Violenza domestica: cos’è e come riconoscerla – #discriminazioniquotidiane

Discriminazioni quotidiane. Una nuova rubrica dedicata alle questioni di genere per i più grandi, pensata per riflettere insieme sulle situazioni nelle quali le bambine, le ragazze e le donne sono sottoposte a comportamenti discriminatori. Cercheremo di capire come riconoscerli e come contrastarli.

“Nel 2019 in Italia, secondo un report diffuso dalla Polizia di Stato, 88 donne al giorno ne sono state vittime, per una media di una donna ogni quindici minuti.

“Senza di me tu non sei niente” oppure “Se esci con le tue amiche senza di me, non mi ami abbastanza” sono alcuni esempi di minacce verbali tipiche della violenza domestica, che viene definita come ogni tipo di violenza fisica, psichica, sessuale ed economica all’interno di una relazione affettiva attuale o passata. È definita domestica proprio perché si svolge dentro le mura di casa, dove l’aggressore, nella maggior parte dei casi uomo, può agire protetto da sguardi indiscreti. Nel 2019 in Italia, secondo un report diffuso dalla Polizia di Stato, 88 donne al giorno ne sono state vittime, per una media di una donna ogni quindici minuti. I dati del 2020 ci dicono che la situazione è peggiorata: tra i mesi di marzo e giugno le chiamate al 1522, numero verde di emergenza per le vittime di violenza, sono più che raddoppiate rispetto all’anno precedente.

 

Quali sono i comportamenti ricorrenti tipici della violenza domestica?

Non solo le aggressioni fisiche o verbali possono essere ricondotte a questo fenomeno, ma anche alcuni comportamenti che a prima vista possono sembrare innocui. Tra questi la tendenza a controllare i movimenti e le azioni della propria vittima, a vietarle di incontrare altre persone (“Non voglio che esci con le tue amiche”), ad umiliarla davanti alla famiglia e ai figli, se presenti.

 

A chi ci si può rivolgere se si è vittime o si assiste ad una violenza?

Quando ci si trova in una situazione di questo tipo è possibile rivolgersi ai CAV, Centri Anti Violenza, che sono strutture, presenti su gran parte del territorio nazionale, nate per supportare ed accogliere gratuitamente le donne vittime di violenza. Le operatrici che vi lavorano o offrono il proprio tempo a titolo gratuito sono psicologhe, avvocate, assistenti sociali e volontarie formate. Queste figure forniscono assistenza legale e psicologica sia alle donne sia, se necessario, ai minori e supportano la vittima nell’eventuale ricerca di un lavoro e di una nuova autonomia abitativa.

Tutti i CAV possono essere contattati tramite il numero verde di emergenza 1522.

Silvia D’Ambrosio

Fonti:

Osservatorio Diritti https://www.osservatoriodiritti.it/2019/11/25/violenza-sulle-donne-2019-giornata-contro-la-violenza-dati-istat/

Il Sole 24 Ore https://www.infodata.ilsole24ore.com/2020/08/26/violenza-domestica-lockdown/?refresh_ce=1

Filo Rosa Auser – Centro Antiviolenza https://www.instagram.com/filorosaauser/

Oltre gli stereotipi: sesso e genere

Nel linguaggio comune le parole “sesso” e “genere” sono spesso utilizzate come sinonimi, ma indicano in realtà due concetti molto diversi tra loro.

Il sesso è “il complesso dei caratteri anatomici, morfologici, fisiologici (e negli organismi umani anche psicologici) che determinano e distinguono tra gli individui di una stessa specie, animale o vegetale, i maschi dalle femmine e viceversa” (Treccani). Il sesso fa dunque riferimento alle caratteristiche biologiche di un individuo alla sua nascita.

Il genere è invece un costrutto sociale, assegnato arbitrariamente alle differenze di sesso. Sono le diverse culture a definire quali caratteristiche siano femminili e quali invece maschili. Il genere non è quindi una distinzione naturale, ma culturale ed è pertanto appreso e non innato. Il concetto di genere è stato introdotto negli anni ‘60 da due medici statunitensi (R. Stoller e J. Money del Johns Hopkins Hospital di Baltimora) che si occupavano di determinare chirurgicamente il sesso di individui anatomicamente ermafroditi. Nella fase di scelta prendevano in considerazione sia le richieste dei genitori, sia i ruoli sociali che i pazienti erano abituati a svolgere [1].

