Donne e STEM

Solo 23 donne, dal 1902, hanno vinto un Premio Nobel per la chimica, la fisica e la medicina; più di 600 quelli assegnati ad uomini, nelle stesse materie

Il divario si presenta fin da subito importante, capace di mostrare forse una sommatoria dell’esperienza femminile nel mondo delle STEM.

 

Ma cosa sono le STEM?

Science, Technology, Engineering and Mathematics: un acronimo, dunque, che serve ad indicare tutte le materie e gli ambiti di ricerca e lavoro del mondo scientifico. Questi sono senza dubbio le professioni del futuro, considerando i grandi progressi scientifici e tecnologici fatti negli ultimi anni e quelli che saranno necessari per continuare a migliorare la vita sulla terra. Nonostante la loro rilevanza, però, è ancora difficile per le donne riuscire ad inserirsi in questi settori e trovarvi il lavoro più adatto alle proprie competenze, oltre che equamente retribuito.

La loro scalata verso le scienze trova una prima battuta d’arresto al momento della scelta del percorso universitario: secondo il World Economic Forum, meno del 30% delle ragazze sceglie una facoltà universitaria o un ambito lavorativo post universitario in questi settori. In Italia, le percentuali di interesse sono più rincuoranti, superiori alle medie europee, ma sono costrette ad arrestarsi al contatto con la realtà: il 59% delle ragazze è sicura di non riuscire ad ottenere gli stessi risultati dei ragazzi e finisce per considerare altri percorsi di studio o lavoro.

I motivi di questa disparità sono molteplici, a partire dallo stereotipo che vede solo gli uomini come innovatori e creatori fino all’assenza di una rappresentazione di modelli femminili adatti ad ispirare bambine e ragazze nella scelta del loro futuro. Un importantissimo report dell’UNESCO (“Cracking the Code: Girls’ and Women’s education in STEM”) sottolinea come i molteplici studi condotti sul cervello di uomini e donne non abbiano mai dimostrato attitudini differenti per i due sessi nell’approccio alle materie scientifiche: ciò che modifica i nostri interessi sono l’educazione scolastica, le interazioni sociali e famigliari fin dai primi anni di vita e le esperienze che viviamo.

Il cambiamento verso una parità di genere e di retribuzione negli ambiti scientifici e tecnologici è possibile, ma sicuramente non potrà essere radicale. Organizzazioni internazionali, come UNWOMEN e UNESCO, e le realtà nazionali, come le università, svolgono adesso un ruolo chiave per invertire la rotta della disparità: informare correttamente le giovani donne delle loro possibilità, incentivarle con iniziative pensate appositamente per metterle in contatto con il mercato del lavoro e semplicemente spronarle a seguire la propria passione con dedizione.

Possiamo creare un mondo più equo solo se insegniamo a tutte le bambine a credere nelle loro capacità e nella validità delle loro passioni.

Ho inizialmente fatto riferimento ai premi Nobel per poter concludere con una nota positiva: solo nel 2020, sono state 3 le vincitrici STEM del premio: Jennifer Anne Doudna ed Emmanuelle Charpentier, per i loro studi sul genoma umano, e Andrea Mia Ghez, per i suoi studi su i buchi neri.

 

LINK PER APPROFONDIRE:

https://en.unesco.org/stemed

https://www.unwomen.org/en/search-results?keywords=stem

https://thevision.com/scienza/donne-stem/

https://valored.it/news/premi-nobel-in-fisica-e-chimica-scienziate-che-cambiano-il-mondo/

Green Pea, green city

Apre il primo green retail park al mondo. L’Italia ancora baluardo della sostenibilità.

Alle ore 10.00 di una grigia mattinata invernale, assai comune nel capoluogo piemontese, viene inaugurato il primo green retail park al mondo, Green Pea. Una presa di posizione da parte della città di Torino, che punta a diventare un’eccellenza nell’ambito della sostenibilità.

Con i suoi 15.000 m2, Green Pea non è solamente uno spazio di vendita, ma anche luogo di ristoro, benessere, espositivo e culturale. Oltre ai 66 negozi, sono presenti infatti un museo sulla Sostenibilità, una serra, una caffetteria ed una piscina.

Tutti i partners di Green Pea condividono la sua filosofia, che si basa sul desiderio di cambiare il modello di consumo attuale per mettere “al centro di tutto la ricerca dell’Armonia con il pianeta”.

Il building

L’edificio, dal design moderno e naturale, è opera degli architetti ACC – Cristiana Catino e Negozio Blu Architetti Associati – Carlo Grometto. “Sostenibile in ogni suo dettaglio”, è costruito con materiali riciclabili (acciaio, ferro, vetro) ed è completamente smontabile, permettendo un possibile riutilizzo futuro delle sue componenti. Inoltre, il legno utilizzato per la copertura esterna proviene dalle foreste distrutte dalla tempesta Vaia dell’ottobre 2018.

