causa del ciclo mestruale.

In parti del mondo ben più in difficoltà del Regno Unito, l’impossibilità di avere prodotti igienici adeguati spinge le persone ad utilizzare tutto ciò che è disponibile, con elevati rischi per la salute.

Al momento in Italia è in vigore, dal 2020, è in vigore l’iva al 5% solo per gli assorbenti compostabili o lavabili e per le coppette mestruali. Sebbene sappiamo quanto sia importante fare scelte ecologiche, non possiamo obbligare le persone ad utilizzare prodotti difficili da reperire o con caratteristiche non adeguate al proprio corpo.

Battaglie come quelle contro la “tampon tax” sono necessarie per il raggiungimento di pari diritti per tutti. Abbiamo visto come questo tema si colleghi, in vari modi, a diversi obiettivi dell’Agenda 2030: il primo (contro la povertà), il terzo (per la salute), il quarto (per l’istruzione), il quinto (per la parità di genere).

Per approfondire la tematica dell’igiene mestruale potete ascoltare la testimonianza di Tirtharaj, un’attivista nepalese che ci ha raccontato della situazione nel suo paese

Veronica Lacorte

Un impegno da premio

Bristol, la città verde che disegna il futuro

Città con sistemi energetici puliti, ricche di spazi verdi, piste ciclabili ed autobus alimentati da rifiuti. Sembra un’utopia, ma Bristol è stata capace di trasformare questa fantasia in realtà! Sempre più apprezzata per la vita urbana rispettosa dell’ambiente, la cittadina inglese è stata premiata dalla Commissione Europea nel 2015 grazie ai sui tassi di riciclaggio elevati (47,4%), i 29 ettari di verde e le basse emissioni di carbonio e consumo di gas.

La prima Capitale Verde Europea della Gran Bretagna

Il prestigioso riconoscimento di “Capitale Verde Europea” ha sicuramente gratificato il duro lavoro di leader lungimiranti e cittadini che già nel 2007 avevano iniziato ad intraprendere questo percorso verde. Energia pulita che illumina 34.000 lampioni comunali e la riduzione entro il 2014/15 del 38% di emissioni rispetto al 2005 sono solo alcuni dei grandi cambiamenti vantati.

Molto attenti all’ambiente, i cittadini del posto hanno continuato ad esortare i loro leader a prendere impegni più ambiziosi per la salvaguardia dell’ambiente stimolando un circolo virtuoso che ha portato alla realizzazione di ulteriori progetti all’avanguardia. Nel 2014 è stato lanciato il primo “poo bus” della Gran Bretagna i quali viaggi tra Bristol e Bath sono interamente alimentati da scarti umani e alimentari. Altri progetti includono un’app per telefono che utilizza la termografia per aiutare il 70% dei residenti per valutare l’efficienza energetica delle loro case.

Modello Green all’altezza di una Capitale del Solare?

Il titolo di Capitale Verde non è bastato a placare le ambizioni della cittadina inglese che tramite la guida di un gruppo di organizzazioni locali chiamatasi Bristol Solar City si è unita con lo scopo di vedere Bristol diventare Capitale Solare del Regno Unito. I partner per raggiungere tale obiettivo si sono preposti di installare 1 GW di solare fotovoltaico. L’impianto consentirebbe la produzione di più di 870 milioni di kWh di energia elettrica ogni anno, quantità di gran lunga superiore al fabbisogno elettrico di tutte le abitazioni del luogo.

La Kepler Energy sta inoltre progettando un impianto sottomarino che sfrutterebbe le maree del canale di Bristol per convertirle in elettricità. Un investimento da 143 milioni di sterline che non vedrà luce prima della fine di quest’anno dal momento che la tecnologia è ancora allo stato embrionale.

Come immaginarsi le città del futuro? Bristol fornisce un indizio

Quali sono gli ingredienti giusti e necessari per trasformare il panorama delle città attuali così come le conosciamo rimane dubbio. Bristol nel frattempo rimane costantemente al vertice di varie matrici verdi e si è aggiudicata diversi primati. La vecchia città industriale non solo è stata la prima città al mondo ad aver dichiarato l’emergenza climatica ma è anche diventata modello per la green economy in Europa e nel mondo.

