Secondo l’Indice Globale della Fame 2018 Haiti presenta il livello di fame più allarmante dell’emisfero occidentale: con un punteggio GHI di 35,4 fa parte dei paesi di categoria “allarmante”.
Il tasso di denutrizione di Haiti, pari al 45,8% nel 2015-2017, è il quarto più alto di questo rapporto, superato solo da quelli di Repubblica Centrafricana, Zimbabwe e Somalia.
LE CAUSE
La situazione è in parte causata dalle gravi problematiche ambientali che hanno afflitto il paese negli ultimi anni, mettendo sotto pressione le forniture alimentari nazionali.
A questo elemento si aggiunge la lunga instabilità politica che ha interessato Haiti ostacolandone lo sviluppo (CFR 2018).
La povertà è ampiamente diffusa: su circa 9 milioni di abitanti, l’80% vive con meno di due dollari al giorno, ovvero sotto la soglia di povertà. La maggior parte delle famiglie vive in condizioni di degrado assoluto senza un lavoro che possa garantirne i bisogni di base. Ad aggravare questa situazione, sistematicamente il paese viene colpito da calamità naturali devastanti.
IL TERREMOTO
Il terremoto che ha colpito Haiti nel 2010, di magnitudo 7, ha ucciso 300.000 persone e provocato più di un milione di sfollati (DesRoches et al. 2011). In quell’occasione Cesvi si è subito attivato per garantire accesso all’acqua e proteggere l’infanzia abbandonata. Sono state allestite “tende di accoglienza” per offrire beni di prima necessità, come cibo e acqua, a tantissimi bambini sin dal primo giorno dopo il terremoto.
Nel 2016 un’altra catastrofe si è abbattuta sul paese: l’uragano Matthew ha causato ulteriori devastazioni abbattendosi con raffiche di vento fino a 200 km orari lasciando migliaia di persone senza casa e, di fatto, esacerbando il livello di povertà già presente (World Bank 2017b).
Lo staff di Cesvi si è immediatamente mobilitato per far fronte all’emergenza distribuendo ripari temporanei, cibo, medicinali e kit igienici. Questo tipo di intervento è fondamentale perché, dopo ogni evento catastrofico, la situazione igienico-sanitaria diventa critica e aumenta notevolmente il rischio di epidemie di colera e altre malattie.
Foto di Roger Lo Guardo