Come afferma Oscar Farinetti,“Il fabbisogno energetico dell’edificio è soddisfatto all’89% da fonti rinnovabili”. L’energia che alimenta la struttura proviene in parte dai numerosi pannelli fotovoltaici presenti sia sul terrazzo che nel parcheggio, in parte dai pozzi geotermici presenti sotto la struttura. Inoltre, l’involucro esterno è stato progettato in maniera da non disperdere energia.

Sostenibile sì, ma solo se te lo puoi permettere!

Lungo i fatiscenti corridoi, passeggiando tra i grandi marchi Made in Italy, affiora una legittima domanda: “E chi non può permetterselo?”.

E’ interessante notare come i “prodotti green” siano passati da una fase di mercato di nicchia, che vedeva come acquirenti un numero limitato di persone più interessate al valore del prodotto che al suo design, ad una fase di mercato di lusso, in cui cambiano le caratteristiche degli acquirenti ma non le limitate dimensioni.

Questa riflessione, ovviamente, non si applica alla totalità delle realtà italiane che lavorano per cambiare il modello di consumi attuale. Sono molte le pratiche virtuose presenti sul territorio nazionale, che vendono prodotti sostenibili ad un giusto prezzo. Sorge a questo punto spontanea la domanda: ma qual è il giusto prezzo?.

Difficile da quantificare in maniera universale, il giusto prezzo deve però tener conto dei costi di tutta la filiera produttiva, in termini sia di costi economici, che sociali ed ambientali. Quando acquistate un capo di abbigliamento, per esempio, chiedetevi come possa costare così poco quando, in quel prezzo, sono compresi i costi di trasporto, di produzione, il costo del materiale ed il guadagno dell’azienda che lo produce. Facendo una semplice addizione, è facile comprendere come le diverse voci siano troppo basse per garantire un basso impatto ambientale e un adeguato salario a chi ha realmente prodotto e confezionato il vostro capo di abbigliamento.

Porsi queste domande è il primo passo verso il percorso che porta a diventare un consumatore responsabile, ovvero consapevole di ciò che acquista e dei costi che si celano dietro un’etichetta.

 

Consumatori responsabili

Ciascuno/a di noi può diventare un consumatore/trice responsabile; anzi, per il bene nostro, del pianeta e delle generazioni future tutti noi dovremmo diventarlo. Questo concetto inclusivo si scontra però con una realtà assai diversa.

In questa realtà rientra Green Pea, che ricorda un po’ la vendita delle indulgenze. Se vuoi salvarti, sentirti meglio con te stesso e il mondo devi pagare una cospicua somma.

Emblematica è il costo del tesseramento: per diventare un Green Pea Member è neccessario pagare una quota annuale di 50€, che dà accesso a sconti sui prodotti venduti all’interno del retail park, contenuti e notizie in esclusiva sul mondo Green, giochi e consigli su come rendere il proprio stile di vita più green. Però ti regalano una bottiglia di vino!

La critica mossa al green retail park, sia chiaro, è rivolta al messaggio che sembra trasmette piuttosto che all’idea e alla struttura in sé, che ritengo sorprendenti e necessari. Rimane la delusione di vedere presenti tra i partners solamente grandi aziende nazionali, che per quanto abbiamo fatto grandi passi in avanti nell’ambito della sostenibilità non possono di certo ancora essere definiti tali. Non basta avere una linea di prodotti sostenibile per definire l’azienda rispettosa dell’ambiente e della società. A titolo di esempio, basta ricordare che anche Nestlé ha una linea di prodotti a marchio Fairtrade.

E’ vero, però, che se non si parte dalle grandi aziende, che hanno la possibilità di influenzare le tendenze in atto, la strada verso una la sostenibilità sarebbe ancora più difficile e perigliosa.

FONTI:

https://www.greenpea.com/

https://www.lastampa.it/topnews/edizioni-locali/torino/2020/12/05/news/da-torino-al-mondo-le-giovani-startup-partono-da-green-pea-1.39623776 

VIDEO:

YOUTH TALKS – Giornata Mondiale contro il bullismo e cyberbullismo

La nuova rubrica di interviste ai giovani vincitori del fondo Youth-Led Initiatives

A quasi un anno dall’inizio della pandemia, possiamo dire che le nostre abitudini hanno subito grandi cambiamenti, si sono ridotte o modificate le modalità con cui incontrare altre persone, condividere esperienze ed agire sul contesto sociale.

ActionAid ha stanziato il fondo Youth-Led Initiatives per promuovere la socializzazione e la partecipazione dei e delle giovani alla vita della comunità e della scuola in questo periodo difficile. L’obiettivo finale è di creare o rafforzare una leadership giovanile e garantirne la partecipazione nella definizione di azioni e politiche scolastiche, locali e nazionali, azioni di solidarietà con modalità peer to peer e youth-led.

 

Bullismo? Cyberbullismo? MA BASTA!

Uno dei vincitori per il fondo You-Led Initiatives è l’associazione MaBasta!, ideata per contrastare ogni forma di bullismo, cyberbullismo, sopraffazione e mancanza di rispetto.

