Book Club: L’anello di Re Salomone

La leggenda narra che Re Salomone avesse un anello che gli permetteva di comunicare con gli animali. Da qui il titolo dell’opera del 1949 di Konrad Lorenz, figura singolare, premio Nobel e padre dell’etologia. 

 

Che cos’è l’etologia? 

E’ una particolare branca della zoologia che studia il comportamento degli animali. Gli studi di Lorenz furono fondamentali per aumentare le nostre conoscenze sul fenomeno dellattaccamento dei nuovi nati ai genitori. Egli studiò l’imprinting, meccanismo attraverso il quale fin dalla nascita e dal primo contatto con chi se ne prende cura, gli animali comprendono a quale specie appartengono e come comportarsi. In particolare, sono famosi i suoi studi con gli uccelli, che egli allevava e da cui era considerato come un genitore. Vi sono anche dei video dei volatili (soprattutto taccole e oche) che accorrono in volo al suo richiamo, lo seguono nelle sue passeggiate, durante le sue nuotate e i giri in canoa. 

In L’anello di Re Salomone racconta dei suoi studi e della sua convivenza, a volte difficile, con gli animali. Il primo capitolo si intitola “Quando gli animali combinano guai” e recita: 

“Perché incomincio proprio dal lato più sgradevole della nostra convivenza con gli animali? Perché il nostro amore per loro si misura proprio dai sacrifici cui siamo disposti a sobbarcarci.” 

Nel corso dell’opera descrive fatti curiosi, ad esempio come anziché ingabbiare gli animali avesse barricato la casa per non farli entrare, di come un’oca avesse sottratto la cuccia al cane e come per tenere lontano un uccello a nulla servissero 

“ le grida più selvagge, i più energici movimenti con le braccia. L’unico mezzo intimidatorio di una certa efficacia era un enorme ombrellone rosso scarlatto: simile ad un cavaliere con lancia in resta, mia moglie, l’ombrello chiuso sotto il braccio, piombava sulle oche che avevano ripreso a pascolare sull’aiuola appena seminata e, gettando un grido bellicoso, l’apriva con mossa repentina” 

Quindi racconta di come suo padre, che amava molto gli anatroccoli, vanificasse questi sforzi, lasciandoli entrare per il tè del pomeriggio. Il libro prosegue con altri capitoli affascinanti e divertenti, tra cui “Una cosa che non fa danni: l’acquario”, “Quando gli animali ci fanno ridere” e un’intera sezione di capitoli intitolata “Storie di cani”. 

Mosso da un grande amore e rispetto per gli animali che lo caratterizzerà per tutta la vita, inserisce anche il capitolo dal dall’esaustivo titolo “Non comprate fringuelli!” in cui spiega che 

“è vero che ogni animale costituisce un pezzetto di natura, ma non ogni animale è adatto a rappresentare la natura in casa vostra. Gli animali che non dovete comprare si possono distinguere in due grandi categorie: quelli che non potrebbero vivere con voi, e quelli con i quali voi non potreste vivere” 

 Quest’opera, scritta più di settant’anni fa, può ancora farci riflettere sul nostro rapporto con gli animali e le altre forme di vita del pianeta, sul loro rispetto e la loro salvaguardia. Questi temi sono alla base degli obiettivi 13, 14 e 15 dell’Agenda 2030. Buona lettura! 

Veronica Lacorte

Autismo: scopriamolo insieme

Care/i agenti, avete visto il video di Agente 0011 sulla giornata della consapevolezza dell’autismo il 2 aprile? La Dottoressa Emanuela Mancuso, psicologa clinica, ci aveva raccontato dei tanti falsi miti da sfatare per quanto riguardo l’autismo.  

Riscopriamo assieme cos’è l’autismo e quali sono le miscredenze che spesso lo accompagnano. 

 

Che cos’è l’autismo? 

Il disturbo dello spettro autistico è un disturbo del neuro sviluppo in cui l’esordio avviene nei primi tre anni di vita del bambino. È caratterizzato da un deficit nella comunicazione e nell’interazione sociale, da comportamenti, interessi o attività ristretti e ripetitivi. All’Autismo può accompagnarsi anche un ritardo mentale, in forme lievi, moderate o gravi. 

Esistono anche quadri atipici di Autismo, con sintomi comportamentali meno gravi o variabili, a volte accompagnati da uno sviluppo intellettivo normale, classificato come autismo ad alto funzionamento (fino a qualche tempo fa conosciuta come sindrome di Asperger). 

