Pride month

Il mese di giugno è il mese del pride, proprio in occasione di questa ricorrenza abbiamo deciso di parlarvi di come nasce il pride, e del perché tutt’oggi è ancora così importante. 

Cos’è? 

Quando si parla di pride si fa riferimento alle parate e alle marce che ogni anno nel mese di giugno si celebrano in tutto il mondo per rivendicare i diritti della comunità LGBTQIA+. Si parla di pride perché durante queste parate si rivendica orgogliosamente la propria appartenenza alla comunità.

Quando nasce? 

Il mese dell’orgoglio LGBTQIA+, è stato istituito in seguito ai Moti di Stonewall, una rivolta spontanea del 1969 avvenuta a New York.  

Il 28 giugno 1969 alcuni poliziotti fecero irruzione nello Stonewall Inn, la cui clientela era composta soprattutto da uomini gay e alcune persone transgender e donne lesbiche. All’epoca, le irruzioni della polizia nel locale erano frequenti, in un periodo in cui l’omosessualità era considerata diffusamente come un comportamento deviato ed era illegale in 49 stati americani. Quella sera, però, le cose non andarono come nei piani della polizia e molte persone si opposero all’arresto. In poco tempo fuori dal locale si riunì una folla. Dopo aver visto la polizia che picchiava alcuni clienti del locale, ci furono diverse urla – tra cui un «gay power» – e dalle urla si passò agli scontri fisici. La polizia rimase intrappolata nel locale insieme a un piccolo gruppo di clienti, mentre le proteste si allargavano. Vennero lanciate monetine, pietre e mattoni verso gli agenti. 

Sul posto arrivò un gruppo più numeroso di agenti in tenuta antisommossa, che permisero alla polizia e alla clientela intrappolata nel locale di uscire. La folla però aumentò fino a raggiungere migliaia di persone e lo scontro con la polizia continuò fino alle prime ore del mattino, e a intermittenza per altre cinque notti. 

In breve tempo, dopo questi accadimenti prese slancio un movimento per i diritti delle persone omosessuali.  

Il pride prenderà questo nome solo dal 1995 in avanti. La prima parata “simile” a quelle che conosciamo oggi è stata nel 1972, da questo momento in poi inizia a prendere effettivamente la forma di un corteo, con gente a piedi e in macchina. 

Perché è importante? 

Ancora oggi è importante che il pride esista e parteciparvi, innanzi tutto, perché quando si scende in piazza non lo si fa solo per se stessi ma anche per tutte quelle persone che vivono in paesi in cui l’omosessualità è ancora un reato e le persone della comunità LGBTQIA+ vengono punite, torturate e allontanate dalla comunità. 

L’omosessualità, infatti, è ancora un reato in circa 64 paesi e in 7 è ancora punita con la pena di morte (dati relativi al 2023) Criminalisation of consensual same-sex sexual acts | ILGA World Database. 

In secondo luogo, è importante perché anche in Europa c’è ancora molto lavoro da fare, in Italia, per esempio ancora non esiste il matrimonio per le persone dello stesso sesso ma solo le unioni civili, non è possibile adottare e non esiste una legge contro l’omolesbobitransfobia. 

E non meno importante, un diritto non è mai conquistato per sempre. 

Per approfondire: 

Come andò a Stonewall – Il Post 

Perché il Pride ha ancora senso – Il Post 

Homosexuality: The countries where it is illegal to be gay (bbc.com) 

 

L’edizione 2024-2025 del portale è supportata dal progetto “AGIRE”, finanziato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Comitato interministeriale per la programmazione economica – CUP C29I23001120001 

Referendum cittadinanza: l’8 e il 9 giugno si vota!

COS’È UN REFERENDUM? 

Il referendum è uno strumento di democrazia diretta che permette a cittadini e cittadine di esprimersi direttamente su un tema specifico. 

Quello previsto per l’8-9 giugno 2025 sarà un referendum abrogativo, articolato in cinque quesiti. Il quinto quesito propone di modificare la legge sulla cittadinanza, riducendo da 10 a 5 anni il periodo minimo di residenza richiesto per presentare domanda. 

Perché un referendum abrogativo sia valido, deve votare almeno il 50% + 1 degli aventi diritto (quorum). Negli ultimi trent’anni, questo obiettivo è stato raggiunto solo due volte: nel 1995 e nel 2011. Un dato che mette in luce una crescente crisi di partecipazione nel nostro Paese. 