Il bullismo è un fenomeno caratterizzato da azioni violente e intimidatorie esercitate da uno o più bulli, su una vittima attraverso molestie verbali, aggressioni fisiche, persecuzioni all’interno di un contesto che spesso è testimone, ma non fa nulla per contrastare queste violenze. Il cyberbullismo ne è una sua espressione. Le azioni possono riguardare molestie verbali, aggressioni fisiche, persecuzioni, generalmente attuate in ambiente scolastico. Lo sviluppo delle nuove tecnologie e di strumenti come i social network, hanno permesso ai bulli di attuare comportamenti violenti anche fuori dal contesto scolastico, tramite messaggi, commenti, immagini e video offensivi, permettendo anche l’anonimato.

Ogni forma di bullismo influisce negativamente sulla salute, intesa come bio-psico-sociale, provocando stress fisico e psicologico, danneggiando la realtà sociale della persona. Inoltre, interferisce con l’accesso all’istruzione e favorisce la diffusione di stereotipi. Combattere il bullismo contribuisce al raggiungimento di diversi SDGs dell’Agenda 2030, tra cui Salute e benessere (3), Istruzione di qualità (4), Uguaglianza di genere (5).

Il 7 febbraio si celebra la Giornata Mondiale contro il bullismo e il cyberbullismo. Per l’occasione abbiamo intervistato Mirko Cazzato di MaBasta! Questo è solo il primo appuntamento di una serie di interviste, Youth Talks, in cui interverranno altre associazioni coinvolte nelle attività finanziate dal fondo.

Stay tuned!

Se invece preferite ascoltare solo l’audio, sul nostro canale spreaker è disponibile anche il podcast dell’intervista: https://www.spreaker.com/user/12278437/audio-intervista-per-radio-kivuli

Veronica Lacorte

C’era una volta la wildlife

Negli ultimi giorni effettivi della sua controversa presidenza, Donald Trump ha sferrato un ultimo colpo all’ambiente.

Dopo aver fatto uscire, anche se solo temporaneamente, gli Stati Uniti dagli storici Accordi di Parigi, The Donald ha compiuto un altro pericoloso gesto prima della fine, il 20 Gennaio 2021, del suo mandato presidenziale. Il 6 Gennaio si è infatti svolta l’asta per la vendita alle compagnie di estrazione di petrolio e gas di una parte di quella che è considerata l’ultima grande terra selvaggia degli USA : l’Arctic National Wildlife Refuge.

Che cos’è L’ANWR (Arctic National Wildlife Refuge)?

L’Arctic National Wildlife Refuge, situato nella zona nord-orientale dello stato dell’Alaska, è attualmente, con i suoi 78.000 chilometri quadrati di estensione, il più grande dei 16 National Wildlife Refuges presenti. Oltre ad ospitare migliaia di specie animali, ha un ruolo fondamentale poiché costituisce l’habitat principale delle renne Caribù Porcupine e degli orsi polari. Oltre alla vasta fauna e flora selvaggia, il territorio è casa anche della popolazione indigena dei Gwich’in, che vive nella regione dell’Arctic National Wildlife Refuge da centinaia di generazioni.

La fine di una delle più lunghe battaglie ambientali degli USA?

La contesa per il territorio dell’ANWR da parte dell’industria petrolifera va, in realtà, avanti da decenni, fin dalla decisione nel 1960 del presidente Eisenhower di istituire l’area come riserva naturale.

Ma ora, dopo delle prima aperture già manifestatesi durante il quinquennio presidenziale repubblicano, il territorio, considerato “off limits” fino a pochi anni fa, sembra destinato alle trivellazioni.

La vendita al miglior offerente dei diritti di perforazione, con durata decennale, di una parte della riserva naturale, il 5% dell’area totale, ha come obiettivo la ricerca di un nuovo giacimento di petrolio, che secondo i più ottimisti potrebbe costituire uno dei più grandi giacimenti petroliferi del Nord America.

Insomma una storia già raccontata con un trade-off tra denaro e ambiente che più volte abbiamo visto ripetersi nella storia recente, con conseguenze molto più che evidenti.

Il flop e la speranza.

Nonostante i forti interessi economici in gioco, l’asta non sembra essere andata come l’attuale presidente uscente aveva previsto. Infatti, a causa della struttura impervia dell’area e della mancanza di infrastrutture – è una riserva di natura selvaggia d’altronde – non sembrano essere pervenute particolari offerte e molte grandi istituzioni finanziarie hanno affermato che non finanzieranno la produzione e la ricerca di petrolio e gas nell’area.

Dobbiamo dunque sperare nell’ennesimo flop di un’amministrazione disastrosa in campo ambientale.

A rappresentare un barlume di speranza è l’imminente insediamento del presidente appena eletto Joe Biden, che sembra propenso ad ascoltare le continue spinte e proteste della comunità ambientalista e delle comunità indigene locali e salvaguardare l’incolumità dell’area. Per ora l’allarme sembra cessato ma, in ogni caso, la guardia resta alta.