I dati finora prodotti dalla ricerca attribuiscono le cause dell’insorgenza dell’Autismo a fattori genetici, con un elevato tasso di ereditarietà. Ad oggi non esiste una cura per l’autismo, ma grazie ad interventi mirati si possono ottenere dei miglioramenti sostanziali. I trattamenti attualmente maggiormente accreditati si basano su interventi farmacologici ed educativo-comportamentali. 

I 9 miti da sfatare 

???? L’autismo in un bambino è determinato dallo scarso affetto dei genitori: 

questo mito non trova alcun fondamento in quanto l’autismo è una malattia del neuro sviluppo, con base biologica e con una componente genetica certa.  

???? L’autismo è causato dai materiali pesanti presenti nevaccinicome il mercurio: 

sono state condotte numerose ricerche su questo tema da agenzie internazionali indipendenti e nessuna evidenza sostiene questa ipotesi ancora, purtroppo, in voga in Italia. 

???? Con un intervento psicoanalitico si può curare il bambino autistico: 

Questo assunto, legato all’ipotesi di una causa non biologica dell’autismo, è stato dimostrato completamente errato da molti studi. Purtroppo, è un falso mito duro a morire e sopravvive ancora in alcune nazioni, tra cui l’Italia. 

In realtà, studi scientifici rigorosi dimostrano che un intervento comportamentale intensivo è in grado di migliorare le capacità relazionali, comunicative e di autonomia dei ragazzi autistici, favorendone una migliore qualità di vita, non “guarigione”. 

???? Ai bambini con autismo servono solo interventi medici:

a oggi non esiste un farmaco contro l’autismo. L’ampia gamma dei disturbi associati alla malattia richiede un intervento capace di coinvolgere fortemente la famiglia, la scuola, il territorio. Con l’età adulta occorre inoltre facilitare le esperienze lavorative, di autonomia personale e sociale.  

Alcuni farmaci possono, però, essere utilmente impiegati per contrastare l’iperattività, l’aggressività o le ossessioni, tutti sintomi spesso associati all’autismo. 

???? L’autismo passa con la crescita: 

Un intervento precoce aumenta le probabilità di successo della terapia e, per ogni bambino autistico, permette di raggiungere il proprio massimo potenziale di autonomia e conoscenze, agevolandone così la vita da adulto. In mancanza di terapia o in caso d’intervento tardivo, le possibilità per una vita autonoma si riducono fortemente. 

???? L’autismo è un disturbo molto raro: 

In Italia, si stima 1 bambino su 77 (età 7-9 anni) presenti un disturbo dello spettro autistico con una prevalenza maggiore nei maschi (4,4 volte in più rispetto il genere femminile). 

L’apparente normalità fisica di molte di loro non ne facilita il riconoscimento e può indurre a ritenere queste persone solamente «bizzarre» o socialmente inadeguate. 

???? Un bambino autistico è, in realtà, un genio: 

I bambini autistici possono presentare alcune capacità sorprendenti insieme ad alcuni deficit marcati. Un bambino può leggere formalmente in modo perfetto, ma non capire nulla di ciò che ha letto. I bambini con autismo mostrano una grande variabilità in termini di quoziente intellettivo, ma molti di loro presentano deficit cognitivi evidenti e solo una piccola percentuale ha un QI superiore alla media. 

???? Se il bambino parla, non può essere autistico: 

Il linguaggio è una delle aree spesso compromesse nel bambino autistico, ma a volte è possibile ritrovare una forma di linguaggio evoluta, anche se può risultare limitata nel numero di parole usate, nella correttezza o nella capacità espressiva. 

???? Per aiutare un bambino autistico basta l’amore: 

In realtà, oltre all’amore occorre una competenza tecnica specifica nei programmi di trattamento riabilitativo.  

 

Scuola inclusiva e disturbo dello spettro autistico 

In Italia nel 1923 si inizia a parlare di scuole elementari speciali. In classi differenziate o scuole elementari speciali venivano accolti ragazze/i con disabilità fisica o intellettiva. Solo con la legge n.118 del 1971, viene proclamato il diritto all’integrazione con l’inserimento degli alunni con disabilità all’interno delle classi ordinarie della scuola pubblica. 