 

PERCHÉ È IMPORTANTE? 

La cittadinanza italiana è regolata da norme molto restrittive: 

  • Si ottiene solo se si hanno genitori italiani, o dopo 10 anni di residenza legale e continuativa. 
  • I figli di genitori stranieri nati in Italia possono fare richiesta solo al compimento dei 18 anni. 
  • I tempi per ricevere una risposta possono arrivare fino a 3 anni. 
  • Sono richiesti: conoscenza della lingua italiana, reddito stabile, e assenza di procedimenti penali. 

Il quesito referendario propone di ridurre il requisito della residenza da 10 a 5 anni, senza modificare gli altri criteri, rendendo così più accessibile il percorso verso la cittadinanza per chi vive stabilmente in Italia. Si deve tener conto però che spesso il percorso per l’ottenimento della cittadinanza può durare anche 13 o 14 anni a causa della lentezza burocratica. 

 

PERCHÉ SI CHIEDE UNA MODIFICA ALLA LEGGE? 

Oggi, centinaia di migliaia di persone — spesso nate o cresciute in Italia — vivono una condizione di non riconoscimento giuridico, pur essendo pienamente inserite nella società. 

Non avere la cittadinanza significa essere esclusi ed escluse da diritti fondamentali: non si può votare, non si può partecipare ai concorsi pubblici, e non si può accedere a professioni regolamentate da ordini e albi, come ad esempio insegnanti, medici, giornalisti/e, avvocati/e, assistenti sociali o funzionari/e.
Anche solo poter fare un erasmus o un tirocinio all’estero diventa così un fattore di rischio per l’ottenimento della cittadinanza, poiché andrebbe in contrasto con la residenza continuativa, cosa che comunque con questo referendum non potrà essere cambiata. 

Questo crea una profonda ingiustizia per chi è italiano di fatto, ma non di diritto: studia qui, lavora qui, parla italiano, e contribuisce ogni giorno al Paese.
Modificare la legge non significa “regalare” cittadinanze, ma riconoscere dignità e diritti a chi vive una condizione di esclusione pur facendo parte attiva della nostra società. 

 

PERCHÉ È IMPORTANTE ANDARE A VOTARE? 

Con astensionismo si intende il fenomeno per cui, in una votazione le persone aventi diritto non esprimono il proprio voto ed è un fenomeno che negli ultimi anni è sempre più in aumento. Andare a votare è importante perché è il modo in cui possiamo far sentire la nostra voce, non farlo vuol dire annullare il senso di una società democratica, approvando rappresentanti politici o decisioni che non sono espressione di tutte e tutti. Questo alimenta sempre di più un malessere che non permette alle persone di sentirsi parte delle scelte che riguardano la vita di milioni di persone. 

 

Approfondimento fenomeno astensionismo

Approfondimento su cosa prevede la normativa oggi

 

 

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GIORNATA CONTRO L’OMOLESBOBITRANSFOBIA 

In occasione della giornata contro l’omolesbobitransfobia che si celebra ogni anno il 17/05 abbiamo pensato di analizzare brevemente la situazione in Italia e in Europa per quanto riguarda i diritti della comunità LGBTQIA+. 

Italia: 

In Italia, le unioni civili tra persone dello stesso sesso sono legali dal 2016, ma il matrimonio egualitario non è ancora riconosciuto. La Corte di cassazione ha però stabilito che i matrimoni contratti all’estero possono essere trascritti. L’adozione per coppie omosessuali è ancora un tema molto discusso: è consentita solo in casi specifici, come la stepchild adoption (adozione del figlio del partner). Per quanto riguarda le leggi contro l’omolesbobitransfobia, esiste una protezione parziale grazie ad alcune normative regionali e alle leggi contro la discriminazione sul lavoro, ma non c’è una legislazione nazionale organica. Il DDL Zan, che avrebbe ampliato le tutele, è stato bloccato in Parlamento. 