Scopri anche: https://agente0011.it/citta-a-portata-di-piede/

Fonti:
http://www.fotovoltaicosulweb.it/guida/sara-bristol-la-capitale-dell-energia-solare.html 
https://makerfairerome.eu/it/emissioni-zero-1-milione-di-euro-a-citta/
https://www.greenme.it/informarsi/citta/european-green-capital-2015-bristol/
https://www.theguardian.com/environment/2020/dec/27/reasons-to-be-hopeful?utm_term=8e65cf71ab81da53711a2aa69b324337&utm_campaign=GreenLight&utm_source=esp&utm_medium=Email&CMP=greenlight_email
https://www.energylivenews.com/2019/12/12/bristol-takes-the-top-spot-as-uks-greenest-city/

L’importanza di prendersi cura del nostro pianeta

Cari lettori e care lettrici, vi siete mai chiest* quanto sia importante “contare”? E non mi riferisco ai soliti numeri: ognuno e ognuna di noi, infatti, può scegliere di avere un ruolo e un impatto fondamentale nella società e sul pianeta, attraverso le proprie azioni. In questo senso, possiamo decidere con il nostro comportamento di voler davvero “contare qualcosa” nella sfida per la salvaguardia e il miglioramento del mondo in cui viviamo.

Dovremmo infatti cominciare a vedere il nostro pianeta come un vero e proprio essere vivente, che ha bisogno di tenersi (e di essere tenuto) in salute: se ci facciamo caso possiamo notare su quante cose siamo legat*! Ad esempio, entrambi siamo in grado e abbiamo bisogno di respirare: con i nostri polmoni noi respiriamo l’ossigeno che la terra produce attraverso gli alberi. Oppure che entrambi cominciamo ad appassire se non abbiamo nessuno che si prenda cura di noi. Insomma, siamo parte di un unico e complesso ecosistema in cui ognun* deve fare la propria parte per garantire il benessere e la salute propria e dell’ambiente.

A questo punto una domanda può sorgere spontanea: come possiamo fare perché le nostre azioni possano davvero “contare qualcosa” in questo senso? 

Semplice, potremmo ad esempio iniziare rivolgendo alcune piccole attenzioni quotidiane alla Terra, oltre a qualche coccola salutare anche per noi.  

Per il nostro pianeta dovremmo iniziare col fare attenzione ai rifiuti: ci sono, purtroppo, ancora troppe persone che abbandonano rifiuti per strada mentre camminano o mentre guidano, come fazzoletti, sigarette, sacchetti sporchi e molto altro ancora…quindi cosa possiamo fare? Ovviamente dovremmo in primo luogo evitare di farlo noi e, se ci capita di vedere qualcun* che abbandona rifiuti in giro…sarebbe bene ricordargli che proprio non si fa!

Un’altra importante azione consiste nel limitare lo spreco di acqua. Quante volte, mentre stiamo lavando i denti, ci dimentichiamo di chiudere il rubinetto? Oppure, mentre siamo intenti ad insaponarci in doccia, non usiamo l’accortezza di spegnere il flusso dell’acqua? Non dobbiamo dimenticarci che l’acqua è un bene molto prezioso: se vogliamo davvero contare per la salvaguardia del pianeta, non dovremmo mai e poi mai sprecarla! 

Infine il cibo: anche questo è un bene prezioso e fondamentale per la vita. Purtroppo, in alcuni paesi, si tratta ancora di qualcosa non sempre disponibile. Impariamo quindi a consumare alimenti di qualità e sostenibili (avete mai sentito parlare del cibo di stagione?), nelle giuste quantità e soprattutto senza sprecarlo! 

Per quanto riguarda noi, invece, potremmo iniziare imparando a comportarci secondo modelli che tutelino la nostra salute. Scegliere di alimentarsi con cibi di qualità e sostenibili non è importante solo per il pianeta, è qualcosa che in primis fa stare bene noi e il nostro corpo! Per questo sarebbe preferibile consumare alimenti poco o non lavorati, magari fatti in casa, rispetto a quelli processati industrialmente e confezionati. Faremmo del bene a noi stessi e all’ambiente, e questo sì che significa contare!

Altro aspetto fondamentale è fare movimento abitualmente: per quanto possa sembrare noioso in realtà non lo è per niente, anzi! L’attività fisica ci aiuta ad avere tanta forza ed a stare in salute, tuttavia secondo il WHO l’80% dei teenagers non ne pratica abbastanza. Quindi perché non provare a fare qualcosa che conti davvero per la nostra salute, ad esempio mettendoci alla prova con qualche sfida? Ad esempio potremmo cominciare con almeno 30 minuti di camminata al giorno, magari all’aria aperta! Inoltre, preferendo la mobilità dolce all’auto, diamo una mano ulteriore all’ambiente nel tenere sotto controllo l’emissione di gas serra! 

Infine, qualcosa a cui spesso non pensiamo quando pensiamo al benessere: rispettarci gli/le un* con gli/le altr*. E’ importante ricordarsi, infatti, che la salute non è solo fisica ma anche mentale. Proviamo quindi a contare davvero qualcosa, cominciando ad essere più gentili con chi ci sta intorno, cercando di essere comprensiv*, inclusiv* e rispettos* di tutte e tutti: sarà un bel gesto da parte nostra, che ci farà sentire bene e aiuterà a creare un clima armonioso e salutare (ricordate di usare anche le paroline magiche “grazie,” “prego”, “per favore).

