Ma com’è possibile che l’incubo raccontato in dozzine e dozzine di film apocalittici possa in realtà rivelarsi un bene?
Il fatto è che, fino alla fine del Settecento, in Australia non esistevano conigli, ma le cose cambiarono nell’ottobre del 1859 quando il colono Thomas Austin liberò in natura 24 conigli selvatici che si era fatto spedire dall’Inghilterra.
L’idea fu disastrosa: in pochi anni i conigli selvatici si riprodussero a dismisura invadendo gli habitat di molti altri animali, soprattutto nelle parte meridionale dell’Australia, dove trovarono condizioni particolarmente favorevoli: cibo in abbondanza, nessun predatore e nessun parassita. Di conseguenza iniziarono a moltiplicarsi molto rapidamente, tanto che si stima che i locali ne cacciassero due milioni l’anno senza che questo avesse un impatto di qualche tipo sulla popolazione globale.
Fino alla seconda metà del XX secolo, le contromisure adottate dal governo si rivelarono inefficaci e i conigli importati dall’Europa causarono enormi danni alla flora e alla fauna del Paese, generando il paradosso che, sebbene in Australia si trovino le specie di serpenti più velenose al mondo, i coccodrilli e il dingo, una sorta di cane lupo selvatico, l’animale più pericoloso per l’intero ecosistema siano dei teneri coniglietti.
Oggi si pensa infatti che i conigli siano la maggiore causa di perdita di specie vegetali nel continente.
Uccidono i giovani alberi nei frutteti e nelle foreste decorticandone la base e sono responsabili dell'erosione del suolo proprio a causa della loro abitudine di cibarsi delle piante appena nate.
I danni prodotti da questa specie invasiva, ormai adattata perfettamente al nuovo habitat, sono incalcolabili. E la situazione continua ad essere talmente grave che, oltre a controlli sempre più severi nell’importazione di animali e piante non autoctone dall’estero, nel 1992 è stata creata una Fondazione per la Liberazione dell’Australia dai Conigli con l’obiettivo di evitare ulteriori danni all'ecosistema e alle popolazioni umane: