Il fast fashion è la moda ultraveloce che negli ultimi decenni ha rivoluzionato il modo in cui ci vestiamo, consente di acquistare capi a basso costo e di conseguenza di comprarne molti di più di quanto ne avremmo realmente bisogno. Il fast fashion è caratterizzato da un ciclo incessante di produzione e consumo che spinge le aziende di moda a produrre abiti a ritmi vertiginosi e i consumatori a credere di dover acquistare sempre di più per rimanere al passo con le tendenze.
Come è nato?
Originariamente le industrie di moda producevano 2 collezioni: autunno/inverno e primavera/estate, con l’avvento del fast fashion, invece, la produzione è diventata continua.
Negli anni Novanta, i cicli di tendenza si sono accelerati, marchi come Forever21 e Zara, che hanno iniziato a produrre capi d'abbigliamento fino a 52 "micro-stagioni" all'anno.
Oggi, mentre i social media amplificano le tendenze a ritmi più rapidi, nuovi marchi esclusivamente online come Shein e Temu producono a ritmi ancora più veloci, utilizzando algoritmi sofisticati per immettere sul mercato nuovi stili nel giro di pochi giorni; si parla di moda ultraveloce.
Cosa c’è dietro?
È evidente come questa tipologia di moda non sia sostenibile
Infatti, non solo acquistiamo molto di più che in passato, e di conseguenza sono necessari molti più materiali per produrre i nostri indumenti, ma buttiamo i nostri vestiti in tempi altrettanto brevi, il che crea enormi quantità di rifiuti.
- Ogni anno soltanto nell’Unione Europea vengono gettate via 5 milioni di tonnellate di vestiti e calzature (circa 12 chili per persona) e l’80% di questi finisce in inceneritori, discariche o nel sud del mondo. Per rendere l’idea, ogni secondo nel mondo un camion di indumenti viene bruciato o mandato in discarica.
- Il 25% dei capi di abbigliamento prodotti in tutto il mondo rimane invenduto e meno dell’1% dei vecchi abiti viene usato per produrre nuovi vestiti.
Inoltre, i lavoratori di tutto il mondo (l'80% dei quali sono donne) sono pagati con un sistema a cottimo che comporta salari estremamente bassi. I lavoratori guadagnano una cifra molto bassa per ogni articolo prodotto, per un totale di 200 dollari a settimana per un lavoro a tempo pieno. In Bangladesh, il secondo esportatore di indumenti al mondo, i lavoratori, addirittura, ricevono un salario minimo mensile di 113 dollari al mese.
La retribuzione non è l’unico problema, infatti spesso queste persone sono costrette a lavorare in totale insicurezza.
Cosa possiamo fare e quali sono delle possibili soluzioni al fast fashion?
A livello legislativo negli ultimi anni, ma soprattutto dal 2020, sono stati introdotti alcuni importanti atti legislativi con l’obiettivo di rendere illegale il lavoro a cottimo e l’obbligo per i marchi di tracciare la propria catena di approvvigionamento.
È importante ricordare che anche noi come consumatori possiamo cambiare le cose, per prima cosa è fondamentale informarsi ed essere consapevole durante i nostri acquisti, per approfondire il tema vi lasciamo sotto alcuni link utili, tra cui un video realizzato da ActionAid in collaborazione con Giuseppe Bedan (progetto happiness).
È poi fondamentale cercare di uscire dalla logica che ci è stata imposta dal fast fashion e cercare di orientarci, invece, verso uno slow fashion, ovvero scegliere di acquistare meno capi e di maggiore qualità in modo da poterne godere nel tempo.
Un’altra alternativa, economica e sostenibile è quella di acquistare capi second hand.
Per approfondire (tema diritti dei lavoratori):
MADE IN BANGLADESH - la storia dei bambini operai nel Fast Fashion🇧🇩 (youtube.com)
Fast fashion: i lati oscuri della moda usa e getta - Greenpeace Italia
What Is Fast Fashion | Vogue
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