Queste sono solo alcune delle cose che possiamo fare per far stare bene noi e il pianeta. E ora…chi è pront* a contare?!  

Da riso a risorsa: quando l’agricoltura si fa sostenibile

Riso Gallo, storica azienda italiana, investe sulla filiera agricola sostenibile al 100%, centrando uno degli obiettivi dei 17 SDGs 

Una filiera sostenibile 

Garantire modelli di consumo e produzione sostenibili”. Questo l’obiettivo al 12° punto dei 17 SDGs, i Sustainable Development Goals che le Nazioni Unite hanno posto al centro dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. 

Riso Gallo, storica azienda italiana in attività da oltre 160 anni, già dal 2018 si impegna attivamente per portare a termine questo obiettivo. Carlo Preve, amministratore delegato dell’azienda, in una recente intervista per Il Corriere della Seraracconta di come partendo da due cascine e due tipi di prodotti (Carnaroli Rustico e Blond Rustico), in circa due anni Riso Gallo ha reso sostenibile la produzione di un centinaio di agricoltori ed ampliato il portfolio di prodotti da agricoltura sostenibile distribuiti sia in Italia che all’estero.  Il 90% del riso di Riso Gallo che viene esportato e commercializzato all’estero è infatti prodotto da agricoltura sostenibile.  

La filiera sostenibile di Riso Gallo abbraccia tutte le fasi di produzione: dalla prima acqua in risaia al chicco lavorato in azienda fino al packaging alimentare con il cartoncino certificato FSC (Forest Stewardship Council,la certificazione per lcorretta gestione forestale e la tracciabilità dei prodotti derivati). Tutti questi processi, si evince dal sito corporate aziendale, sono seguiti e controllati affinché rispettino l’ambiente, la natura e le persone che ci lavorano 

Azioni concrete, risultati concreti 

Il riso sostenibile arriva dalle cascine situate in Lomellina, a due passi dalla sede Riso Gallo. Ciò permette di ridurre l’impatto ambientale che il trasporto di un prodotto comporta, in particolare l’emissione di CO2 (anidride carbonicache va ad incrementare il livello d’inquinamento.  

Il primo passo verso la sostenibilità si compie riducendo gli sprechi, diminuendo l’uso dei pesticidi, utilizzando risorse provenienti solo da energie rinnovabili al 100%.  La risaia è un ambiente di per sé sostenibile, basti guardare alle tante specie di animali e vegetali che la abitanoRiso Gallo conosce bene l’importanza della biodiversità, per questo semina fiori sugli argini per richiamare insetti impollinatori, antagonisti di altri insetti nocivi, e sceglie di destinare le porzioni inutilizzate del terreno alla tutela dellecosistema 

La terra e la natura dettano i nostri tempi di produzione in risaia, dove la sapiente lavorazione dell’uomo si integra alle più evolute tecnologie, mantenendo il giusto equilibrio dell’ecosistema, privilegiando i processi naturali che consentono di preservare l’ambiente e le sua risorse. Fontehttps://www.risogallo.it/azienda/sostenibilita/ 

Essere sostenibili vuol dire anche tutelare le persone che lavorano nei campi e assicurare loro un giusto compenso. Il riso proviene dalla collaborazione con aziende agricole che garantiscono il rispetto dei diritti dei lavoratori. Inoltre, Riso Gallo garantisce ai risicoltori prezzi equi e stabili concordati già prima della semina. 

Quando il prodotto arriva finalmente in riseria, viene la lavorato a pietra secondo tradizione e grazie a un’abrasione più gentile del chicco viene in parte mantenuto il suo rivestimento naturale, a beneficio delle proprietà nutritive e organolettiche del prodotto. 

Un riso certificato da Friend of the Earth 

Per il suo operato e per l’attenzione che ha riservato riguardo al tema della sostenibilità, Riso Gallo ha ottenuto la certificazione da Friend of the Earthun programma di certificazione internazionale per l’agricoltura e l’allevamento sostenibili. Il programma è stato sviluppato sulla base delle linee guida SAFA (Sustainability Assessment of Food and Agriculture systems) dettate dalla FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura) e i suoi principi si basano sulla salvaguardia e la tutela dell’intero ecosistema entro il quale le aziende certificate svolgono la loro attività. La certificazione Friend of the Earth viene rilasciata per quei prodotti che rispettano una rigida tracciabilità ed i severi criteri di sostenibilità ambientale e responsabilità sociale stabiliti dall’organizzazione, come per il riso di Riso Gallo. 

Un riso che rispetta l’ambiente è un riso che fa bene all’uomoÈ un riso che diventa risorsa.  

Giorgia Salvatori

 Guarda il video: https://www.risogallo.it/wp-content/themes/risogallo/images/sostenibilita/video/risogallo_sostenibilita.mp4