Simone Gennari

È ok non essere ok

Come la positività tossica impatta sulla nostra salute mentale 

Il 2020 è stato un anno faticoso e difficile per tutti.

Da un giorno all’altro ci siamo trovati chiusi nelle nostre case con l’impossibilità di uscire, i supermercati presi d’assalto e giornate passate tra una conferenza su zoom e un’altra.

Le ripercussioni psicologiche sono state tante e hanno avuto un’incidenza piuttosto elevata nei giovani e nelle giovani dai 6 ai 18 anni, fascia d’età principale fruitrice di social network.

Proprio qui, si è visto l’aumento di profili Instagram dedicati alla diffusione di positive vibes (vibrazioni positive), coaching di laureati e laureate alla Bocconi, travel blogger, fanatici e fanatiche del fitness e guru spirituali improvvisati che non hanno fatto altro che condividere post motivazionali e citazioni sul successo, sulla felicità e soprattutto sulla facilità con la quale loro riuscivano ad approfittare di quel periodo di fermo per apprendere nuove competenze, per rimettersi in forma e leggere quei libri che avevano in sospeso da tempo. E se tu non lo stavi facendo allora eri poco disciplinato, incapace di essere determinato e di avere controllo sulle tue emozioni.

Secondo loro infatti, lo scoraggiamento e l’abbattimento emotivo che si stava vivendo nel periodo di lockdown di marzo e aprile era facilmente risolvibile pensando positivo in modo da rimuovere tutti gli elementi negativi presenti nella propria vita ed essere sempre felice.

Il problema però è che questo fenomeno causa una forte repressione dei sentimenti negativi trasformandosi in positività tossica.

Ma che cos’è la positività tossica?

Potremmo riassumerla così: “Non è vero che stai male, sei solo troppo negativo. Il mondo non è brutto, sei tu che lo vedi così.

Essa è una spinta verso uno stato mentale che ci porta a sperimentare e mostrare solo emozioni positive. La base di questa teoria è che, se rimani positivo, le cose belle arriveranno. Se contrasti ciò che ti rende triste, ricordandoti di ciò che hai e di cui devi essere grato, diventerai equilibrato e felice.

Purtroppo però, la vita vera presenta problematiche molto più complesse e sfaccettate e la loro soluzione non può essere relegata ad una così semplice ed unidimensionale soluzione.

 

Come uscirne?

Fortunatamente, sono nate diverse pagine di therapy influencer in cui le persone raccontano la propria situazione e vengono spinte ad accettare i propri sentimenti negativi, come parte della propria identità.

Qui di seguito una serie di punti per aiutare chiunque si senta sopraffatto da questa falsa positività:

  • Evita di ignorare le tue emozioni;
  • Ascolta e convalida come si sentono gli altri, anche quando è diverso da come ti senti;
  • Ricorda, va bene non essere ok;
  • Ricorda che i sentimenti non si escludono a vicenda;
  • Riconosci i messaggi di positività tossica;
  • Va bene diffidare dei social media;

Ecco che, quindi, dobbiamo imparare a riconoscere i nostri sentimenti e viverli nella maniera più coerente e sana possibile, essere tristi è più che legittimo e ricordiamoci che quello che vediamo sui social network è una finestra su una porzione di mondo piccolissimo e molto spesso filtrata.

Ma soprattutto, teniamo bene a mente che siamo tutti sotto la stessa tempesta e che imparare ad ascoltare ed empatizzare con le emozioni e i sentimenti altrui è oggi più che mai necessario.

Valeria Lotti

 

“How Toxic Positivity Leads to More Suffering”:

DIAMOCI UN TAGLIO

6 Febbraio: Giornata Mondiale contro le Mutilazioni Genitali Femminili

Avete mai sentito parlare di infibulazione o di mutilazioni genitali femminili (MGF)? Anche a causa di un atteggiamento di tabù rispetto a questi argomenti, spesso non è ben chiaro quali siano le caratteristiche del fenomeno e quali siano le differenze tra le sue sfaccettature. Facciamo chiarezza!

 

Ne abbiamo parlato anche qui: Le mutilazioni genitali femminili sono finalmente reato in Sudan

Vanno sotto il nome di Mutilazioni genitali femminili tutte le procedure che prevedano l’alterazione o rimozione di queste parti anatomiche femminili per motivi che non siano di tipo medico. Ve ne sono di diversi tipi, tutte vengono praticare in tenera età, vanno dall’asportazione totale o parziale della clitoride o delle piccole labbra, all’infibulazione (che prevede una sorta di cucitura che lascia spazio solo per espellere i fluidi delle mestruazioni). Nel caso di quest’ultima pratica, le donne vengono spesso infibulate e deinfibulate diverse volte nella vita, per avere rapporti sessuali e partorire.

Sebbene vengano avanzate varie motivazioni per giustificarle (dall’estetica alla presunta maggiore fertilità) tra i motivi che spingono all’utilizzo di queste metodologie non possiamo non citare la volontà di controllare la vita sessuale delle donne, privandole del piacere e della libertà sessuale.