Europa Occidentale: 

Paesi come Malta e i Paesi Bassi sono leader nelle politiche per i diritti LGBTQIA+. Malta è stata al primo posto nell’indice “Rainbow Europe” per diversi anni consecutivi, grazie a leggi che tutelano fortemente i diritti della comunità LGBTQIA+, inclusi il matrimonio egualitario e le adozioni. Nei Paesi Bassi, il matrimonio tra persone dello stesso sesso è legale dal 2001 (il primo paese al mondo a farlo), e le coppie possono adottare e accedere a tecniche di fecondazione assistita. 

In Francia, il matrimonio egualitario è legale dal 2013, e sono previste leggi contro le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e l’identità di genere. La situazione è simile in Germania, dove il matrimonio tra persone dello stesso sesso è legale dal 2017. 

 

 Europa Orientale: 

La situazione è più complessa nei paesi dell’Europa orientale e centrale. In Polonia e Ungheria, i diritti della comunità LGBTQIA+ sono sotto attacco da parte dei governi, con leggi che limitano la libertà di espressione di questa comunità e vietano l’educazione su temi riguardanti l’omosessualità nelle scuole. Entrambi i paesi vietano il matrimonio tra persone dello stesso sesso e non riconoscono le unioni civili. In Ungheria, una legge del 2021 vieta la “promozione” dell’omosessualità tra i minori. 

LEGGI CONTRO L’OMOLESBOBITRANSFOBIA 

Le leggi contro l’omofobia e la transfobia variano notevolmente da un paese all’altro in Europa. 

Italia: 

In Italia, pur essendo presente una normativa che punisce la discriminazione basata sull’orientamento sessuale nel contesto lavorativo, manca una legge nazionale che tuteli espressamente contro i crimini di odio omolesbobitransfobico. La proposta di legge più recente, il DDL Zan che mirava ad ampliare le tutele legali, includendo i reati di odio e discriminazione contro le persone LGBT+. Tuttavia, il disegno di legge è stato bloccato nel 2021 durante il suo iter parlamentare. Attualmente, solo alcune regioni italiane hanno leggi specifiche per contrastare l’omolesbobitransfobia. 

Europa Occidentale: 

In molti paesi dell’Europa occidentale, esistono leggi specifiche contro l’omofobia. Francia, Germania, Spagna, Portogallo e Belgio dispongono di normative che puniscono i crimini di odio basati sull’orientamento sessuale e l’identità di genere. In particolare, la Francia ha introdotto leggi contro l’omofobia già dal 2004, includendo pene per l’incitamento all’odio omofobico. 

Malta e Paesi Bassi: 

Tra i paesi più progressisti si trovano Malta e i Paesi Bassi, dove le leggi contro l’omofobia sono molto avanzate. A Malta, la discriminazione basata sull’orientamento sessuale è proibita dalla costituzione, e il Paese ha leggi molto severe contro i crimini di odio. Nei Paesi Bassi, sono in vigore misure simili da diversi decenni, con una solida tutela legale per le persone LGBT+. 

Per approfondire: 

www.ilga-europe.org 

youth.europa.eu 

it.euronews.com 

 

AFRICA ED EUROCENTRISMO

L’Africa è un continente estremamente vasto, ricco di storia e culture, nonostante questo è stata rappresentata a lungo in modo riduttivo e stereotipato dalla cultura eurocentrica.  

L’eurocentrismo ha sempre cercato di rappresentare il continente africano come tutto uguale al suo interno, instabile e povero.  

Cos’è l’eurocentrismo? 

È un approccio che vede l’Europa e la cultura occidentale come il centro del mondo, relegando, dunque, gli altri paesi (non occidentali) a ruoli subalterni. 

Questo modo di pensare ha radici piuttosto antiche ma si è radicalizzato e consolidato durante il periodo del colonialismo, quando le potenze europee hanno esteso il loro dominio su gran parte del mondo. Questo dominio era giustificato dall’idea secondo cui le popolazioni colonizzate (in particolar modo quelle africane) fossero inferiori e avessero bisogno di essere civilizzate. Questo pensiero ha portato ad una visione dell’Africa (che dura ancora oggi) come un continente selvaggio e privo di storia e cultura. 

Impatto dell’eurocentrismo sull’Africa: 

Per molto tempo l’Africa è stata descritta come continente senza storia o come continente la cui storia si è sviluppata con l’arrivo degli europei. Questo ha portato all’idea secondo cui l’Africa non abbia contribuito alla storia globale. 

