Violenza di genere in Italia: numeri reali e il ruolo della scuola

Sara Campanella e Ilaria Sula sono state uccise perché hanno detto no. Questi non sono casi isolati, non sono dei raptus: sono femminicidi. Una forma di violenza esercitata sistematicamente sulle donne, che si ripete e che affonda le radici in una cultura che insegna il possesso. Parlare di questi casi e riconoscerne le vere cause è una responsabilità collettiva. Finché non verranno messi in discussione atteggiamenti che comunemente sono considerati “normali”, ma che in realtà nascondono una violenza strutturale e non si investirà seriamente in prevenzione, non riusciremo a estirpare il problema dalla radice. È per questo che il lavoro culturale ed educativo è centrale. Serve intervenire prima che la violenza si manifesti, a partire da dove si formano le persone: le scuole. 

Secondo l’Osservatorio Nazionale di Non Una Di Meno, al 2 aprile 2025 in Italia sono già stati registrati 24 casi di femminicidio, lesbicidio e trans*cidio. Questi dati mostrano che non basta indignarsi dopo l’ennesimo caso. Serve un’azione strutturale e continua, che coinvolga le istituzioni, i media e soprattutto i luoghi della formazione. 

La Convenzione di Istanbul, ratificata dall’Italia nel 2013, è il primo trattato internazionale che vincola gli Stati a prevenire e combattere la violenza maschile contro le donne. Impone misure specifiche per garantire tutele e soprattutto mette al centro le azioni educative per combattere la cultura della violenza. Tuttavia, nonostante l’Italia abbia firmato l’impegno, i progressi concreti sono stati lenti e insufficienti. Le leggi ci sono, ma spesso non vengono applicate adeguatamente, e le politiche di prevenzione, in particolare quelle educative, sono ancora troppo poche o assenti. 

L’educazione alla sessualità e all’affettività nelle scuole è quindi uno strumento essenziale. Si può così parlare di relazioni, emozioni, rispetto dei confini e del consenso. Il Gruppo CRC, che si occupa della tutela dei diritti di bambini, bambine e adolescenti, sottolinea la necessità di introdurre nel sistema educativo italiano la Comprehensive Sexuality Education: un percorso formativo che aiuti ragazze e ragazzi a sviluppare consapevolezza emotiva, a riconoscere la violenza nelle relazioni e a costruire legami basati sull’uguaglianza. Parlare di affettività e sessualità a scuola significa prevenire la violenza. Significa dare a tutti e tutte gli strumenti per comprendere se stessi e gli altri. 

Per saperne di più: 

 

L’edizione 2024-2025 del portale è supportata dal progetto “AGIRE”, finanziato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Comitato interministeriale per la programmazione economica – CUP C29I23001120001

Spreco alimentare 

Cos’è: 

Una prima definizione di spreco alimentare viene dalla FAO, e comprende qualsiasi sostanza sana e commestibile, destinata al consumo umano, che venga sprecata, persa, degradata o consumata da parassiti in qualsiasi punto della filiera agroalimentare. 

Più recentemente è stata proposta una distinzione tra perdite alimentari e spreco alimentare: 

  • si definiscono food losses “le perdite alimentari che si riscontrano durante le fasi di produzione agricola, post-raccolto e trasformazione degli alimenti”; 
  • si parla invece di food waste quando si intendono “gli sprechi di cibo che si verificano nell’ultima parte della catena alimentare (distribuzione, vendita e consumo finale)”. 

 

Alcuni dati: 

In occasione dell’International Day of Zero Waste l’Unep (Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente) ha pubblicato un report in cui mostra, tra le altre cose i dati relativi allo spreco alimentare nel 2022. Viene mostrato come nel 2022 sono stati generati 1,05 miliardi di tonnellate di rifiuti alimentari (comprese le parti non commestibili). Questo è pari a 132 chilogrammi pro capite, e a quasi un quinto di tutto il cibo a disposizione dei consumatori. 

Il 60% del totale degli alimenti sprecati nel 2022 è avvenuto a livello domestico, mentre i servizi di ristorazione sono responsabili del 28% e la vendita al dettaglio del 12%. 

La perdita e lo spreco di cibo generano l’8-10% delle emissioni globali annue di gas serra 

Ridurre le perdite e gli sprechi alimentari è fondamentale, in quanto migliorerebbe i sistemi agroalimentari e contribuirebbe a raggiungere la sicurezza alimentare e la qualità degli alimenti. 

Come si può ridurre lo spreco alimentare? 

Livello micro: 

È importante sottolineare come innanzitutto esistono molti piccoli accorgimenti che ognuno di noi può utilizzare per sprecare meno cibo. Banalmente acquistando al supermercato solo quanto necessario evitando così di dover buttare del cibo perché andato a male. 

Inoltre, è importante imparare a leggere nel modo corretto le scadenze dei cibi e comprendere quali alimenti possono essere consumati anche se scaduti da breve tempo. Per esempio, c’è un’importante differenza tra una data di scadenza in cui troviamo giorno/mese/anno ed una in cui troviamo scritto consumare preferibilmente entro. 

Allo stesso modo è molto diverso consumare un uovo scaduto piuttosto che della pasta o del riso. 

Livello macro: 

è, inoltre, estremamente importante che il tema dello spreco alimentare e più in generale dell’educazione alimentare venga introdotto all’interno delle scuole in modo da educare tutte e tutti fin da piccoli ad un utilizzo corretto del cibo. 

Il mondo spreca oltre 1 miliardo di pasti al giorno – ONU Italia (unric.org) 

Lo spreco alimentare è una questione etica, sociale, economica e ambientale – ASviS – Ansa.it 

 

L’edizione 2024-2025 del portale è supportata dal progetto “AGIRE”, finanziato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Comitato interministeriale per la programmazione economica – CUP C29I23001120001