All’interno delle scienze sociali, che sono l’insieme delle discipline che studiano l’essere umano e la società, sono gli studi di genere o gender studies ad occuparsi dello studio dei significati socio-culturali della sessualità e dell’identità di genere.

Per comprendere meglio la distinzione tra sesso e genere, è utile a questo punto fare alcuni esempi di caratteristiche legate ai concetti di mascolinità e femminilità non presenti in tutte le culture.

La gonna, indumento per noi simbolo di femminilità, è utilizzata nelle Fiji sia da uomini che donne. La gonna prende qui nome di Sulu ed originariamente indicava coloro che si erano convertiti al cristianesimo. La sua comodità, in un Paese dal clima caldo e torrido, ha permesso una sua capillare adozione da parte di tutti gli abitanti delle isole.

Non tutte le culture distinguono due generi. In India, per esempio, sono riconosciuti 4 generi. Oltre a quello maschile e femminile, esistono le Hijra, uomini che diventano femmine con pratiche chirurgiche in un rituale di iniziazione, ed i Sadhin, donne che rinunciano al matrimonio e si vestono e comportano come uomini. Questi due generi sono riconosciuti e legittimati non solo nei miti e nei rituali dell’induismo, ma anche nell’organizzazione del sistema sociale [2].

Perchè è importante conoscere la distinzione tra sesso e genere?

Per non alimentare gli squilibri storici e strutturali esistenti tra uomo e donna, che trovano massima espressione negli stereotipi di genere.

Per non considerare sbagliato ciò che ci appare diverso, non “naturale”.

Per difendere la libertà di scegliere chi essere realmente

[1] https://www.treccani.it/enciclopedia/genere/

[2] https://www.rivistadiscienzesociali.it/etnografie-sulle-variazioni-di-genere-omosessualita-transessualismo-e-transgenderismo/ 

 

Stefania Ferrua

BENVENUTI NEL BOOK CLUB!

La nuova rubrica letteraria di Agente

Sicuramente molti di voi lo sapevano già, ma se c’è una cosa che tanti altri hanno imparato durante tanti mesi in casa è che poche cose aiutano a passare il tempo come un buon libro. Perché non leggerne uno insieme?

La prima lettura scelta dal club del libro di Agente è il primo volume di Storie della Buonanotte per Bambine Ribelli, di Elena Favilli e Francesca Cavallo, disponibile anche in inglese. Si tratta di una raccolta di biografie di grandi donne della storia le cui avventure, riassunte di una pagina ed affiancate da un ritratto illustrato, possono raccontare storie che, ancora oggi, possono sembrare incredibili. Tuttavia, qualcosa su cui potremmo riflettere è che a renderle ancora più stupefacenti ai nostri occhi è il fatto che le protagoniste siano delle donne. Ma perché?

A causa di convinzioni (errate) sulle capacità femminili o a causa della consapevolezza dei maggiori ostacoli che le donne hanno incontrato nella storia ed incontrano ancora oggi, anche nell’essere riconosciute dalla Storia, dovendo pensare a grandi figure di molti ambiti di lavoro e ricerca, penseremmo soprattutto a nomi di uomini. Questo crea un vuoto nei cosiddetti modelli di ruolo, che dovrebbero guidarci, fin da piccoli, nel raggiungimento di obiettivi nella vita in generale e nei nostri ambiti di interesse. Obiettare che tutte e tutti sanno chi sia Marie Curie non è più sufficiente. Se un nostro amico fosse molto interessato a diventare un grande musicista, nonostante grandi difficoltà, potremmo parlargli di Beethoven, grande compositore anche dopo la comparsa di una disabilità uditiva. E se invece di trattasse di una nostra amica?

La prima biografia che leggeremo fa proprio al caso nostro e la trovate a pagina 148

Chi era Miriam Makeba?

Miriam Makeba, conosciuta come Mama Africa, fu una cantante sudafricana a partire dagli anni ’50. Cantava di tematiche importanti, come l’apartheid e divenne una portavoce dell’oppressione che la popolazione non bianca subiva nel suo Paese. Per questo, dopo un tour negli Stati Uniti negli anni ’60, venne esiliata. Continuò la sua carriera di cantante e collaborò con le Nazioni Unite, vincendo diversi premi. Le fu permesso di ritornare in Sudafrica dopo più di trent’anni, nel 1990, anno della liberazione di Nelson Mandela.

L’obiettivo 5 dell’Agenda 2030 mira all’eliminazione delle disparità di genere. La diffusione di modelli di ruolo positivi che includano figure femminili è fondamentale non solo per sostenere, ma anche per dare vita ai sogni e alle aspirazioni di bambine e donne nel mondo.

Veronica Lacorte

BEST TEAM OF THE MONTH: febbraio 2021!

Care e cari agenti, il primo mese di challenge si è appena concluso e abbiamo i primi vincitori del 2021! Alcuni di voi sono arrivati a un soffio dalla vittoria, ma la sfida è ancora aperta e vi invitiamo a non mollare.

Congratulazioni invece ai team che sono riusciti ad aggiudicarsi il primo posto nelle relative categorie. Scopriamoli insieme!

SCUOLA:

  1. Categoria 5-10 anni: Superfuture, di Novara (NO)
  2. Categoria 11-13 anni: A scuola di futuro, di Corciano (PG)
  3. Categoria 14-19 anni: Per un futuro migliore, di Pomigliano d’Arco (NA)

ENTI INFORMALI:

  1. Categoria 5-10 anni: Associazione Sportiva, di Melito Porto San Salvo (RC)
  2. Categoria 11-13 anni: Un futuro per chi sa sorridere, di Novara (NO)
  3. Categoria 14-19 anni: Uniti Verso la Meta (UVM), di Pinerolo (TO)

Potete consultare la classifica definitiva sul portale, attraverso la pagina personale del vostro team.

Ancora congratulazioni ai team che hanno raggiunto la vetta per questo mese, e un grande in bocca al lupo a tutti gli altri che riusciranno a farlo nelle prossime settimane.

 

Il 2021 è l’anno internazionale per l’eliminazione del Lavoro Minorile

Il 2025 è l’anno prefissato dai Sustainable Development Goals (SDGs) dell’Agenda 2030 per il raggiungimento dell’obiettivo 8.7 : eliminare e proibire il lavoro minorile in tutte le sue forme, compreso il reclutamento e l’impiego dei bambini soldato. I lievi progressi compiuti finora non sono sufficienti e rischiano di essere messi in discussione dalla crisi sanitaria e socio-economica scatenata dalla pandemia COVID-19. Il 2025 si avvicina e per assicurare l’accelerazione necessaria l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL), in collaborazione con l’organizzazione Alliance 8.7, ha lanciato ufficialmente il 2021 come “International Year for the elimination of Child Labour. 

 

Il lavoro minorile

Che cos’è il lavoro minorile? 

A livello internazionale, il lavoro minorile è definito come il lavoro svolto dai bambini tra i 5 e 17 anni, che li obbliga a molte ore di lavoro o che mette a rischio la loro salute, privandoldel loro diritto all’infanzia. 

Quali sono le cause del lavoro minorile? 

Il lavoro minorile nasce spesso per necessità a causa delle drammatiche condizioni socio-economiche delle loro famiglie. I bambini sono costretti al lavoro per sopravvivere.  Ma avviene anche che il lavoro minorile sia invece causato da pratiche “ben intenzionate”, da tradizioni culturali o volontà familiari, come seguire i percorsi lavorativi dei genitori fin da bambini, o come l’idea che lavorare già da bambini aiuti nello sviluppo delle skills personali. 

Cosa provoca il lavoro minorile? 

Il lavoro minorile danneggia lo sviluppo dei bambini con lavori pericolosi che mettono a rischio sia la loro salute fisica che mentale. I bambini sono spesso costretti ad abbandonare il loro percorso scolastico e ad allontanarsi dalle loro famiglie e dai loro amici, mettendo così a rischio il loro futuro. Inoltre il lavoro minorile in alcuni casi sfocia in gravi forme di schiavitù. 

 

I numeri

I numeri dell’Organizzazione Mondiale del Lavoro sono drammatici. Sono circa 152 milioni nel 2016 i bambini ancora condannati al lavoro minorile nel mondoUn bambino su dieci. I progressi fatti nel nuovo millennio, nel 2000 erano circa 246 milioni (-38%), non però sono sufficienti. Osserviamo inoltre ancora enormi squilibri tra paesi: quasi la metà del lavoro minorile avviene in Africa (72 milioni di bambini), seguita da Asia e Pacifico (62 milioni). Circa la metà, 72.5 milioni di bambini, praticano lavori pericolosi e in condizioni che sono considerate dannose per la loro salute e la loro vita. Un bambino su dieci, viene sfruttato nell’agricoltura, altri settori sono l’allevamento e l’industria. La metà dei bambini è troppo giovane per lavorare e un terzo dei bambini coinvolti è fuori dal sistema educativo e quelli che lo frequentano hanno prestazioni scadenti. 

 

Il piano 

L’obiettivo dell’iniziativa, decisa già nel 2019 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite con una votazione all’unanimità, è tanto la sensibilizzazione dell’opinione pubblica quanto quello di incoraggiare reali politiche attive volte a sradicare la piaga del lavoro minorile in tutto il mondo. Questo importante traguardo necessita della partecipazione non solo dei governi ma anche della società civile, degli stakeholders e di tutti i cittadini del mondo. Presso il sito ufficiale dell’iniziativa infatti è possibile proporre progetti (Action Pledges), da intraprendere entro il 2021, per contribuire a mettere fine al lavoro minorile. L’iniziativa sarà poi seguita nel 2022 dalla quinta edizione della Conferenza Globale sul Lavoro Minorile che si terrà in Sudafrica.  

 

“There is no place for child labour in society. It robs children of their future”. 

“Non c’è posto per il lavoro minorile nella società. Ruba i bambini del loro futuro”, queste le parole del direttore generale dell’Organizzazione Internazionale del LavoroGuy Ryder. Speriamo che si riesca, attraverso uno sforzo globale, a realizzare questa promessa sconfiggendo quanto prima l’orrenda piaga del lavoro minorile in tutto il mondo. 

 

Simone Gennari

Sai di cosa è fatto il tuo cellulare?

Il nostro smartphone, come la maggior parte dei dispositivi elettronici che usiamo quotidianamente, contiene al suo interno dei materiali come il coltan, lo stagno e il tungsteno la cui origine è alquanto problematica. Sono definiti “minerali dei conflitti” o “insanguinati” ossia minerali estratti sotto il controllo di bande armate e organizzazioni criminali che sfruttano le popolazioni locali e le pongono in condizioni di schiavitù per finanziarsi con il loro commercio.

Si trovano principalmente nel continente africano, in particolare nella Repubblica Democratica del Congo, in Zimbabwe e nella Repubblica Centrafricana.

Questi minerali vengono estratti senza il minimo rispetto dei diritti umani, ambientali e sociali: le estrazioni hanno comportato l’espropriazione dalle proprie terre e abitazioni della popolazione locale, gli introiti delle attività hanno finanziato la guerra civile e gli impatti ambientali sono stati devastanti.

Espropriazione delle terre

Coloro che espropriano le comunità dalle loro terre sono le multinazionali straniere con il lasciapassare dei governi corrotti che lucrano sulla povera gente. Le popolazioni locali, infatti, dal momento che non hanno più la terra che permetteva loro sussistenza, sono costretti a vendersi come manodopera sottopagata all’interno delle miniere. Si tratta di luoghi angusti, senz’aria e con un alto rischio di frane in cui molte persone ma soprattutto bambini perdono la vita (diversi rapporti Onu parlano di 11 milioni di morti). I bambini vengono sfruttati in queste attività perché hanno una piccola statura e quindi si calano facilmente nelle strettissime buche. È facile capire come lo sfruttamento del lavoro minorile abbia gravi ripercussioni sociali in termini di elevati tassi di analfabetismo e povertà.

Impatti ambientali

Gli impatti ambientali sono devastanti. Nel momento in cui viene scoperta la presenza di minerali sottoterra, tutto ciò che si trova al di sopra viene distrutto: alberi, campi coltivati, foreste ancestrali… tutto viene raso al suolo per lasciare spazio a luoghi di sfruttamento e di dolore. Ecco che quindi, l’insicurezza alimentare cresce sempre di più impoverendo persone che prima di ciò avevano una vita dignitosa.

Guerre civili

Per quanto riguarda le guerre africane, esse non sono causate da conflitti interetnici, bensì da interessi economici e materiali legati allo sfruttamento della terra e dei suoi ricavi da parte delle multinazionali. Ad esempio, il coltan è molto desiderato in quanto oggi è uno dei componenti fondamentali dei nostri cellulari, perché consente l’ottimizzazione del consumo di energia.

Le possibili soluzioni

Cosa possono fare le aziende

Le aziende, per evitare quanto appena raccontato, dovrebbero rispettare tre criteri principali: tracciabilità, controllo e certificazioni.

  • Tracciabilità: devono essere in grado di stabilire la provenienza di ciascun materiale impiegato nei loro prodotti.
  • Controllo: devono controllare che quei minerali non siano stati estratti in zone di conflitto e in mano alle milizie armate.
  • Certificazione: l’ideale sarebbe creare un meccanismo di certificazione che favorisca le aziende che non utilizzano materiali “insanguinati”.

Cosa possiamo fare noi

Sicuramente noi, in qualità di consumatori, possiamo dire la nostra e contribuire al cambiamento.

Possiamo riciclare il nostro cellulare!

É bene praticare il “consumo responsabile”: favorendo il riuso e il riciclo dei prodotti elettronici. Ci sono, infatti, tantissime aziende che si occupano di vendere dispositivi elettronici “ricondizionati” ovvero dispositivi che sono stati restituiti al venditore perché presentavano un difetto, solitamente facilmente riparabile quindi, anziché buttarlo via, si può dare loro nuova vita.

I problemi che questo fenomeno causa sono tanti ma il cambiamento parte sempre dal basso quindi il nostro contributo è molto importante!

Valeria Lotti

VIDEO DI APPROFONDIMENTO

Si può ereditare un trauma? 

Gli effetti del trauma intergenerazionale sulle comunità vulnerabili  

Ci portiamo dietro i traumi dei nostri antenati fino a dieci generazioni fa. E ce lo dice uno studio del 1988 di Vivian Rakoff e colleghi. La psichiatra canadese teorizzò per la prima volta il fenomeno del trauma intergenerazionale negli anni Sessanta quando ebbe in cura bambini che presentavano un alto livello di stress psicologico. I suoi pazienti erano figli di sopravvissuti all’Olocausto. Venti anni dopo, le sue ricerche dimostrarono che i nipoti di coloro che avevano esperienza dell’Olocausto avevano una probabilità 300 volte più alta dei loro coetanei senza alcuna esperienza del genocidio di essere in cura psichiatrica. Il vissuto fortemente traumatico era passato dai genitori ai figli, e da questi ai nipoti, con conseguenze drammatiche per la loro salute fisica e mentale a distanza di decenni. Nonostante le comunità ebraiche siano state particolare oggetto di studio in questo campo, il trauma intergenerazionale può affliggere tutti, in particolare, coloro che appartengono a famiglie e comunità vulnerabili perché vittime di catastrofi naturali, della schiavitù, o di qualsiasi altra forma di discriminazione istituzionalizzata 

 

Che cos’è un trauma?  

Il trauma si verifica quando ci troviamo in una situazione percepita come una minaccia per la nostra sicurezza alla quale il cervello, stimolato nelle sue funzioni più primitive, attiva una risposta “Fight or flight” (combatti o scappa, letteralmente). Come spiega Resmaa Menakem, nel suo libro “Le Mani di Mia Madre” sulla schiavitù e le sue conseguenze intergenerazionali, il trauma si annida nel corpo, tanto quanto nella mente: “Quando qualcosa di troppo intenso, troppo veloce o troppo affrettato accade al corpo, il corpo è sopraffatto e questo crea un’esperienza traumatica”. Duplice l’effetto, duplice la conseguenza. Lo stress, infatti, si collega a determinate dinamiche comportamentali e sociali, come l’incapacità di gestire la rabbia o le relazioni, ma anche a deficit nel sistema immunitario. Problemi a controllare i propri impulsi, ricordare aneddoti o essere flessibili mentalmente sono sintomi comuni.  

 

Come si trasmette alle generazioni future?  

Molto spesso, il ricordo della esperienza traumatica passa, ma gli effetti sul proprio comportamento e la percezione della realtà rimangono, tanto da venire internalizzati dalla persona traumatizzata e poi diventare parte integrante del proprio carattere. A questo punto, le esperienze di singoli individui in un contesto familiare o di comunità si sommano a formare una cultura del trauma, determinata da codici sociali ed un linguaggio specifico, la cui causa è però sconosciuta ai membri del gruppo. Così un trauma si passa di generazione in generazione: attraverso gli elementi culturali che si imparano dai propri genitori, nonni, antenati e mentori.  