La visione eurocentrica ha sempre visto il continente come: un luogo esotico, le immagini di animali e popoli “primitivi” alimentavano l’idea di un altrove diverso dall’Europa che, però, non era considerato come fonte di ispirazione o di curiosità ma come sfondo per le storie di conquista e scoperta degli europei. 

Tale pensiero è stato a lungo utilizzato per giustificare un sistema in cui le risorse del continente africano venivano sfruttate a beneficio delle potenze europee. Molte delle difficoltà che molti paesi africani devono affrontare ancora oggi, come i confini arbitrari e i conseguenti problemi di stabilità tra i vari popoli sono il risultato diretto della colonizzazione da parte degli europei. 

Decolonizzazione: 

Oggi diversi studiosi stanno cercando di decolonizzare la storia e la cultura dietro a tale visione eurocentrica, ciò significa mettere al centro il punto di vista delle persone del sud del mondo e riconoscere la complessità delle loro culture. Il contesto storico in cui emerge il pensiero decoloniale è da identificarsi in due processi politici fondamentali del Novecento: l’affermazione dei regimi dittatoriali reazionari in America Latina a partire dagli anni Settanta e la fine del socialismo in Unione Sovietica. 

Walter Mignolo è colui che ha costruito un sistema teorico volto alla decostruzione radicale della cultura coloniale, secondo l’autore la decolonialità non è né una disciplina accademica, né un metodo, né una categoria postmoderna, ma piuttosto un tentativo di reintrodurre una nuova grande narrazione a partire da quelle degli ultimi cinque secoli. Narrazione che si pone in opposizione a quelle che Mignolo definisce le “finzioni” della modernità, ovvero a tutte quelle discipline che hanno un’origine storico-geografica precisa (la colonizzazione attraverso la rotta atlantica delle Americhe da parte di soggetti europei, bianchi e cristiani) e che non costituirebbero altro che l’autorappresentazione da parte dell’occidente di cinque secoli di dominio coloniale.   

Walter Mignolo e il pensiero decoloniale (ecointernazionale.com)   

 

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Violenza di genere in Italia: numeri reali e il ruolo della scuola

Sara Campanella e Ilaria Sula sono state uccise perché hanno detto no. Questi non sono casi isolati, non sono dei raptus: sono femminicidi. Una forma di violenza esercitata sistematicamente sulle donne, che si ripete e che affonda le radici in una cultura che insegna il possesso. Parlare di questi casi e riconoscerne le vere cause è una responsabilità collettiva. Finché non verranno messi in discussione atteggiamenti che comunemente sono considerati “normali”, ma che in realtà nascondono una violenza strutturale e non si investirà seriamente in prevenzione, non riusciremo a estirpare il problema dalla radice. È per questo che il lavoro culturale ed educativo è centrale. Serve intervenire prima che la violenza si manifesti, a partire da dove si formano le persone: le scuole. 

Secondo l’Osservatorio Nazionale di Non Una Di Meno, al 2 aprile 2025 in Italia sono già stati registrati 24 casi di femminicidio, lesbicidio e trans*cidio. Questi dati mostrano che non basta indignarsi dopo l’ennesimo caso. Serve un’azione strutturale e continua, che coinvolga le istituzioni, i media e soprattutto i luoghi della formazione. 

La Convenzione di Istanbul, ratificata dall’Italia nel 2013, è il primo trattato internazionale che vincola gli Stati a prevenire e combattere la violenza maschile contro le donne. Impone misure specifiche per garantire tutele e soprattutto mette al centro le azioni educative per combattere la cultura della violenza. Tuttavia, nonostante l’Italia abbia firmato l’impegno, i progressi concreti sono stati lenti e insufficienti. Le leggi ci sono, ma spesso non vengono applicate adeguatamente, e le politiche di prevenzione, in particolare quelle educative, sono ancora troppo poche o assenti. 

L’educazione alla sessualità e all’affettività nelle scuole è quindi uno strumento essenziale. Si può così parlare di relazioni, emozioni, rispetto dei confini e del consenso. Il Gruppo CRC, che si occupa della tutela dei diritti di bambini, bambine e adolescenti, sottolinea la necessità di introdurre nel sistema educativo italiano la Comprehensive Sexuality Education: un percorso formativo che aiuti ragazze e ragazzi a sviluppare consapevolezza emotiva, a riconoscere la violenza nelle relazioni e a costruire legami basati sull’uguaglianza. Parlare di affettività e sessualità a scuola significa prevenire la violenza. Significa dare a tutti e tutte gli strumenti per comprendere se stessi e gli altri. 

