Il lavoro di Cesvi in Etiopia

L’Etiopia è forse il paese africano con la concentrazione più alta di rifugiati, il numero totale supera infatti gli 880.000. La maggior parte proviene dal Sud Sudan, dalla Somalia, dal Sudan e dall’Eritrea. Cesvi, presente nel Paese dal 2018, ha focalizzato il proprio lavoro sul supporto dei rifugiati eritrei (170.000) presenti nei campi di Shimelba e Hitsats. L’associazione ricopre un ruolo di coordinamento e di formazione dello staff, garantendo anche la visibilità del progetto nei confronti del pubblico italiano attraverso missioni in supporto di Helvetas,, ONG svizzera partner di progetto.

Il campo di Shimelba, fondato nel 2001, ha una popolazione composta da circa 6.000 persone, molte delle quali di etnia Kunama, un piccolo gruppo etnico eritreo che è solito migrare insieme alla famiglia e al bestiame. Qui i problemi maggiori, che riguardano il degrado ambientale dovuto alla domanda di legna da ardere e al pascolo del bestiame, provocano tensioni con la vicina comunità residente.

Hitsats è invece un campo giovane, aperto solo 5 anni fa, in cui 10.000 abitanti sono per lo più rappresentati da minori e minori non accompagnati che si fermano solo per brevi periodi prima di proseguire il viaggio verso l’Europa. Situato in un’area remota e secca, Hitsats ha come principale problema la mancanza di acqua: diverse organizzazioni stimano la disponibilità attuale in circa 8 litri per persona al giorno, contro il minimo raccomandato di 20 litri. In entrambi i campi vi è carenza di latrine familiari: le conseguenti scarse condizioni igienico-sanitarie hanno condotto al proliferare di casi di diarrea e malaria. Il progetto mira quindi a rafforzare i servizi nei settori WASH, sussistenza ed energia/ambiente, proponendo attività di costruzione di pozzi e di raccolta dell’acqua piovana, rafforzamento dei centri di formazione in energie rinnovabili ed efficienza energetica, produzione e diffusione di strumenti ad alta efficienza energetica e sostenibili.

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Facciamo luce sui diritti umani

Lo scorso 25 Novembre si è celebrata la Giornata Mondiale contro la violenza sulle Donne, una ricorrenza importante per dire no alla violenza di genere che ancora oggi annovera numeri impressionanti. Contestualmente, lo stesso giorno, è ufficialmente iniziata la campagna “16 Days Of Activism”, una maratona di 16 giorni contro la violenza di genere che si concluderà in occasione della Giornata dei Diritti Umani, il 10 dicembre, che quest’anno celebra anche il 70esimo anniversario dell’approvazione della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (1948).

16 giorni di Attivismo durante i quali tutti noi siamo chiamati in prima persona a prendere un ruolo attivo nel dire basta a ogni forma di violenza contro le donne e le ragazze. ActionAid ha sviluppato la campagna con diverse proposte di attivazione, sviluppate con la preziosa collaborazione del gruppo dei giovani attivisti Cha(i)nge. La prima proposta di attivazione prevede la mobilitazione del territorio, che attraverso semplici compiti può centrare il fondamentale obiettivo di diffondere la campagna capillarmente su tutti i territori. In questo senso “Un filo rosso contro la violenza di genere” è un’iniziativa che si propone di portare consapevolezza sul tema dei soprusi ai danni delle donne attraverso un’installazione realizzata con un filo rosso di 150 metri, che rappresenta simbolicamente il numero medio delle vittime di femminicidio in Italia ogni anno. L’iniziativa ha avuto molto seguito, colorando le piazze e le via di molte città italiane e portando all’attenzione collettiva un messaggio coinvolgente su questo preoccupante fenomeno culturale.

L’attivazione non si ferma nelle piazze e nelle strade delle nostre città, ma per essere davvero effettiva deve raggiungere anche le piazze virtuali dei social: nasce così l’idea di “Liber* dalla violenza: let’s get social!”, una proposta di attivazione online per diffondere le storie delle vittime e di chi si batte contro la violenza e ogni tipo di sopruso. 16 storie per 16 giorni, condivise come post o storie su instagram corredate dall’hashtag #16daysofactivism hanno il compito di fungere da megafono per tutte quelle persone che non riescono a far sentire la propria voce.

I 16 giorni di attivismo si concluderanno – ma solo come campagna, perché l’attivazione non termina qui! – il 10 dicembre quando ActionAid, insieme ad Amnesty International, Caritas, Emergency e Oxfam, scenderanno nelle piazze di tutta Italia per “Diritti a Testa Alta”, una fiaccolata per portare luce sul tema dei Diritti Umani, che oggi a 70 anni dal loro riconoscimento ancora non trovano rispetto e riconoscimento universale.

Tante iniziative insomma, perché l’attenzione verso il tema della violenza di genere trovi la più ampia diffusione possibile e tutti insieme si lotti per debellarlo.

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Giornata internazionale per i diritti dei migranti: la storia di Cima

Il 18 dicembre è la Giornata intenzionale per i diritti dei migranti, istituita nel 2000 dalle Nazioni Unite per l’anniversario della Convenzione Internazionale che tutela i lavoratori migranti.

