Le migrazioni ai tempi dei cambiamenti climatici

14 Aprile 2021
I cambiamenti climatici potrebbero forzare oltre 140 milioni di persone che attualmente vivono nei paesi dell’Africa subsahariana, dell’Asia meridionale e dell’America Latina a migrare entro il 2050. Questo quanto riportato dalla Banca Mondiale nel marzo 2018. Ad oggi, la cifra sembrerebbe superare i 200 milioni. 

Le migrazioni dovute ai cambiamenti climatici, di fatto, sono già in atto da tempo, anche se hanno avuto un impatto mediatico minore rispetto ad altre. Eppure, queste migrazioni potrebbero avere un ruolo fondamentale nei prossimi anni, assumendo una dimensione profondamente internazionale. 


Ma come si stanno preparando gli Stati? Quali sono gli scenari possibili per la Comunità internazionale? 


L’intrinseca correlazione tra la dimensione migratoria e quella climatica/ambientale è ormai sotto gli occhi di tutti e tutte. Nondimeno, alcuni Stati hanno iniziato ad includerla nelle proprie politiche migratorie (es. la Dichiarazione di New York su rifugiati e migranti, 19/09/2016), altri hanno sperimentato che la legislazione internazionale sui diritti umani può imporre agli Stati di astenersi dal rimpatriare gli sfollati sul clima (es. il caso di Ioane Teitiota). Alcuni ritengono che l'approccio migliore sia fornire assistenza alle nazioni più vulnerabili che potrebbero generare un gran numero di rifugiati climatici: la responsabilità collettiva della Comunità internazionale quando gli individui non sono più in grado di avvalersi della protezione del proprio Stato. Atri ancora propongono una revisione puntuale della Convenzione di Ginevra e l’allargamento della protezione internazionale. 

Conseguentemente, il ventaglio di opportunità e ostilità che la Comunità internazionale si trova e si troverà a fronteggiare è quanto mai confuso e pieno di interrogativi. Può darsi che si aprano nuovi spiragli su come debbano essere riconosciuti i migranti climatici. Di certo, non esiste ancora una cornice internazionale sugli sfollati per cause climatiche ma il Comitato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite identifica chiaramente queste persone come un gruppo bisognoso di protezione. 

La risposta al fenomeno delle migrazioni ambientali ovviamente non può essere affidata solo all’ONU, a singoli Stati, ai tribunali. Di fatto, questo fenomeno riguarda tutti e tutte e deve/dovrà essere gestito come un complesso non solo strutturale ma anche sociale. 

A sostegno di questa tesi, Grammenos Mastrojeni, segretario generale aggiunto dell'Unione per il Mediterraneo, lo ha spiegato nella trasmissione Alta sostenibilità a cura dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile: 

“Nel Mediterraneo siamo nell’occhio del ciclone e quello che noi affronteremo sarà la base per le future scelte della comunità internazionale che dovrà far fronte, se non cambiamo rotta molto rapidamente, a fenomeni immensamente maggiori. Lo scioglimento dei ghiacciai dell’Himalaya può mettere in moto 600 milioni di persone; il degrado degli ecosistemi montani mette a rischio imminente circa 913 milioni di abitanti di queste aree a livello mondiale; l’innalzamento del livello dei mari è un rischio che può riguardare da 400 a 600 milioni di persone. Questo significa che dobbiamo prepararci non soltanto a gestire un importante drammatico flusso, ma ad affrontare una ristrutturazione completa della produzione, della fertilità, del commercio e dell’industria”.




 

Per maggiori informazioni sul caso di Ioane Teitiota, segui il link: 

http://www.salvisjuribus.it/il-caso-ioane-teitiota-cambiamenti-climatici-e-rifugiati-ambientali/ 

Ti interessa il tema delle migrazioni ambientali? 

Visita anche: 

https://openmigration.org/analisi/migranti-e-cambiamenti-climatici-chi-migra-perche-e-come-intervenire-per-porvi-rimedio/ 

https://asvis.it/notizie/2-8806/focus-migranti-climatici-il-nodo-giuridico-le-opportunita-e-le-trappole 

 

Giulia D’Alessandro 
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