Per saperne di più: 

 

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Spreco alimentare 

Cos’è: 

Una prima definizione di spreco alimentare viene dalla FAO, e comprende qualsiasi sostanza sana e commestibile, destinata al consumo umano, che venga sprecata, persa, degradata o consumata da parassiti in qualsiasi punto della filiera agroalimentare. 

Più recentemente è stata proposta una distinzione tra perdite alimentari e spreco alimentare: 

  • si definiscono food losses “le perdite alimentari che si riscontrano durante le fasi di produzione agricola, post-raccolto e trasformazione degli alimenti”; 
  • si parla invece di food waste quando si intendono “gli sprechi di cibo che si verificano nell’ultima parte della catena alimentare (distribuzione, vendita e consumo finale)”. 

 

Alcuni dati: 

In occasione dell’International Day of Zero Waste l’Unep (Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente) ha pubblicato un report in cui mostra, tra le altre cose i dati relativi allo spreco alimentare nel 2022. Viene mostrato come nel 2022 sono stati generati 1,05 miliardi di tonnellate di rifiuti alimentari (comprese le parti non commestibili). Questo è pari a 132 chilogrammi pro capite, e a quasi un quinto di tutto il cibo a disposizione dei consumatori. 

Il 60% del totale degli alimenti sprecati nel 2022 è avvenuto a livello domestico, mentre i servizi di ristorazione sono responsabili del 28% e la vendita al dettaglio del 12%. 

La perdita e lo spreco di cibo generano l’8-10% delle emissioni globali annue di gas serra 

Ridurre le perdite e gli sprechi alimentari è fondamentale, in quanto migliorerebbe i sistemi agroalimentari e contribuirebbe a raggiungere la sicurezza alimentare e la qualità degli alimenti. 

Come si può ridurre lo spreco alimentare? 

Livello micro: 

È importante sottolineare come innanzitutto esistono molti piccoli accorgimenti che ognuno di noi può utilizzare per sprecare meno cibo. Banalmente acquistando al supermercato solo quanto necessario evitando così di dover buttare del cibo perché andato a male. 

Inoltre, è importante imparare a leggere nel modo corretto le scadenze dei cibi e comprendere quali alimenti possono essere consumati anche se scaduti da breve tempo. Per esempio, c’è un’importante differenza tra una data di scadenza in cui troviamo giorno/mese/anno ed una in cui troviamo scritto consumare preferibilmente entro. 

Allo stesso modo è molto diverso consumare un uovo scaduto piuttosto che della pasta o del riso. 

Livello macro: 

è, inoltre, estremamente importante che il tema dello spreco alimentare e più in generale dell’educazione alimentare venga introdotto all’interno delle scuole in modo da educare tutte e tutti fin da piccoli ad un utilizzo corretto del cibo. 

Il mondo spreca oltre 1 miliardo di pasti al giorno – ONU Italia (unric.org) 

Lo spreco alimentare è una questione etica, sociale, economica e ambientale – ASviS – Ansa.it 

 

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Origini della Giornata Mondiale della Terra

La Giornata Mondiale della Terra è celebrata ogni anno il 22 aprile. È stata istituita nel 1970 per sensibilizzare l’opinione pubblica sui problemi ambientali e promuovere la protezione del nostro pianeta. L’idea nacque negli Stati Uniti grazie a Gaylord Nelson, un senatore che voleva portare l’attenzione pubblica sui danni ambientali provocati dall’inquinamento e dalla degradazione ambientale. 

Nel 1970, milioni di persone parteciparono a manifestazioni ed eventi in tutto il mondo per chiedere un cambiamento nelle politiche ambientali. Questo movimento portò alla creazione dell’Agenzia per la Protezione Ambientale degli Stati Uniti (EPA) e contribuì a leggi importanti come il Clean Air Act e il Clean Water Act. 

Il Cambiamento Climatico: Situazione Attuale 

Cosa è il cambiamento climatico? si riferisce a modifiche a lungo termine nei modelli climatici globali, principalmente a causa delle attività umane come la combustione di combustibili fossili, che aumentano la concentrazione di gas serra nell’atmosfera. Questi gas intrappolano il calore e provocano un riscaldamento globale. 

