É importante in questa situazione di disagio e difficoltà non dimenticarsi delle tante persone che proprio come noi si trovano ad affrontare queste incredibile pandemia, ma in condizioni e difficoltà inimmaginabili per la maggior parte di noi.
É questa la situazione che, tra gli altri, stanno vivendo più di un milione di rifugiati Rohingya che vivono nel campo di Cox’s Bazar. Secondo un recente articolo di Associated Press, le autorità sono molto preoccupate per l’effettiva capacità di evitare il contagio diffuso tra le persone che si trovano confinate all’interno del campo profughi.
A Cox’s Bazar vivono stipate oltre 40mila le persone per km quadrato, in rifugi di fortuna fatti principalmente di plastica e stecche rimediate. La densità all’interno del campo supera di circa 40 volte la densità media del Bangladesh (già di per sè tra le prime dieci al mondo!). Nei piccoli ripari, che spesso non arrivano a 10 metri quadri, vivono fino a 12 persone contemporanemente.
Finora non sono stati riportati casi di contagio nel campo, ma rimane molta preoccupazione perché è evidente che se dovessero emergere sarebbe molto difficile rispettare il distanziamento sociale e contenerne la diffusione.
Per adesso in Bangladesh sono stati riportati un numero di casi piuttosto esiguo (218 casi e 20 decessi, secondo il portale della Johns Hopkins University dedicato al COVID-19), ma tutti gli operatori sono preoccupati di non riuscire gestire un’eventuale emergenza a Cox’s Bazar.
Il governo del Bangladesh ha ordinato, come da noi, il lockdown del paese fino all’11 aprile per i 160 milioni di abitanti del paese (più di 2 volte la popolazione dell’Italia). Anche Cox’s Bazar è stata chiaramente colpita dal provvedimento, rendendo necessario allontanare tutti gli stranieri presenti nel campo (che sono quasi totalmente operatori delle ONG che lavorano con i rifugiati), fatte salve situazioni di assoluta necessità.
Le autorità hanno messo a disposizione una tenda isolata che può ospitare fino a 100 pazienti infetti, e una seconda da 200 posta è in arrivo dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Anche l’UNHCR, l’agenzia Onu per i rifugiati, si è mobilitata insieme all’Organizzazione Mondiale per i Migranti, UNICEF e Save The Children International, pianificando di creare ulteriori 1700 posti per eventuali futuri pazienti. Inoltre è stata distribuita acqua e prodotti per l’igiene, e sono stati formati migliaia di operatori - anche tra la popolazione del campo.
Oltre a questo è stato implementato un vasto programma di comunicazione e informazione per aggiornare e informare gli abitanti tramite la radio, video, poster e volantini in diverse lingue, per dare la possibilità a tutti di comprendere come si diffonde il virus, come le persone si possono proteggere, quali sono i sintomi e cosa si deve fare in caso di contagio.
Tra le altre, una delle limitazioni più gravi individuate dagli operatori è la mancanza di una connessione internet sufficiente a soddisfare i bisogni di tutti. Secondo un gruppo di attivisti che ha scritto una lettera aperta al governo per sistemare il problema, questa situazione minaccia la sicurezza e il benessere sia degli abitanti che degli operatori.
Insomma, chiusi nelle nostre case e presi dalle grandi difficoltà qui in Italia, è importante non dimenticarsi delle milioni di persone che vivono in condizioni disperate, per le quali non resta altro che sperare che il contagio non si diffonda in maniera incontrollata, perchè andrebbe a costituire una catastrofe senza precedenti.