 

Un esempio per comprendere meglio…  

Due mamme, una afroamericana, Angela ed una bianca, Gabriela, partecipano ad un incontro genitori – insegnanti. Angela fa i complimenti a Gabriela per i buoni voti del figlio, Brian, alla quale questa risponde elogiandolo a sua volta e raccontando nei particolari i suoi successi scolastici. Gabriela, però, ricorda che il figlio di Angela, Malcolm, è il migliore della classe e glielo fa presente. Angela risponde che sì, è vero, però, subito si sofferma sui difetti del figlio, dicendo che non aiuta a casa o è viziato… La risposta di Angela, come spiega la dottoressa e psichiatra Joy DeGruy è, molto probabilmente, causa di un trauma intergenerazionale. Per gli antenati di Angela, schiavi nelle piantagioni americane, era buona norma minimizzare i pregi dei propri figli, se sottolineati da un colone, per mantenerli al sicuro e protetti da eventuali mire dei propri padroni. L’episodio non dimostra che Angela non è orgogliosa di Malcolm, come potrà pensare lui. Anzi, Angela ha una reazione meccanica di autodifesa, alla quale non sa dare una spiegazione, proprio perché è consapevole delle qualità del figlio.  

 

Quali soluzioni?  

Non esiste un trattamento univoco per questo tipo di trauma. Il primo passo è entrare in terapia, sostengono gli esperti nel campo. Non è però abbastanza. Infatti, il trauma generazionale è collettivo: la terapia di alcuni individui non rappresenta che una goccia nel mare per risolvere il problema. Come sottolinea DeGruy, una soluzione a lungo termine deve comprendere un progetto di ampio respiro di giustizia sociale. Alcune comunità saranno sempre più vulnerabili di altre finché la loro oppressione viene perpetuata da istituzioni e sistemi culturali, sociali ed economici, alimentando sofferenze e stress che finiranno per diventare parte del corredo genetico delle (ignare) generazioni future.  

“La risposta al motivo per cui così tanti di noi hanno difficoltà nella vita è perché i nostri antenati hanno trascorso secoli in condizioni inesorabilemente brutali. Generazione dopo generazione, i nostri corpi hanno immagazzinato traumi e un’intensa energia di sopravvivenza, e le hanno trasmesse ai nostri figli e nipoti. La maggior parte di noi ha anche tramandato resilienza e amore, ovviamente. Ma (…) come vediamo con tanti altri esseri umani – la resilienza e l’amore non sono sufficienti per guarire completamente tutti i traumi. Spesso, almeno parte del trauma continua”.  
Resmaa Menakem  

Di Giada Santana 

La settimana verde dell’Unione Europea

La Green Week è la più grande conferenza annuale europea sulle politiche relative ad ambiente e sostenibilità. I partecipanti e le partecipanti a questa iniziativa provengono da settori e mondi differenti, quali politica, industria, ONG, università, media, tutti e tutte riuniti/e al fine di condividere innovazioni e promuovere scambi di idee e best practices.

Quest’anno, la tematica cardine della Green Week sarà la Zero Pollution Ambition, l’ambizione di un mondo in cui le emissioni inquinanti raggiungano quota 0, al fine di assicurare una vita migliore al pianeta Terra e a coloro che lo abitano.

L’inquinamento è ovunque: nell’aria che respiriamo, nell’acqua che beviamo, nella terra che coltiviamo. Non di meno, è la principale causa ambientale di molteplici malattie mentali e fisiche e di morti premature, soprattutto tra bambini/e, persone anziane o con determinate condizioni mediche. Di fatto, l’inquinamento colpisce tutti e tutte ma non allo stesso modo. Le persone che vivono situazioni di svantaggio economico o marginalità sociale sono costrette a vivere vicino a siti contaminati o in aree con un flusso di traffico elevato e ciò le rende più vulnerabili agli effetti degli agenti inquinanti.

L’inquinamento, inoltre, è anche uno dei motivi principali della perdita di biodiversità. Esso, infatti, riduce la capacità degli ecosistemi di “fornire servizi” come il sequestro del carbonio (processo naturale o artificiale mediante il quale l’anidride carbonica viene rimossa dall’atmosfera e mantenuta in forma solida o liquida) e la decontaminazione (neutralizzazione o rimozione di sostanze pericolose, radioattività o germi da un’area, un oggetto o una persona).

Ma l’inquinamento può essere prevenuto

Il piano d’azione dell’UE verso la Zero Pollution Ambition è un’azione chiave del Green Deal europeo programmato per la primavera 2021. Quest’ultimo ambizioso programma cercherà di contribuire in maniera proattiva alla creazione di un ambiente privo di sostanze tossiche in tutta l’UE. Sosterrà, inoltre, la ripresa post-COVID 19 al fine di ricostruire un’economia dell’UE più sostenibile, attraverso la creazione di opportunità di lavoro e la riduzione delle disuguaglianze sociali.