Disagi Attuali e Futuri: 

Nel Mondo: 

  • Eventi meteorologici estremi: Aumento di frequenza e intensità di eventi come uragani, incendi forestali, e ondate di calore. Ad esempio, incendi devastanti in Australia e ondate di calore estreme in Europa. 
  • Aumento del livello del mare: Melting dei ghiacciai e delle calotte polari contribuisce all’innalzamento del livello del mare, mettendo a rischio le città costiere e le isole. 
  • Cambiamenti nei modelli di precipitazione: Alcune regioni diventano più aride, mentre altre affrontano precipitazioni e inondazioni più intense. 

In Italia: 

  • Aumento delle temperature: Le estati in Italia sono sempre più calde e lunghe, con un impatto sulla salute pubblica e sull’agricoltura. 
  • Siccità e stress idrico: La scarsità d’acqua sta diventando un problema crescente, influenzando le risorse idriche disponibili per l’uso agricolo e domestico. 
  • Eventi meteorologici estremi: Inondazioni e frane sono diventati più frequenti, con impatti su infrastrutture e comunità. 

 Cosa Possiamo Fare 

A livello individuale: 

  • Ridurre le emissioni di carbonio: Utilizzare mezzi di trasporto più sostenibili, ridurre il consumo di energia e adottare abitudini ecologiche come il riciclo. 
  • Supportare energie rinnovabili: Optare per fonti di energia come il solare e l’eolico che hanno un impatto minore sull’ambiente. 

 

 

A livello collettivo e legislativo: 

  • Politiche climatiche: I governi possono adottare regolamenti che limitano le emissioni di gas serra e promuovono la sostenibilità. 
  • Accordi internazionali: Il Protocollo di Kyoto e l’Accordo di Parigi sono esempi di come i paesi possono collaborare per affrontare il cambiamento climatico a livello globale. 

Fonti e Risorse Utili 

Giornata della Terra: cos’è, storia e perché è importante celebrare l’Earth Day – greenMe 

Climate Change 2023: AR6 Rapporto di sintesi – IPCC – Focal Point Italia (cmcc.it) 

 

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L’Acqua: Una Risorsa Preziosa

 L’Acqua come Risorsa Esauribile 

L’acqua è una risorsa fondamentale per la vita e per lo sviluppo delle società. Purtroppo, però, la quantità di acqua dolce (e quindi potabile) presente sul nostro pianeta è limitata: solo circa il 2,5% dell’acqua sulla Terra è dolce, e di questa, una parte significativa è immagazzinata nei ghiacciai e nelle calotte polari, mentre solo una piccola frazione è accessibile per uso quotidiano. 

L’acqua è un bene esauribile perché le risorse di acqua dolce sono influenzate da diversi fattori come l’inquinamento, il cambiamento climatico e la crescita della popolazione. L’inquinamento delle acque, ad esempio, riduce la quantità di acqua potabile disponibile. Inoltre, il cambiamento climatico sta alterando i modelli di precipitazione e riducendo la disponibilità di acqua. 

 Consumo di Acqua in Italia e nel Mondo 

Italia: In Italia, il consumo di acqua è elevato rispetto ad altri paesi. Secondo dati dell’ISTAT, l’uso medio pro-capite è di circa 220 litri al giorno. Gran parte di quest’acqua viene utilizzata per scopi domestici, agricoli e industriali. Questo elevato consumo di acqua è causato anche da problematiche legate ai sistemi di trasporto e fruizione dell’acqua. Infatti, in molti casi, gli impianti idrici sono molto vecchi e di conseguenza una parte dell’acqua viene persa o l’acqua calda fatica ad arrivare causando inevitabilmente un maggiore consumo d’acqua. 

Mondo: A livello globale, la situazione è variabile. Nei paesi occidentali il consumo pro-capite può superare i 300 litri al giorno, mentre nei paesi del Sud Globale può essere molto più basso. Tuttavia, in molte regioni del mondo, l’accesso all’acqua potabile è limitato. Secondo l’ONU, circa 2 miliardi di persone vivono in aree con scarso accesso all’acqua potabile e ai servizi igienici. (fonte:Rapporto UNICEF-OMS su acqua e igiene, nonostante i progressi 1 bambino su 3 senza acqua sicura | UNICEF Italia) 

 Azioni per Limitare il Consumo di Acqua 

Ognuno può e deve contribuire a ridurre il consumo e gli sprechi di acqua potabile. Il livello individuale non è però sufficiente e risulta necessario mettere in campo anche azioni strutturali, per esempio in termini di gestione delle risorse idriche. 

