Oggi la nostra organizzazione è un punto di riferimento per i programmi di protezione delle Nazioni Unite (UNHCR) rivolti ai rifugiati e richiedenti asilo provenienti in maggioranza da Palestina, Sudan, Siria, Iraq, Eritrea e Somalia.
La Libia è infatti un Paese sia di arrivo che di transito per migranti e rifugiati in fuga dall’Africa sub-sahariana e dal Medio Oriente. Un elemento trasversale a tutti i nostri interventi è il supporto psicosociale per il superamento del trauma vissuto durante il fenomeno migratorio da bambini, donne, adulti liberi o rinchiusi nei centri di detenzione, oppure residenti nei campi profughi.
Oltre che in Libia, interveniamo anche a supporto dei sistemi di accoglienza di Paesi che faticano a gestire i massicci flussi migratori che attraversano i loro confini, come Libano e Uganda. Sappiamo infatti che ben l’86,5% dei 65 milioni di persone in cerca di asilo trova accoglienza in Paesi del Sud del mondo e meno del 10% arriva in Europa. Di questi 57 milioni di persone, 40 milioni trovano rifugio all’interno dei propri confini nazionali (fonte Migrazioni, Ambrosini).
In Libano si stima la presenza di oltre un milione di profughi siriani su una popolazione di 6 milioni di abitanti. I nostri progetti favoriscono l’inclusione socioeconomica delle persone più vulnerabili, con un focus su giovani e donne. Cesvi organizza corsi educativi e di formazione professionale e tecnica, fornisce supporto alle piccole e medie imprese e agevola la creazione di posti di lavoro. Nel fragile contesto libanese, tali attività facilitano la coesione sociale e il dialogo interculturale, contribuendo alla stabilizzazione nelle aree di intervento.
L’Uganda è oggi il terzo Paese al mondo per numero di rifugiati. In un solo anno e mezzo ha visto arrivare dal vicino Sud Sudan 700.000 persone, di cui oltre la metà minori di 18 anni (58%). L’attuale popolazione rifugiata è di quasi un milione e mezzo di persone (UNHCR, marzo 2018). Cesvi opera in collaborazione con UNCHR nel campo profughi di Palabek, nel distretto nord-ugandese di Lamwo, che accoglie circa 32.000 rifugiati sud-sudanesi. Le attività intendono rispondere ai bisogni più immediati di sicurezza alimentare, rafforzare i mezzi di sussistenza della popolazione – riducendo al tempo stesso l’impatto ambientale del campo – e promuovere la coesistenza delle comunità rifugiata e ospitante.
FOTO: Giovvani Diffidenti