È bene sottolineare che la Green Week analizzerà anche altre importanti iniziative del Green Deal europeo, come le iniziative sul clima e le iniziative nel campo dell’energia, dell’industria, della mobilità, dell’agricoltura, della pesca, della salute e della biodiversità.

Sarà, in conclusione, un’opportunità unica per coinvolgere tutte le parti e i/le cittadini/e interessati/e su come sia possibile ed auspicabile lavorare insieme per trasformare in realtà l’ambizione di un ambiente privo di inquinamento.

Giulia D’alessandro

Un esempio pratico di giustizia sociale: Semanhyia American School

Nella news del 16 febbraio siamo stati introdotti al concetto di Giustizia sociale. Oggi, 20 febbraio, vogliamo celebrare la Giornata Mondiale della Giustizia Sociale con una news che ci riporta ad un esempio pratico di giustizia sociale, un progetto nato nel 2015 in Ghana ed in vita ancora oggi.

 

The Godfreds Foundation

Nel 2015, da idee e sacrifici comuni di un giovane ghanese e di una coppia statunitense, nasce The Godfreds Foundation.
The Godfreds Foundation è una fondazione benefica il cui intento è quello di garantire ai bambini ghanesi provenienti dalle aree rurali della zona del distretto di Berekum l’accesso ad un’istruzione, dal nido fino alle scuole medie, che ponga le basi per un futuro migliore.
L’idea nasce dalla storia stessa del giovane ghanese co-fondatore della Godfreds Foundation, che aveva avuto nella sua vita la fortuna, pur provenendo da un piccolissimo villaggio rurale, Senase, di poter studiare all’estero, ampliare gli orizzonti della sua conoscenza ed accedere poi, in età adulta, a posizioni lavorative degne dei sacrifici fatti durante la vita.
Il sistema scolastico ghanese, purtroppo, dona ancora oggi poca attenzione al futuro dei suoi studenti, risultando così in una popolazione giovane che spesso abbandona gli studi, poiché priva di stimoli.
L’obiettivo della Godfreds Foundation è quello di cooperare con il governo ghanese così da poter arrivare, un giorno, ad un’istruzione pubblica equa e dignitosa, quella che ogni bambino ha il diritto di ricevere e che la Fondazione stessa fornisce ormai da cinque anni presso la Semanhyia American School.

Semanhyia American School (SAS)

La Semanhyia American School (Semanhyia è una parola in Twi, una delle lingue locali ufficiali del Ghana, e significa “Se non ci fossimo incontrati”) è la scuola nata per raggiungere lo scopo della Godfreds Foundation di fornire ai giovani ghanesi un’educazione che formi il futuro del paese.
Nata nel piccolo villaggio rurale di Senase, nel distretto di Berekum, accoglie oggi più di 450 studenti provenienti dalle aree rurali circostanti, ed è stata eletta come prima scuola del distretto e tra le migliori su base nazionale.
La SAS non è solo una scuola, ma molto di più: una realtà nuova agli occhi sia degli insegnanti che degli alunni coinvolti.
Gli insegnanti assunti alla SAS vengono sostenuti dalla scuola per completare il loro percorso universitario e diventare degli educatori qualificati non solo in Ghana ma anche all’estero.
La SAS propone un metodo educativo considerato innovativo in Ghana, dove la base è il rispetto reciproco tra alunni ed insegnanti. Per quanto questo possa sembrare naturale ai nostri occhi, in Ghana non lo è, e per questo la Semanhyia American School è all’avanguardia e non ha intenzione di far si che questo resti un esempio isolato, ma vuole collaborare con il governo ghanese per diffondere un metodo educativo moderno e adatto al mondo in cui viviamo oggi.

 

Un esempio di speranza

Essere oggi un alunno della Semanhyia American School, con i suoi spazi aperti, le sue aule colorate e il magnifico lavoro degli insegnanti alle spalle che combattono per garantire il diritto all’istruzione, significa essere parte di un esempio concreto di giustizia sociale in un luogo dove quest’ultima non sarebbe sempre garantita.
Quello del diritto allo studio è solo uno dei tanti esempi di forme di giustizia sociale che andrebbero protette ogni singolo giorno. Fortunatamente, esempi come questi non ci fanno perdere la speranza in un futuro molto più giusto.

