L’aumento della superficie destinata all’allevamento o all’agricoltura è stato ottenuto riducendo la superficie boschiva, sfruttando il suolo oltre le sue potenzialità. Ed oggi la terra fertile è diventata così preziosa che è in atto una vera e propria corsa alla terra, come quella che nell’800 ha scacciato i pellerossa dall’America nord-occidentale.
L’accaparramento di terre, indicato con il nome inglese di “land grabbing”, è guidato da società internazionali che per pochi soldi si garantiscono il controllo di vasti appezzamenti anche per decine di anni, favorite spesso dalla mancanza di un catasto che garantisca il diritto di proprietà ai coltivatori.
Complessivamente, nel 2012 il land grabbing ha interessato 57 milioni di ettari di terreni, pari all’1,2% della superficie agricola di tutto il pianeta, ed ha coinvolto maggiormente quei Paesi in cui l’Indice della Fame (GHI) è peggiore, poiché là i governi nazionali lo favoriscono nella speranza di ottenere opportunità di sviluppo, a volte con conseguenze disastrose. Infatti, in sette Paesi con Indice della fame “grave” o “allarmante”, si è scoperto che in oltre il 70% dei casi la terra veniva sfruttata per produrre biocarburanti e fibre non alimentari, lasciando la popolazione senza cibo e costringendo dunque i piccoli agricoltori a diventare braccianti nelle piantagioni o a migrare verso le città.
Il dato è confermato anche a livello globale: dei 665 investimenti fondiari internazionali di cui si conosce la specifica coltura, il 55% è relativo alla produzione di biocarburanti, il 19% ai prodotti forestali (legname, fibra e fiori) e solo quel che avanza alla produzione alimentare. Ciò, in molti casi, ha finito per aggravare la dipendenza alimentare dal mercato internazionale delle popolazioni più povere.