A livello individuale: 

  1. Risparmio domestico: Utilizzare rubinetti e docce a basso consumo, riparare le perdite e ridurre il tempo sotto la doccia. 
  1. Uso consapevole dell’acqua: Non lasciare il rubinetto aperto inutilmente e usare lavatrici e lavastoviglie solo a pieno carico. 

A livello legislativo e collettivo: 

  1. Regolamentazioni: I governi possono implementare leggi che promuovano tecnologie di risparmio idrico, come rubinetti e toilette a basso consumo. 
  1. Politiche di gestione: È importante gestire le risorse idriche in modo sostenibile attraverso la pianificazione e la conservazione, proteggendo le fonti d’acqua e prevenendo l’inquinamento. 
  1. Educazione e sensibilizzazione: Promuovere campagne educative per aumentare la consapevolezza sull’importanza della conservazione dell’acqua. 

Per approfondire: 

 

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Contrastare il razzismo e costruire società inclusive

Una definizione giuridica internazionale di razzismo non esiste ma gli standard in materia di diritti umani internazionalmente riconosciuti vietano la discriminazione in base alla ‘razza’ o all’etnia. 

Il razzismo è un affronto alla nozione stessa di diritti umani universali. È la negazione di uno dei principi fondanti della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, ossia che tutti gli esseri umani nascono liberi e uguali in dignità e diritti. Il razzismo nega sistematicamente ad alcune persone il pieno godimento dei loro diritti umani, con il pretesto del colore della pelle, dell’appartenenza razziale o etnica, dell’origine sociale (compresa la casta) o nazionale. Questo rappresenta una minaccia a tutti i diritti umani: civili e politici ma anche economici, sociali o culturali. 

Cos’è il razzismo e come nasce? 

Per prima cosa è importante sottolineare che a differenza di ciò che per molto tempo è stato sostenuto non esiste nessuna base scientifica per affermare che un’etnia sia “migliore” di un’altra. 

Possiamo affermare, dunque, che il razzismo sia un costrutto sociopolitico che va a creare comunità fittizie di discendenza e di origine, alle quali vengono attribuite caratteristiche che sono interpretate come difficili da cambiare. Le categorie razziali sono arbitrarie e spesso utilizzate per scopi politici. Il significato stesso di razza e le espressioni ideologiche del razzismo cambiano in epoche e Paesi diversi. 

Il razzismo come ideologia si perpetua ancora oggi, ad esempio quando si attribuiscono determinate caratteristiche o comportamenti a certi gruppi di persone. Anche se questi pregiudizi non sempre si esprimono in atti razzisti concreti, ne portano i semi e si possono trasformare in vere e proprie discriminazioni. 

Questo fenomeno è spesso basato sulla paura, una paura che deriva dall’ignoranza, dalla mancata conoscenza di qualcosa che esuli dalla nostra cultura e dalle nostre abitudini. 

Razzismo sistemico e strutturale 

Quando parliamo di razzismo strutturale si parla di strutture che sistematicamente avvantaggiano i gruppi percepiti come bianchi piuttosto che i gruppi percepiti come non bianchi. 

Vengono istaurate leggi per fare in modo che solo le persone bianche abbiano accesso a determinate risorse. 

Quando si parla di Razzismo sistemico si fa riferimento al fatto che il razzismo sia intrinseco nelle nostre società e a tutti quegli aspetti che avvantaggiano le persone bianche rispetto a quelle non bianche. Per esempio, l’affitto di case, spesso capita che le persone non bianche abbiano più difficoltà nell’affittare un appartamento a causa di pregiudizi interiorizzati durante la nostra socializzazione (es. che vengono da quel determinato paese sono dei ladri, quelle altre puzzano…).  

In generale si fa riferimento a tutti i privilegi che le persone bianche o percepite come tali hanno solo ed esclusivamente grazie a questa loro caratteristica. Privilegi a cui spesso non si fa nemmeno caso, come una maggiore facilità ad accedere a posizioni di potere, e di conseguenza avere una posizione socio economica più elevata e quindi più potere. 

 

 

Per approfondire: 

Razzismo: Discriminazione sulla base dell’origine, della ‘razza’ o dell’etnia — amnesty.ch 

https://www.audible.it/pd/B09J1LBFLR?source_code=ASSOR150021921000V 

 

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Disuguaglianze, povertà e salute

Povertà: 

L’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) definisce la povertà come una condizione che “va oltre la mancanza di reddito e di risorse per garantire mezzi di sussistenza sufficienti. Include fame e malnutrizione, accesso limitato all’istruzione e ad altri servizi di base, discriminazione, esclusione sociale e mancanza di partecipazione ai processi decisionali”. 

La povertà è un fenomeno multidimensionale: guardarla soltanto in termini di soglia di reddito sotto alla quale una persona non è più in grado di soddisfare i propri bisogni fondamentali ci porterebbe a credere che basti redistribuire il denaro per poterla contrastare. Come vedremo più avanti, ci sono molti più fattori che entrano in gioco. 

Come si misura? 

Può essere misurata in due modi: 

  • Quello monetario, definendo una soglia di reddito al di sotto della quale un individuo o una famiglia vengono considerati poveri in senso assoluto. Questa linea corrisponde alla quantità minima di denaro necessaria per acquistare un paniere minimo di beni che permette di vivere una vita minimamente dignitosa. È importante sottolineare che ciò che si trova nel paniere cambia da paese a paese, per comodità, soprattutto nei paesi del Sud del mondo, si utilizza una soglia in dollari pro capite al giorno. Sono poveri in senso assoluto coloro che non raggiungono tale soglia. 
  • Quello non monetario: una misura abbastanza recente e innovativa, presentata dall’UNDP (il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo) nel suo Rapporto del 2010. È l’Indice di povertà multidimensionale (MPI) il quale tiene in considerazione le molteplici privazioni che una persona povera può affrontare in termini di scolarizzazione, salute e condizioni di vita. 

Il fatto che generalmente si utilizzino delle variabili economiche non risiede nel fatto che gli altri aspetti non siano ritenuti importanti, ma perché sono più difficili da misurare. 

Conseguenze della povertà: 

Molto spesso quando si parla di povertà o di disuguaglianze non si tiene conto delle conseguenze che queste ultime hanno sulla salute delle persone. 

La salute, infatti, è distribuita in modo profondamente diseguale sia a livello globale sia all’interno di ciascun paese. 

Tutto ciò non è dato semplicemente dal fatto che le persone più povere riescono ad accedere più difficilmente alle cure mediche (che è un problema molto grave) ma il problema principale è che queste ultime si ammalano maggiormente delle persone più ricche. Non è un trend che vale solo nel caso in cui si mettano a confronto persone molto povere con persone molto ricche, ma vale anche se vengono messe a confronto persone di classi sociali simili, quelle più abbienti avranno meno probabilità di ammalarsi rispetto alle persone meno abbienti. 

Le cause delle malattie sono molteplici: il contesto sociale in cui si vive, le proprie abitudini (stile di vita) e la propria predisposizione genetica. Notiamo, però, che il contesto sociale e le abitudini hanno una grande rilevanza, facciamo un esempio: 

una persona povera negli Stati Uniti che vive in un quartiere non particolarmente centrale, se non ha la macchina e vicino alla propria abitazione ha solo supermercati in cui il cibo “spazzatura” costa molto meno rispetto al cibo “sano”, sarà portata ad acquistare cibo che a lungo andare può danneggiare la salute e causare problematiche come obesità o malattie cardiovascolari. 

Ancora oggi c’è una grande tendenza a colpevolizzare le persone per la propria condizione economica e le proprie condizioni di salute (per patologie come l’obesità o l’alcolismo…), ma possiamo realmente affermare che siano delle colpe? Molto spesso i comportamenti delle persone sono dettati, almeno in parte, da fattori contestuali e in generale da fattori che sfuggono al loro controllo. 

È, dunque, fondamentale comprendere quali sono le cause di determinati comportamenti o usanze per poter risolvere il problema della povertà. 

Per approfondire: 

Com’è distribuita la povertà nel mondo e come si misura? I dati più aggiornati e le cause (geopop.it) 

 

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