Cesvi è impegnato sul fronte migrazione nei paesi di origine, transito e destinazione, adottando un approccio olistico che comprende sia interventi di risposta all’emergenza che progetti di integrazione. In Italia lavoriamo per l’integrazione dei Minori Stranieri Non Accompagnati (MSNA) con percorsi di formazione e inserimento lavorativo e abitativo. Grazie a collaborazioni con le aziende del territorio, i giovani beneficiari possono entrare in contatto con il mondo del lavoro. Dall’agricoltura sostenibile alla ristorazione, passando per l’hospitality e l’impiantistica elettrica, i ragazzi sperimentano una professione e cominciano a muovere i primi passi verso l’indipendenza.

Cima è tra i giovani beneficiari in Sicilia del progetto Integrazione è Futuro, promosso da Cesvi e finanziato da Fondazione Prosolidar per favorire linclusione sociale e l’occupazione per i Minori Stranieri Non Accompagnati (MSNA) e neomaggiorenni.

Cima, 18 anni appena compiuti, è un ragazzo pieno di talento proveniente dalla Nigeria. La sua storia di migrazione inizia nella primavera del 2017, quando decide di lasciare la Nigeria per cercare fortuna in Libia. “La mia famiglia era in ginocchio a causa dei problemi economici” – dice – “Oltre a me, i miei genitori dovevano sfamare anche tre fratelli e una sorella”. Ho informato mia madre dell’intenzione di partire: non era felice, aveva molta paura, ma ha accettato la mia scelta.”Il viaggio di Cima dura tre mesi. In Libia vive l’esperienza più brutta: “In quel Paese non si poteva rimanere, le condizioni di vita erano inumane. Ma non ho mai pensato di tornare indietro. Mi sono detto: coraggio, bisogna andare avanti!”.

Un anno e mezzo fa, Cima riesce a raggiungere la costa italiana e da circa un mese è impegnato in un tirocinio formativo presso l’azienda agricola di Roberto Li Calzi: “Amo coinvolgere nel mio lavoro ragazzi che hanno storie e origini diverse: per questo ho aderito al progetto di Cesvi accogliendo due tirocinanti e ospito campi di volontariato da tutto il mondo” – racconta Roberto – “Abbiamo pochi soldi ma un capitale di relazioni umane. L’attività sta andando molto bene perché la gente vede che lavoriamo in modo etico e trasparente, e si fida di noi. A volte sembra che le situazioni siano complicate, ma in fondo basta affrontarle di petto: ognuno è chiamato a dare il meglio che può”.

È quello che cerca di fare Cima, che sta imparando le diverse fasi del lavoro nei campi e oggi è impegnato a zappare per l’impianto dei tubi d’irrigazione. A chi gli fa notare che è un lavoro pesante, lui risponde: “Non ci sono cose facili nella vita. Se vuoi raggiungere un risultato, devi metterci passione, impegno, determinazione”.

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Foto di: Emanuela Colombo

Integrazione e sanità

Secondo il report Cesvi/ISPI 2018 “Migranti, la sfida per l’integrazione”, è possibile riscontrare una serie di mancanze per l’integrazione anche nei servizi sanitari offerti dallo Stato Italiano. L’Italia garantisce il diritto alla salute dell’individuo come principio costituzionale (articolo 32), ripreso anche nel testo unico sull’immigrazione (D.Lgs. 286/1998, art. 34). L’articolo 35 del testo unico sull’immigrazione prevede inoltre che anche ai cittadini stranieri presenti irregolarmente sul territorio italiano “sono assicurate […] le cure ambulatoriali ed ospedaliere urgenti o comunque essenziali, ancorché continuative, per malattia ed infortunio e sono estesi i programmi di medicina preventiva a salvaguardia della salute individuale e collettiva”.

Nonostante sia la costituzione che la legislazione garantiscano agli stranieri, sia regolari che irregolari, cure mediche secondo il report segnala che gli stranieri se ne avvalgono in misura minore rispetto ai cittadini italiani per una serie di problematiche. Nello specifico, tratteremo delle problematiche riscontrate dagli stranieri giunta in Italia dal mare. Secondo il report: “ Le tappe del loro percorso migratorio – e in particolare il passaggio dalla Libia – li espongono a un numero di rischi sanitari maggiori, soprattutto dal punto di vista psicologico.” Secondo Medici per i diritti umani (Medu 2017): “ tra il 2014 e il 2017 l’85% dei migranti provenienti dalla Libia è stata vittima di torture e trattamenti inumani, includendo tra questi la detenzione in luoghi sovraffollati e sporchi, la privazione di beni basilari per sopravvivere, violenze, ustioni,
scariche elettriche.”
La maggior parte dei migranti assistiti da Medu “per la riabilitazione delle vittime di violenza e tortura” soffre infatti di disturbo da stress post traumatico (Ptsd), disturbi di depressione e disturbi d’ansia (Fig. 2.16).

Di conseguenza, è molto comune che questi disturbi possano ostacolare il percorso di integrazione. Secondo il report Cesvi/ISPI dunque “Per far sì che chi arriva in Italia riesca ad adattarsi il più presto possibile alla comunità, studiare o lavorare, è essenziale che ottenga un aiuto per affrontare al meglio i traumi subiti.”
Leggi il report completo “Migranti, la sfida per l’integrazione” cliccando sul link qui sotto.