Angela D’ambrosio

 

Per ulteriori informazioni

https://www.godfredsfoundation.org/
https://www.facebook.com/godfredsfoundation

L’acqua: una risorsa in esaurimento

Sentiamo spesso parlare del petrolio e di come questo faccia parte delle risorse esauribili, cioè quelle risorse che richiedendo molto tempo per rigenerarsi sono a rischio esaurimento. Esaurimento dato dall’alto consumo, soprattutto negli ultimi decenni. Tra queste risorse ce n’è una, data spesso per scontata, la cui mancanza invece sta diventando una vera e propria emergenza. 

La risorsa in questione è l’acqua, una risorsa dai mille usi e con cui entriamo in contatto ogni giorno. Può quindi sembrare strano che già oggi nel mondo più di 4 miliardi di persone vivono in condizioni di scarsità d’acqua per almeno un mese all’anno Molti paesi inoltre presentano già criticità e in alcuni casi, come quello dello Yemen, si prevede un esaurimento dell’acqua già nei prossimi anni. 

 

L’aumento dei consumi e soprattutto degli sprechi 

Ma quali sono i motivi di questa scarsità? I motivi sono sicuramente molteplici e vanno dai cambiamenti climatici all’utilizzo umano. I cambiamenti climatici ad esempio incidono in modo notevole sulla disponibilità dell’acqua. Icontinuo aumento delle temperature medie a livello mondiale e la conseguente diminuzione delle precipitazioni causano sempre più frequentemente siccità, cioè la temporanea riduzione delle disponibilità idriche. Questa diminuzione delle precipitazioni impedisce alle falde acquifere di rigenerarsi causando una riduzione della loro disponibilità visto il continuo consumo umano delle stesse. 

Dobbiamo pensare infatti che l’acqua non serve solo per bere o per l’igiene personale ma viene usata in moltissimi settori tra cui l’industria, la produzione di energia e soprattutto la produzione di cibo. L’agricoltura infatti richiede elevate quantità d’acqua per la produzione di frutta e verdura ma principalmente per la produzione di carne. Per produrre 1 kg di carne bovina servono infatti quasi 16.000 litri d’acqua e il continuo aumento nella domanda di carne, dovuto soprattutto al miglioramento delle condizioni di vita e della ricchezza dei paesi in via di sviluppo, renderà questa richiesta sempre più elevata. La crisi è sicuramente accentuata inoltre dall’aumento della popolazione mondiale e quindi dal conseguente aumento del consumo e dell’utilizzo, utilizzo non sempre ottimale. È stato riscontrato infatti un elevato spreco di questa risorsa. Si stima che solo in Europa il 40% dell’acqua consumata venga in realtà sprecato!

 

I rischi della mancanza d’acqua e come contribuire a ridurre gli sprechi  

Abbiamo visto in breve i motivi della riduzione della quantità e purtroppo non sono da sottovalutare le conseguenzeNon solo per i paesi considerati a rischio come quelli desertici, che risentiranno maggiormente di questa scarsità, ma avrà importanti effetti anche in Europa. Cipro, ad esempio, ha già sperimentato gravi episodi di siccità e ha già limitato più volte il consumo domestico di acqua nei momenti di maggiore criticità. La mancanza di acqua inoltre potrà avere gravi conseguenze in futuro anche dal punto di vista economico con il rischio di destabilizzare quelle zone già altamente instabili.  

Cosa possiamo fare noi quindi? Nonostante siano richieste azioni importanti e spesso drastiche da parte degli stati per limitare il più possibile i danni. Noi, nel nostro piccolo, possiamo cercare di contribuire il più possibile. Possiamo ad esempio cercare di ridurre lo spreco d’acqua con piccole accortezze come preferire la doccia al bagno o non lasciando scorrere l’acqua mentre ci laviamo i denti o laviamo i piatti. Anche la scelta e l’uso degli elettrodomestici come lavastoviglie e lavatrici possono contribuire enormemente a diminuire il consumo in famiglia. Basta poco quindi per fare la propria parte e a contribuire alla salvaguardia di questa importante risorsa! 

Vanessa Crivellaro

FONTI 

https://ec.europa.eu/environment/pubs/pdf/factsheets/water_scarcity/it.pdf 

https://ilbolive.unipd.it/it/news/scarsita-acqua-siccita-mondo 

https://www.rinnovabili.it/ambiente/scarsita-acqua-problema-grave-333/