Oggi la scuola che accoglie un minore con spettro autistico le/gli fornisce un sostegno adeguato attraverso l’elaborazione di un Piano Educativo Individuale (PEI), con la collaborazione della famiglia, delle figure specializzate di riferimento, un neuropsichiatra infantile, e dei terapisti che lo seguono nelle attività di riabilitazione. Il PEI deve indicare anche tutti le iniziative e gli strumenti utili all’apprendimento, compresi gli strumenti tecnologici e informatici: computer, tecnologie audio e video e software che aiutano lo studente a creare, immagazzinare e scambiare informazioni per imparare. 

 

 

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Sedentarietà e salute: confermato il gap Nord-Sud

I dati del Rapporto intermedio redatto da Svimez, per il progetto di ricerca Uisp sulla sedentarietà, confermano le differenze interne al nostro Paese

Svimez–Associazione per lo Sviluppo dell’Industria nel Mezzogiorno ha diffuso il Rapporto Intermedio della ricerca “Il costo sociale e sanitario della sedentarietà”: la ricerca prevede di generare valore al mondo sportivo attraverso la creazione di una base informativa regionale sulle abitudini sportive degli italiani. Inoltre, essa produrrà risultati e stime quantitative utili per il supporto alle decisioni dei policy maker di ambito sportivo. Per scaricare il rapporto intermedio clicca qui

Il progetto di ricerca, condotto dall’Uisp con Svimez, è stato presentato da Vito Cozzoli, presidente di Sport e Salute che finanzia il progetto, nel corso della tavola rotonda “Sport sociale, ripresa e resilienza”, che ha aperto il XIX Congresso nazionale Uisp. “La ricerca intende indagare le differenze territoriali della pratica sportiva e le conseguenze sugli stili di vita e il relativo costo sociale ed economico sulla collettività – si legge nelle conclusioni al rapporto intermedio – Tali considerazioni forniscono indicazioni su quanta parte di questo gap è legato ad un deficit dal lato dell’offerta (infrastrutture sportive) o della domanda (abitudini socioculturali) consentendo di aumentare la conoscenza specifica del settore e suggerendo indicazioni di policy utili ad incrementare le azioni per la promozione dell’attività fisica e quindi del benessere dei cittadini”.

“L’Italia, nel contesto europeo, si caratterizza per un livello abbastanza alto di attività fisica giornaliera praticata nel tempo libero – scrivono i ricercatori – Secondo dati ISTAT (2019) l’Italia dedica circa 33’ al giorno all’attività fisica (sport e/o passeggiate) posizionandosi al quinto posto della graduatoria, pari merito con l’Austria, dopo Spagna (45’), Finlandia e Lussemburgo (35’). L’attitudine alla pratica sportiva non è omogenea nelle diverse regioni del Paese anche, probabilmente, per una differente disponibilità di strutture organizzate, di servizi e facilities, di personale specializzato. Pesano nella diffusione della pratica sportiva anche le disuguaglianze socioculturali.”.

Il lavoro fin qui svolto ha confermato il gap Nord-Sud facendo emergere le seguenti evidenze rispetto all’anno 2019:

  1. nel Mezzogiorno quasi il 50% degli individui non pratica alcuna attività sportiva (il 30% nel Centro-Nord);
  2. solo il 13% delle persone del  Mezzogiorno pratica sport in modo continuativo (20% nel Centro-Nord);
  3. le abitudini e gli stili di vita in relazione al fumo e al consumo di alcol sono abbastanza simili nelle due ripartizioni del Paese;
  4. l’8,5% degli adulti meridionali è obeso rispetto al 6,5% del Centro-Nord;
  5. quasi un minore su 3 (31,35%) nella fascia tra i 6 e i 17 anni è in sovrappeso nel meridione, rispetto ad un ragazzo su cinque nel Centro-Nord (21%);
  6. la speranza di vita in buona salute dai 65 anni in su per gli adulti meridionali è sempre di 3 anni inferiore rispetto a quella degli adulti centro-settentrionali.

Nello studio delle determinanti della sedentarietà è emersa l’importanza della dinamica della partecipazione al mercato del lavoro. Nelle regioni, soprattutto meridionali, dove è più basso il tasso di attività e/o il tasso di occupazione, aumenta la propensione alla sedentarietà con relativo costo sociale ed economico per la collettività. Le prime evidenze empiriche segnalano anche un importante impatto sulla sedentarietà del numero dei componenti familiari”.

Contenuto editoriale a cura di Uisp

Le migrazioni ai tempi dei cambiamenti climatici

I cambiamenti climatici potrebbero forzare oltre 140 milioni di persone che attualmente vivono nei paesi dell’Africa subsahariana, dell’Asia meridionale e dell’America Latina a migrare entro il 2050. Questo quanto riportato dalla Banca Mondiale nel marzo 2018. Ad oggi, la cifra sembrerebbe superare i 200 milioni. 