Oltre ad essere pratiche psicologicamente traumatiche per le bambine che vengono costrette a sottoporvisi, hanno anche altre gravi conseguenze: nel breve termine provocano emorragie, infezioni, difficoltà nell’espletare i bisogni fisiologici e nel lungo termine portano a problemi per la sessualità e per il poter avere dei figli. Essendo praticate anche prima dei 14 anni, spesso provocano abbandono scolastico, matrimonio precoce ed impossibilità di lavoro ed indipendenza economica.

Sottoporsi a queste pratiche viene considerato come un passaggio all’età adulta e spesso sono altre donne a praticarle, in un contesto in cui sono considerate normali e necessarie per il proseguimento della vita sociale, il matrimonio etc. Risulta quindi difficile, se non impossibile, per le donne che hanno già subito questa violenza opporsi ad essa, anche se si tratta delle proprie figlie.

Nel mese di agosto è stato pubblicato un articolo, in cui una donna somala di 50 anni, raccontava come lei praticasse MGF, pensando fossero necessarie, mentre ora è un’attivista per sensibilizzare le donne contro queste violenze.

L’African Medical and Research Foundation ha dato inizio ad una collaborazione tra operatori e collaboratori locali in Kenya, per la costruzione di pratiche alternative a quelle delle MGF, che possano mantenere caratteristiche simboliche di passaggio all’età adulta.

L’obiettivo 5 dell’agenda 2030, riguardante la parità di genere ha un indicatore specifico dedicato alle MGF, il 5.3. Esso si propone l’eliminazione, oltre del matrimonio forzato, delle pratiche di mutilazione ai danni delle donne e delle bambine. Questo obiettivo risulta fondamentale poiché oltre a garantire la fine di queste violazioni dei diritti umani, avrebbe ripercussioni in altri ambiti, legandosi ad altri SDGs. Infatti, eliminare queste violenze eliminerebbe anche problemi sanitarie, di impiego e libertà personale che ne sono una diretta conseguenza.

Veronica Lacorte

 

 

Possiamo considerare l’accesso ad internet ancora un problema di diritti umani?

È passato più di un anno dallo scoppio del coronavirus, cambiando drasticamente le nostre interazioni umane, i nostri modi di andare a scuola, lavorare e di imparare.  

Accedere e utilizzare internet è diventato così importante oggi da poterlo considerare la “colla” che ha tenuto assieme il nostro 2020. Il luogo di provenienza non era e ancora non è rilevante: che fosse a New York o in una valle sperduta, senza una connessione wireless chiunque si sarebbe ritrovato tagliato fuori dal mondo. 

Ma da quando internet ha cominciato a diventare un bene così prezioso? Un global common riconosciuto a livello internazionale che ha segnato l’inizio dell’era digitale? 

 

Un bene pubblico e globale

L’associazione di internet come un bene e servizio pubblico globale, si è sviluppato negli scorsi tre decenni sottolineando il fatto che un libero accesso alla rete potesse garantire libertà di espressione e altri diritti fondamentali connessi al mondo digitale. 

Dopo lunghe negoziazioni tra i governi e gli interlocutori principali nel mondo economico e della società civile, nel dicembre del 2003 le Nazioni Unite hanno inaugurato il primo Vertice Mondiale sulla Società dell’Informazione (WSIS). Questo vertice diede ufficialmente il via alla presa d’importanza di internet per lo sviluppo della società dell’informazione, promuovendo i principi della libertà, dei diritti umani, della condivisione della conoscenza. In quella occasione a Ginevra è stato anche instituito un Fondo di solidarietà digitaledestinato a supportare levoluzione tecnologica nei Paesi in via di sviluppo assieme alla preesistenteUN ICT Task Force, che si occupata di colmare il gap tecnologico tra gli Stati del mondo. 

 

Ma anche un diritto umano fondamentale

Il5 luglio 2012 segna una data fondamentale in materia perché il Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unitedecise di dichiarare l’accesso a internet e la libertà di espressione online come diritti umani fondamentali, creando una continuità di protezione e tutela per tutte le donne gli uomini. Con la creazione degli SDGs le Nazioni Unite hanno supportato l’utilizzo di internet come strumento per accelerare lo sviluppo sostenibile dell’essere umano sul pianeta, cercando di diminuire il divario digitale che purtroppo caratterizza ancora i nostri tempi. In un mondo basato su una economia digitale, tutti i 17 SDGs necessitano di una componente digitale integrante. 

Parlando di accesso ad internet e di tecnologia, il nostro mondo ci appare ancora a diverse velocità. E non ci si riferisce solo alla velocità di connessione. Ci sono luoghi più e meno fortunati del mondo dove persone economicamente vulnerabili, nelle maggior parte dei casi, si trovano ad essere tagliati fuori dai servizi digitali.  

 Come possiamo vedere dal grafico dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico(OCSE) [1], anche tra i paesi considerati tra i più ricchi e sviluppati del mondo, si possono riscontrare differenze sostanziali. L’accesso a internet è rappresentato, in questo caso, come la percentuale di abitanti di uno stato aventi libero accesso ad un PC e ADSL nel 2019. Ai vertici opposti per inclusione tecnologica troviamo lo Stato colombiano e la Corea del Sud: nel primo caso solo metà dei cittadini ha accesso a internet, mentre nel secondo caso quasi l’intera popolazione. 

L’accesso a internet e il diritto all’istruzione

L’Italia si trova nella prima metà del grafico a barre con un 85,2% di persone sul territorio aventi un computer e una connessione internet. Questo significa che una fetta di Italiani sul nostro territorio è ancora tagliata fuori. L’ISTAT [2] riporta nello stesso anno che “la quasi totalità delle famiglie con almeno un minorenne dispone di un collegamento a banda larga (95,1%); tra le famiglie composte esclusivamente da persone ultrasessantacinquenni tale quota scende al 34,0%” [3].

È da questi numeri che i cittadini italiani hanno dovuto affrontare tutte le sfide del Covid-19, c’è quasi un 15% della popolazione che è restato nettamente indietro. E sebbene per amplio spettro questi sono anziani, vediamo anche che circa il 5% degli studenti minorenni ha avuto dei grossi problemi con la didattica a distanza (DAD) non avendo una connessione internet efficiente.  

Per ogni fascia d’età l’accesso a internet dovrebbe avere l’importanza che merita come diritto fondamentale universale, soprattutto oggi quando donne e uomini devono mantenere distanza fisica per accedere ai servizi di ogni giorno. 

 

Per maggiori approfondimenti vi invito a dare una rapida occhiata al portale Agente 0011 alla sezione Diritti Umani (https://agente0011.it/i-diritti-umani-spiegati-ai-bambini/), per concentrarci sulle grandi possibilità che internet ci può fornire e per aiutare chi ancora internet non riesce ad usarlo. 

Allegra Varriale

  1. La nascita dell’OCSE, inizialmente come Organizzazione Europea per la cooperazione economica (OECE), fu in un primo momento legata all’esigenza di garantire cooperazione e coordinamento in campo economico subito dopo la Seconda Guerra Mondiale. Oggi i membri dell’OCSE sono37, ma va sottolineata la collaborazione con ipartner chiave (Brasile, Cina, India, Indonesia e Sudafrica). Iniziative, monitoraggi e collaborazioni si allargano a oltre 100 Paesi e acirca l80% degli scambi commerciali e degli investimenti globali. l’OCSE rappresenta un punto di riferimento per i Paesi sviluppati aventi in comune un sistema di governo di tipo democratico ed un’economia di mercato. I principali compiti dell’OCSE sono quelli di assistere i suoi membri nel favorire unacrescita economica sostenibile, nello sviluppo delloccupazione e del benessere”. https://www.borsaitaliana.it/notizie/sotto-la-lente/ocse-116.htm 
  2. Istituto Nazionale di Statistica
  3. CITTADINI E ICT. https://www.istat.it/it/archivio/236920

PETROLIO E MINIERE: IL POZZO DELL’AFRICA

Quasi tutti i Paesi del mondo sono ricchi di risorse, eppure spesso o vengono sfruttate male (o non sfruttate proprio) o si preferisce semplicemente affidarsi all’estrazione di risorse fossili e minerarie molto abbondanti in alcune aree del globo.

Una risorsa molto ambita da quasi tutti i Paesi – in particolare quelli del Nord del Mondo – è il petrolio, che si trova in abbondanti quantità soprattutto nel Medio Oriente e in Africa. Oggi faremo un focus sull’Africa, un continente tanto ricco di risorse quanto depauperato dallo sfruttamento sociale e ambientale.

Dalla Nigeria al Mozambico, le popolazioni locali pagano il prezzo più alto in termini di danno ambientale e povertà anche a causa dell’attuale sistema di mercato che governa l’estrazione e l’esportazione di combustibili fossili. Per comprendere la crisi socio-ambientale che si sta vivendo, bisogna guardare a Makoko, la baraccopoli da 100.000 abitanti che vivono nella laguna di Lagos su palafitte e su un suolo creato dai rifiuti smaltiti nell’acqua.

 

Nella morsa dell’“oro nero”

Makoko è il simbolo della crisi perché si colloca al centro della principale città della Nigeria, prima economia africana per dimensioni, grazie all’esportazione del petrolio. La regione del Delta del fiume Niger, da cui proviene il petrolio nigeriano, è devastata dal punto di vista sociale e ambientale dall’attività estrattiva di un gruppo ristretto di imprese che alimentano le economie di alcuni Paesi del Nord globale, tra cui l’Italia.

La Nigeria, tuttavia, è solo l’esempio più clamoroso. Più in generale, infatti, è l’Africa nel suo complesso a rappresentare in modo emblematico la crisi socio-ambientale globale: da una parte è il continente in cui si sentono maggiormente gli effetti del cambiamento climatico, dall’altra, nelle miniere e nei campi petroliferi africani è dove maggiormente si vede all’opera un sistema produttivo fondato su combustibili fossili, che vengono estratti lontano dai luoghi dove vengono poi consumati.

