In entrambi i casi i dati disponibili ci raccontano una realtà durissima: sono 736 milioni le persone che nel mondo vivono con meno di 1,90 dollari al giorno, i cosiddetti “poveri estremi”, e ben 1,3 miliardi quelli che vivono la povertà nelle sue svariate dimensioni sopra descritte.
Mentre sta scendendo in tutto il mondo, la povertà estrema aumenta nei Paesi colpiti da conflitti e violenza. Non è un caso quindi se, secondo uno studio recente della Banca mondiale, entro il 2030 fino a due terzi dei poveri estremi potrebbe vivere in Paesi fragili e in stato di conflitto. Ad oggi, infatti, tutti i 43 Paesi del mondo con il più alto tasso di povertà sono in queste condizioni e fortemente concentrati nell’Africa subsahariana.
In Europa certamente la situazione non è così drammatica ma Caritas Europa, nel suo nuovo rapporto sulla povertà e le disuguaglianze, ci racconta che il Vecchio continente deve fare ancora molto per tutelare le fasce più vulnerabili. Tante infatti sono le barriere e gli ostacoli burocratici che queste incontrano nell’accesso a alloggi, istruzione e cura della prima infanzia, occupazione e altri servizi di base. Tra le difficoltà maggiori compaiono la mancanza di informazioni comprensibili, la burocrazia, regole rigorose e requisiti formali, l’assenza di un approccio personalizzato.
In Italia, l’ASviS e il Forum Disuguaglianze e Diversità (Forum DD) hanno presentato una proposta al governo a favore delle categorie più deboli della popolazione per facilitarne l’accesso alle risorse durante questo periodo di crisi dovuta alla pandemia. Nel documento si suggeriscono diverse forme di sostegno al reddito delle famiglie, secondo il principio dell’Agenda 2030 delle Nazioni unite che recita “Nessuno resti indietro”.
A tal proposito l’imperativo che ci arriva dal Goal 1 dell’Agenda2030 è quello di porre fine a ogni forma di povertà nel mondo. Non dimentichiamocelo.
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