Le migrazioni dovute ai cambiamenti climatici, di fatto, sono già in atto da tempo, anche se hanno avuto un impatto mediatico minore rispetto ad altre. Eppure, queste migrazioni potrebbero avere un ruolo fondamentale nei prossimi anni, assumendo una dimensione profondamente internazionale. 

Ma come si stanno preparando gli Stati? Quali sono gli scenari possibili per la Comunità internazionale? 

L’intrinseca correlazione tra la dimensione migratoria e quella climatica/ambientale è ormai sotto gli occhi di tutti e tutte. Nondimeno, alcuni Stati hanno iniziato ad includerla nelle proprie politiche migratorie (es. la Dichiarazione di New York su rifugiati e migranti, 19/09/2016), altri hanno sperimentato che la legislazione internazionale sui diritti umani può imporre agli Stati di astenersi dal rimpatriare gli sfollati sul clima (es. il caso di Ioane Teitiota). Alcuni ritengono che l’approccio migliore sia fornire assistenza alle nazioni più vulnerabili che potrebbero generare un gran numero di rifugiati climatici: la responsabilità collettiva della Comunità internazionale quando gli individui non sono più in grado di avvalersi della protezione del proprio Stato. Atri ancora propongono una revisione puntuale della Convenzione di Ginevra e l’allargamento della protezione internazionale. 

Conseguentemente, il ventaglio di opportunità e ostilità che la Comunità internazionale si trova e si troverà a fronteggiare è quanto mai confuso e pieno di interrogativi. Può darsi che si aprano nuovi spiragli su come debbano essere riconosciuti i migranti climatici. Di certo, non esiste ancora una cornice internazionale sugli sfollati per cause climatiche ma il Comitato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite identifica chiaramente queste persone come un gruppo bisognoso di protezione. 

La risposta al fenomeno delle migrazioni ambientali ovviamente non può essere affidata solo all’ONU, a singoli Stati, ai tribunali. Di fatto, questo fenomeno riguarda tutti e tutte e deve/dovrà essere gestito come un complesso non solo strutturale ma anche sociale. 

A sostegno di questa tesi, Grammenos Mastrojeni, segretario generale aggiunto dell’Unione per il Mediterraneo, lo ha spiegato nella trasmissione Alta sostenibilità a cura dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile: 

“Nel Mediterraneo siamo nell’occhio del ciclone e quello che noi affronteremo sarà la base per le future scelte della comunità internazionale che dovrà far fronte, se non cambiamo rotta molto rapidamente, a fenomeni immensamente maggiori. Lo scioglimento dei ghiacciai dell’Himalaya può mettere in moto 600 milioni di persone; il degrado degli ecosistemi montani mette a rischio imminente circa 913 milioni di abitanti di queste aree a livello mondiale; l’innalzamento del livello dei mari è un rischio che può riguardare da 400 a 600 milioni di persone. Questo significa che dobbiamo prepararci non soltanto a gestire un importante drammatico flusso, ma ad affrontare una ristrutturazione completa della produzione, della fertilità, del commercio e dell’industria”.

 

Per maggiori informazioni sul caso di Ioane Teitiota, segui il link: 

http://www.salvisjuribus.it/il-caso-ioane-teitiota-cambiamenti-climatici-e-rifugiati-ambientali/ 

Ti interessa il tema delle migrazioni ambientali? 

Visita anche: 

https://openmigration.org/analisi/migranti-e-cambiamenti-climatici-chi-migra-perche-e-come-intervenire-per-porvi-rimedio/ 

https://asvis.it/notizie/2-8806/focus-migranti-climatici-il-nodo-giuridico-le-opportunita-e-le-trappole 

 

Giulia D’Alessandro 

Cittadini si nasce?

Ius soli e ius sanguinis: un conflitto ancora non chiarito in Italia 

Dopo diversi anni si è tornati a parlare di IUS SANGUINIS e IUS SOLI. A riportarlo alla luce e stato il neo segretario del PD Enrico Letta, che nel discorso di insediamento all’assemblea nazionale del Partito Democratico ha dichiarato: ”Io sarei molto felice se il governo di Mario Draghi, tutti insieme, senza polemiche, fosse quello in cui dar vita alla normativa dello Ius Soli che voglio qui rilanciare”. 

L’affermazione ha subito innescato un acceso dibattito ed i partiti di destra si sono schierati contro questa proposta. 

 

Ma che cos’è esattamente lo Ius soli? Che cosa lo differenza dallo ius sanguinis? 

Ius soli” è una proposizione latina che significa “diritto del territorio”. Esso permette di ottenere la cittadinanza di uno stato per il solo fatto di essere nati sul territorio, indipendentemente dalla cittadinanza dei propri genitori. Alcuni Paesi adottano questo principio: Stati Uniti d’America, Canada, Brasile, ecc. 

Quindi, se Concetta, figlia di italiani, nasce negli USA, diventa automaticamente americano. 

Il principio dello Ius soli si contrappone a quello dello ius sanguinis (“diritto del sangue), che è molto diffuso in Europa. Secondo questo principio, si ottiene la cittadinanza di uno Stato solamente se i genitori sono già cittadini di quello stato. 

Quindi, Giovanni può diventare cittadino italiano solamente se i suoi genitori sono italiani. 

 

Perché la cittadinanza è così importante? 

L’essere cittadini di uno stato permette di ottenere il pieno riconoscimento dei diritti civili, politici e sociali. Tra questi, la libertà personale, di movimento, di professare la propria religione, di associarsi, di votare, l’uguaglianza di fronte alla legge, ecc.  

Siamo così abituati ad avere questi diritti, che li diamo per scontati, quasi naturali, non accorgendoci che ci sono molte persone che vivono nel nostro Paese e che non hanno il loro pieno riconoscimento. 

 

Cosa succede, dunque, alle persone che sono nate e/o vivono in Italia, ma non hanno genitori italiani? 

Secondo la Legge 91/1992 sulla cittadinanza Italiana, una persona può ottenere la cittadinanza: 

  • dopo 10 anni di residenza legale in Italia; 
  • al raggiungimento del diciottesimo anno di età per i figli di genitori stranieri;
  • sposandosi con un cittadino italiano;
  • dopo essere stati dipendenti pubblici dello Stato per almeno 5 anni 

Nella Legge 91/1992 viene sempre utilizzata la parola “straniero”. Qui è stato deciso di utilizzare invece la parola “persona” per svariati motivi. Si può definire “straniero” un ragazzo di 16 anni, nato e cresciuto in Italia, solamente perché ha genitori che provengono da un altro Paese? 

Di Stefania Ferrua 

 

 

Per approfondimenti, vedi 

https://www.actionaid.it/blog/legge-cittadinanza-contro-razzismo 

https://www.corriere.it/politica/21_marzo_14/salvini-letta-ius-soli-519ddcca-84c0-11eb-bffe-e0da654e6bc0.shtml 

Legge 91/1992 sulla Gazzetta Ufficiale (https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/1992/02/15/092G0162/sg)

Goal 7: Energia pulita, sostenibile e accessibile

L’Obiettivo 7 dell’Agenda 2030 è dedicato all’energia. In particolare, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, si propone attraverso questo Obiettivo di garantire a tutti e tutte l’accesso ad un’energia sostenibile, pulita e accessibile.  

Avere accesso alle fonti di energia è essenziale nella nostra vita quotidiana: per cucinare, per utilizzare i mezzi di trasporto, per l’illuminazione delle nostre case. Ma ciò a cui spesso non pensiamo è che non siamo tutti così fortunati e fortunate da averne a disposizione una quantità sufficiente per soddisfare le nostre esigenze. Nel mondo, una persona su cinque non può fare uso delle moderne fonti di energia e circa tre miliardi di persone ricorrono ancora al legno, al carbone e al concime animale per scaldarsi.  

Sono molte le organizzazioni che, in tutto il mondo, si occupano di trovare soluzioni innovative per portare l’energia nei luoghi dove l’accesso è negato o limitato. Come Liter of Light, un movimento internazionale che si occupa di fornire illuminazione solare nelle case, lungo le strade e nelle attività commerciali utilizzando materiali economici e facili da recuperare. Grazie ad un grande gruppo di volontari e volontarie, Liter of Light insegna alle comunità locali come riutilizzare vecchie bottiglie di plastica e altri semplici materiali di scarto per creare lampadine. Ad oggi l’associazione ha installato più di 300.000 lampadine in quindici paesi e porta la luce solare e le tecnologie innovative in villaggi e comunità sempre nuove.  

La ricerca di idee e materiali innovativi che possano rendere l’accesso all’energia sempre più semplice, economico e accessibile anche alle comunità più povere è essenziale perché l’Obiettivo possa realizzarsi per tutti e tutte. 