Il continente africano produce circa il doppio del petrolio che consuma: il combustibile estratto viene infatti esportato verso le economie avanzate, rendendo così possibile il loro sviluppo. A livello mondiale i principali esportatori di petrolio rimangono gli Stati del Golfo Persico, ma ormai da diversi anni alcuni Paesi africani occupano una posizione di primo piano in questo settore.

 

Ambiente e mercato

La crisi socio-ambientale è globale perché l’economia che la determina è costruita su scala internazionale e gli effetti sono delocalizzati rispetto alle cause. Osservando il Mozambico, nonostante abbia un basso consumo di carbone – circa un millesimo di quello italiano, qui ne vengono estratti ogni anno circa 6 milioni di tonnellate. È infatti il secondo produttore di carbone in Africa e le sue miniere, sfruttate da imprese brasiliane e indiane alimentano la produzione di energia dell’India.

Questi esempi mostrano due aspetti fondamentali della crisi. Il primo è che il sistema produttivo fondato sui combustibili fossili produce danni sociali e ambientali lungo tutta la sua filiera, e non solo in termini di cambiamento climatico. Analizzare la crisi socio-ambientale isolando la questione climatica, significa osservare solo l’ultimo anello di una catena di sfruttamento delle persone e dell’ambiente che è alla base del sistema produttivo globale. Il secondo punto è che l’attuale sistema economico fa sì che sfruttamento e danni socio-ambientali si localizzino in modo sproporzionato nei Paesi più poveri e che, al contrario, i profitti rimangano concentrati nelle mani di poche imprese multinazionali.

 

Africa, un osservatorio sulla crisi

In questo senso il cambiamento climatico non è “il” problema, ma una delle forme con le quali si manifesta la crisi contemporanea. A pochi chilometri da Makoko sta prendendo forma su una penisola artificiale un nuovo quartiere di lusso che ospiterà l’élite nigeriana e le sedi delle principali imprese internazionali. L’iniziativa nasce per creare una barriera contro le ricorrenti inondazioni che colpiscono la costa meridionale della città.

L’Africa è un punto di vista privilegiato per osservare la crisi contemporanea perché è la frontiera dell’attuale sistema economico, il luogo dove si manifestano in forma estrema le conseguenze dello sfruttamento delle persone e dell’ambiente, ma anche il terreno in cui si sperimentano modalità innovative per trarre profitto dalla crisi. Da questa posizione occorre dunque guardare il problema per capirne la complessità e produrre modelli di società alternativi.

Davide Sicari

Fonte: https://www.manitese.it/petrolio-e-miniere-il-pozzo-dellafrica

La natura che cura: fitoterapia ed aromaterapia

Siamo abituati a parlare di come l’umanità dovrebbe prendersi cura della natura, e di quanto l’azione dell’uomo stia andando sempre di più nella direzione opposta. Oggi, invece, approfondiremo il caso in cui è la natura a prendersi cura di noi. Sempre più persone, infatti, oggi si affidano per la cura della persona e il trattamento di diverse patologie alla natura e a ciò che quest’ultima può offrirci in questi campi. 
Tra le discipline che si occupano di questi aspetti oggi scopriremo la fitoterapia e l’aromaterapia. 
 

Fitoterapia

La fitoterapia è la scienza medica che studia il corretto utilizzo delle piante medicinali allo scopo di trattare patologie di diversa natura.  
Sin dall’antichità, le popolazioni hanno fatto ampio uso di piante e frutti presenti in natura per affrontare determinate condizioni medico/salutistiche, specialmente durante il Medioevo.  
Più tardi, con l’avvento della medicina sintetica, la medicina naturale in generale e la fitoterapia in particolare furono messe da parte, affidando alla chimica il compito di curare l’essere umano.  
Oggi, in linea con una forte tendenza di “ritorno alla natura” contro quelli che sono gli effetti del progresso sfrenato in diversi campi, dal cambiamento climatico all’aumento di patologie dovute ad uno stile di vita poco sano, gran parte della popolazione sta riponendo nuovamente fiducia e speranza nell’efficacia della natura e della fitoterapia.  
In particolare, di grande interesse data la varietà di benefici e funzioni di quest’ultima è l’aromaterapia, oggi sempre più in voga anche tra i popoli occidentali.  
 

Aromaterapia

 
L’aromaterapia è un ramo della fitoterapia che utilizza gli oli essenziali per ottenere benefici in termini di salute sia fisica che mentale.  
In linea con la fitoterapia e il cosiddetto ritorno alla natura di cui abbiamo parlato prima, l’aromaterapia è una terapia completamente sostenibile: gli oli essenziali, infatti, non sono altro che estratti di piante, radici, bacche o fiori, ottenuti con metodologie naturali. 
Pur possedendo tutti proprietà antinfiammatorie, antibatteriche ed antisettiche, ogni olio essenziale esistente in natura ha diverse caratteristiche che lo rendono adatto ad essere utilizzato per il trattamento di specifiche condizioni e/o patologie: per esempio, l’olio essenziale di lavanda è fortemente consigliato come olio calmante, efficace contro stati d’ansia e tensione; quello di melaleuca (meglio conosciuto come Tea Tree Oil) ha grandi proprietà antisettiche ed antifungine, mentre l’olio essenziale di rosmarino agisce efficacemente sulle capacità di concentrazione e sulla memoria (per esempio può essere usato durante lo studio!).