Silvia D’Ambrosio 

 Fonte: http://obiettivo2030.it/https://literoflight.org/ 

Parte il Cineforum di Agente!

Ecco il primo film 

Siete amanti del cinema più che dei libri? Niente paura, Agente ha pensato anche a voi! Le opere cinematografiche sono un ottimo modo per conoscere nuove storie, magari anche nuove opere letterarie da cui esse sono tratte e per veicolare messaggi importanti ai più grandi e ai più piccoli. Dopo la rubrica del BookClub, nasce anche uno spazio di Cineforum. 

I primi film che vi proporremo e su cui vorremmo riflettere insieme avranno come tema l’ambiente. Un esempio è La Principessa Mononoke.  

La Principessa Mononoke (????: spoiler!) 

Si tratta di un film d’animazione del 1997, scritto e diretto da Hayao Miyazaki, prodotto dallo Studio Ghibli. Le vicende raccontano la lotta dei guardiani della natura contro gli esseri umani che vogliono sfruttarla fino a distruggerla. La storia si apre con l’arrivo di un enorme cinghiale ferito da un potente e misterioso veleno che lo ha reso un demone assetato di vendetta. Il primo dei protagonisti che conosciamo, Ashitaka, costretto ad uccidere il cinghiale per proteggere il proprio villaggio e che nel farlo resta ferito. La Saggia Madre del villaggio gli comunica che dovrà recarsi nel luogo dal quale è arrivato il demone, per cercare una cura prima che l’infezione colpisca anche lui. 

“Questa è certamente opera di forze malvagie. Forze malvagie che operano in qualche luogo a occidente. Forse il fato vuole che tu vada a vedere cosa accade, con occhi non velati dall’odio.” (Saggia Madre) 

 Ashitaka incontrerà molti personaggi nel corso del suo viaggio, tra cui San, la “ragazza spettro” (da cui il titolo originale del film), cresciuta da una grande Dea-lupa che con lei protegge la foresta dagli altri umani; Eboshi, signora della Città del Ferro, che estraendolo dalle montagne sta devastando tutto il territorio circostante. 

 Dopo una serie di disavventure, inclusa la distruzione della città, la natura comincia a rinascere. Gli umani comprendono che il benessere della natura è fondamentale anche per il loro. 

“Oggi ho capito che la foresta è sacra, e nessuno ha il diritto di profanarla. […]  Noi ricostruiremo questa città, ma sarà una città migliore.” (Eboshi) 

 Nonostante il film risalga a più di vent’anni fa, risulta tristemente attuale e se all’interno dell’opera è l’unione di esseri umani e spiriti sovrannaturali a salvare la natura dalla distruzione, nella nostra realtà siamo solo noi a dover unire le forze e fare del nostro meglio per proteggere l’ambiente e con esso la nostra qualità della vita. 

Gli obiettivi dell’Agenda 2030 mirano anche a questo, attraverso la salvaguardia della terra, dei mari e degli oceani e attraverso la sostenibilità delle nostre scelte dalla produzione, al consumo allo scarto di ciò che utilizziamo. Detto questo, buona visione! 

E se deciderete di guardare il film…non dimenticatevi di farci sapere cosa ne pensate.

Veronica Lacorte 

Popoli Indigeni: Custodi della Terra e dello Sviluppo Sostenibile

I popoli indigeni sono stati definiti come “custodi della terra“, perché vivono da millenni in armonia con la natura nelle zone più ricche di biodiversità del pianeta. 

La Commissione per i Diritti Umani delle Nazioni Unite identifica i #PopoliIndigeni come: 

..comunità, popoli e nazioni indigene sono quelli che, avendo una continuità storica con società precoloniali che si svilupparono sui loro territori prima delle invasioni, si considerano distinti dagli altri settori della società che ora sono predominanti su quei territori, o su parti di loro.” 

Secondo questa definizione, i popoli indigeni riconosciuti dalle Nazioni Unite sono il 5-6% della popolazione mondiale. Sorprendente pensare che l’80% della #biodiversità del pianeta si trovi nelle terre delle popolazioni indigene. La maggioranza vive in Asia e gli altri si distribuiscono tra i continenti, soprattutto in America Latina. In Africa, i gruppi etnici diversi non sono considerati “indigeni” secondo questa formula, perché i governi post-coloniali sono formati da rappresentanti di etnie locali, a differenza di quanto succede ad esempio nelle Americhe. Per questo motivo sono considerati “indigeni” solo piccoli gruppi isolati, come i pigmei o i tuareg. Nel caso Europeo sono considerati indigeni solo i lapponi, che vivono nelle terre subartiche tra Norvegia e Russia. 

I contributi delle popolazioni indigene sono essenziali nella progettazione e implementazione di soluzioni efficaci per preservare gli ecosistemi grazie all’esperienza secolare che hanno dei territori in cui vivono. Per questo motivo, il loro patrimonio di conoscenze tradizionali diventa fondamentale nella lotta al cambiamento climatico, per cui rappresentano simbolo di storica resilienza.  

Nonostante ciò, fino al ventunesimo secolo, le popolazioni indigene erano raramente considerate come protagostini della conservazione ambientale e le loro problematiche sono state raramente prese in considerazione nell’agenda internazionali nei decenni passati. 

Questo iniziò a cambiare nel 2000, quando venne istituita l’International Indigenous Peoples Forum on Climate Change per rafforzare la conoscenza, le tecnologie e gli sforzi delle comunità indigene nel rispondere ai cambiamenti climatici, e per rafforzare il loro coinvolgimento con le Nazioni Unite. Risale successivamente al 2007 la Dichiarazione dei diritti dei popoli indigeni delle Nazioni Unite, la quale “proibisce la discriminazione contro popoli indigeni” e “promuove la loro piena ed effettiva partecipazione in tutte le questioni che li riguardano e il loro diritto a rimanere distinti e di perseguire le proprie visioni di sviluppo economico e sociale”.  

Da allora, i rappresentanti delle popolazioni indigene cercano attivamente un ruolo nel contribuire alla lotta al cambiamento climatico attraverso la loro partecipazione a conferenze ambientali internazionali, attivismo e l’impegno politico a livello locale e nazionale. 

Popoli Indigeni e SDGs 

  • SDG 2: Fame Zero

Il ruolo che le popolazioni indigene stanno giocando nel contribuire alla sicurezza alimentare e alla nutrizione nel mondo è significativo. Come protettori della biodiversità e delle colture autoctone, contribuiscono a rendere i loro ecosistemi resilienti di fronte ai cambiamenti climatici, contribuendo al SDG 2 di #famezero. 

  • SDG 15: Vita sulla Terra

Gli ecosistemi gestiti dalle popolazioni indigene mostrano risultati migliori in termini di sostenibilità; le popolazioni indigene dipendono dalle risorse naturali per il loro sostentamento seguendo tradizioni secolari basate sul rispetto ambiente. Pertanto, la natura viene meglio tutelata nei territori controllati collettivamente dalle popolazioni indigene. 

  • SDG 13: Cambiamenti Climatici

Le popolazioni indigene sono tra le più vulnerabili agli impatti dei cambiamenti climatici in quanto risultato della loro stretta interazione e dipendenza dalla natura. Tuttavia, rispondono ai cambiamenti climatici in modo unico, attingendo alle loro conoscenze tradizionali. I popoli indigeni risultano fondamentali nel mitigare le emissioni di CO2, aiutando il pianeta a continuare a respirare.  

  Tutti gli obiettivi dell’Agenda 2030 sono di grande rilevanza quando pensiamo alle vulnerabilità delle popolazioni indigene, rappresentano circa il 15% delle persone in povertà estrema al mondo e i loro diritti vanno preservati e protetti con un piccolo sforzo da parte di tutte/i. 

  Per ulteriori ricerche sul tema, vi invito a consultare questi siti web: 

  https://www.ifad.org/documents/38714170/41390728/policybrief_indigenous_sdg.pdf/e294b690-b26c-994c-550c-076d15190100. 

    https://www.un.org/development/desa/indigenouspeoples/climate-change.html. 

    https://www.survival.it/su/cambiamenticlimatici. 

    https://www.survival.it/su/amazzonia. 

Allegra Varriale 

La Giornata Mondiale della Salute

Il 7 Aprile del 1948 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) tenne la prima Assemblea Mondiale della Salute, che dal 1950 in poi venne ricordata come Giornata Mondiale della Salute, dando così inizio ad una nuova tradizione.
Ogni anno, il 7 aprile, l’OMS ed i suoi stati membri celebrano questa giornata sostenendo i processi di conoscenza e sensibilizzazione sulla tutela della salute nel mondo e sulle sfide contemporanee.
Ogni Giornata Mondiale della Salute è caratterizzata da un particolare tema, e quello di questo 2021 è “Costruire un mondo più giusto e più sano per tutti”.