 

Come funziona?

Questi sono solo esempi di oli essenziali e delle loro proprietà, che vanno ben oltre quelle elencate. Ma come si mette in pratica l’aromaterapia? 
Una volta trovato l’olio o gli olii essenziali adatti al nostro caso, bisogna innanzitutto leggerne le indicazioni d’uso e la posologia: non tutti gli oli essenziali possono essere applicati direttamente sulla pelle, e anche quando questa applicazione è permessa, data la potenza di queste sostanze, bisogna farlo con cautela, in dosi minime.  
Nel caso in cui non avessimo bisogno di applicare l’olio essenziale direttamente sulla pelle, possiamo ricorrere all’utilizzo di diffusori d’aroma. In questo caso vedremo che alcuni diffusori comportano l’utilizzo degli oli essenziali nella loro purezza, mentre altri necessitano di un olio vettore, come per esempio l’olio di mandorle dolci, per discioglierlo e diffonderlo poi nell’ambiente.  
 
Insomma, questa volta abbiamo esplorato le preziose risorse che ancora una volta la natura ci mette a disposizione per il nostro benessere. Profumatori di ambienti ed efficaci amici della salute fisica e mentale, sembra proprio che non si possa fare a meno di avere una o due boccette di olio essenziale in casa ormai! 
 
Per approfondimenti su fitoterapia ed aromaterapia visita: 
– https://www.tuttogreen.it/aromaterapia-cose-quali-benefici/ 
– https://www.my-personaltrainer.it/benessere/fitoterapia.html 

Una Vita sul nostro Pianeta

Un documentario di David Attenborough

È una vera e propria testimonianza di vita quella che ci offre David Attenborough nel suo ultimo documentario, Una Vita sul nostro Pianeta. Divulgatore naturalistico di fama mondiale, nato a Londra nel 1926, Sir David Frederick Attenborough ha dedicato la sua intera carriera all’osservazione del mondo animale e vegetale. Grazie ad una telecamera, ha permesso al grande pubblico di appassionarsi alla bellezza degli ecosistemi terrestri e marini più lontani.

Oggi, a 93 anni, David Attenborough ritorna sugli schermi per mandare un importante messaggio ad ognuno e ognuna di noi: le aree protette e la natura incontaminata stanno progressivamente scomparendo, fortemente minacciati dall’azione umana.

 

“La vera tragedia del nostro tempo è in atto sul Pianeta ogni giorno e si nota appena. Mi riferisco alla scomparsa dei luoghi naturali, della biodiversità”.

Come racconta Attenborough, infatti, il genere umano sta utilizzando le risorse del Pianeta come fossero inesauribili, ma i dati ci dicono che invece si stanno prosciugando. A causa delle pratiche di pesca intensiva, il 90% dei grandi pesci non popola più i mari e il 30% della riserva ittica mondiale è esaurita. La metà delle terre fertili del Pianeta è stata convertita in terreno agricolo e ogni anno vengono abbattuti 15 miliardi di alberi, polmoni verdi dell’ecosistema. Il 60% dei mammiferi presenti sul pianeta è addomesticato negli allevamenti e solo il 4% di essi vive libero in natura.

Cosa succederà in futuro?

Secondo le previsioni scientifiche, questo andamento è destinato a peggiorare. Nel 2030 l’Amazzonia potrebbe ridursi ad una savana secca e molte delle specie animali e vegetali che vi abitano potrebbero scomparire. Entro il 2050, a causa dell’aumento della temperatura e dell’acidità degli oceani, le barriere coralline moriranno e le popolazioni ittiche diminuiranno drasticamente.

 

È troppo tardi per cambiare rotta?

David Attenborough nel suo documentario ci dà anche una buona notizia. È possibile cambiare rotta se si agisce immediatamente. Per farlo, è necessario tutelare le aree protette e specie animali e vegetali che le abitano. Inoltre, è importantissimo preservare i polmoni verdi del Pianeta, arrestando la deforestazione, e gli oceani, permettendo il ripopolamento della fauna ittica.

La testimonianza di Attenborough ci insegna che il nostro grande Pianeta è fatto di tanti piccoli ecosistemi e che l’uomo deve prendersi cura di ognuno di essi e delle sue risorse per preservarne l’equilibrio.

Silvia D’Ambrosio

Guarda il trailer di David Attenborough “Una Vita sul nostro Pianeta”

Fonte: https://lecopost.it/cultura-sostenibile/documentari-ambiente/david-attenborough-una-vita-sul-nostro-pianeta/

Fonte foto: https://www.facebook.com/DavidALifeFilm/