Come possiamo dedurre grazie alle conoscenze ormai acquisite sull’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, il tema della Giornata Mondiale della Salute di quest’anno è perfettamente in linea con l’obiettivo, più ampio e generico, dell’Agenda.
Sappiamo infatti, che il risultato finale da voler raggiungere è un mondo più equo e giusto, nel quale si appianino le differenze di ogni tipo, ogni essere umano veda rispettati i propri diritti e riconosciuti i propri meriti.
In particolare, il tema della salute necessita di attenzione e tutela fondamentali per poter raggiungere tutti gli altri obiettivi presenti nell’Agenda.
Con l’avvento della pandemia globale, abbiamo da un lato compreso che esistono ancora troppe differenze nei sistemi sanitari delle diverse parti del mondo, e che alcune popolazioni sono indubbiamente più privilegiate di altre. Dall’altro lato, però, questa tragica situazione ci ha fatto comprendere in modo disarmante e paradossalmente semplice, quanto effettivamente, siamo tutti uguali.

Le diverse patologie esistenti al mondo non vedono etnie, religioni, lingue o colori della pelle. La stessa regola dovrebbe valere per il diritto alla salute, ugualmente esistente per tutti gli esseri umani presenti sulla Terra.
Continuiamo a difenderlo, per contribuire al raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda 2030 e alla costruzione, finalmente, di un mondo più giusto e più sano per tutti!

 

Per ulteriori informazioni visita:

https://www.mutualpass.it/post/1160/1/giornata-mondiale-della-salute-7-aprile-2021-

https://en.wikipedia.org/wiki/World_Health_Day#List_of_World_Health_Days_themes

La filiera del cacao: una storia di sfruttamento

Cari e care Agenti, a chi non piace il cioccolato? Spalmato sul pane, nelle torte, in tavolette da sgranocchiare. Ma da dove viene e in che modo viene prodotto? Il processo che porta il cacao dalla pianta alla nostra tavola è spesso caratterizzato da ingiustizie e sfruttamento.

I paesi che attualmente producono ed esportano più cacao a livello globale sono quattro: Costa d’Avorio, Ghana (che insieme producono quasi il 70% di tutto il cacao consumato nel mondo), Camerun ed Equador. In questi paesi, le grandi aziende che si occupano di trasformare il cacao in prodotti alimentari stringono accordi con i piccoli produttori locali in modo da ottenere un enorme guadagno dalle vendite e lasciarne agli agricoltori solo una minuscola parte. Questa situazione favorisce la diffusione del lavoro minorile nelle piantagioni: i bambini e le bambine che vi lavorano vengono spesso attratti dai proprietari dei terreni con l’inganno, abbandonano la scuola e vengono costretti a svolgere lavori faticosi e pericolosi per meno di un dollaro al giorno. Si stima che questo fenomeno coinvolga almeno due milioni di bambini e bambine solo in Ghana e Costa d’Avorio.

Le grandi aziende che lavorano il cacao per produrre beni famosi, come quelli della Nestlé o la Nutella, sono a conoscenza del fenomeno ma, secondo molte organizzazioni che tutelano i diritti umani, condannano lo sfruttamento minorile a parole ma non si impegnano abbastanza per combatterlo. Nel dicembre 2020 la Nestlé è stata addirittura accusata dalla Corte Suprema degli Stati Uniti di favorire la schiavitù dei bambini impiegati nelle piantagioni della Costa d’Avorio.

Al problema dello sfruttamento, in questi territori, si aggiunge anche un problema ambientale: i piccoli produttori, essendo pagati poco per il loro lavoro, spesso utilizzano prodotti molto dannosi per l’ambiente con l’obiettivo di ottenere la massima produzione possibile. L’impiego di questi prodotti, però, danneggia gravemente gli ecosistemi.

Cosa possiamo fare noi consumatori e consumatrici per combattere lo sfruttamento?

Anche noi possiamo fare la nostra parte stando attenti a ciò che compriamo. Le aziende che producono il cacao senza sfruttamento dell’ambiente e del lavoro sono certificate dal marchio Fairtrade, che ci assicura che ciò che consumiamo provenga da una filiera equa e solidale. I prodotti Fairtrade si trovano facilmente in tutti i grandi supermercati.

Silvia D’Ambrosio

Fonti: https://thevision.com/habitat/lavoro-minorile-cacao/